I problemi dei giovani meritano una particolare attenzione da parte delle comunità di appartenenza. Una società “generativa”, infatti, ha la responsabilità di fornire radici solide e di traghettare nel futuro le nuove generazioni. Non può essere una responsabilità delegata esclusivamente all’istituzione famiglia quella di garantire ai giovani un avvenire in termini di sostenibilità e autonomia, in particolare se parliamo di ragazzi con particolari fragilità o disabilità. Il mondo del lavoro, in questa società dell’incertezza, è criptico e inaffidabile e l’autonomia rimane un miraggio lontano.
Per chi ha la necessità di essere sostenuto e accompagnato, il passaggio dal mondo della scuola a quello del lavoro è come un salto nel vuoto. I progetti di alternanza scuola lavoro, pienamente operativi solo dall’anno scolastico 2017-2018, presentano ancora molte criticità e non si può, ad oggi, parlare di una reale opportunità ai fini occupazionali. Per i ragazzi con disabilità è ancora più complicato poter sfruttare appieno i vantaggi di un’ occasione di conoscenza diretta del mondo del lavoro, senza un accompagnamento effettuato da figure specializzate. La scuola, in molti casi, rappresenta ancora un sistema protetto e autoreferenziale dal quale si esce con un titolo di studio non sempre spendibile nel mondo del lavoro e con un bagaglio esperienziale ancora troppo “vuoto”.
L’esame di maturità rimane un rito di passaggio, se pur spogliato della consapevolezza che possa significare un reale cambiamento di status da studente a membro attivo della società produttiva. In questo particolare momento di transizione, il ragazzo e la famiglia hanno la necessità di essere guidati e accompagnati nella scelta del percorso da intraprendere, all’insegna di un welfare generativo che presupponga una condivisione da parte dell’intera comunità – rappresentata dalle istituzioni pubbliche (scuola e servizi territoriali), ma anche dalle imprese sociali, dall’associazionismo e dal mondo produttivo – della responsabilità di organizzare sistemi efficaci di “traghettamento”.
La Comunità Viadanese, Ambito Distrettuale costituito da dieci Comuni della Provincia di Mantova, per una popolazione complessiva di circa 48.000 abitanti, sta tentando un processo di avvicinamento tra il mondo della formazione e quello del lavoro, con la realizzazione di un progetto sperimentale partito nel 2016 e finanziato come Azione di Sistema del Piano Disabili della Provincia di Mantova, dal titolo Scuola – Territorio: il lavoro come prospettiva di vita autonoma.
L’iniziativa nasce da un lavoro svolto nel 2013 da un Gruppo di Coordinamento Tecnico istituito dal Consorzio Pubblico Servizio alla Persona, che riunisce appunto i dieci Comuni dell’Ambito Viadanese. Questa équipe (composta da operatori del CEAD-Centro per l’Assistenza Domiciliare: Comuni/ASL; Neuropsichiatra Infantile e Adolescenziale Territoriale: operatori del Centro Psico Sociale Territoriale; referente dell’Ufficio Scolastico Provinciale; operatori del NIL-Nucleo Inserimenti Lavorativi) ha approfondito temi importanti quali la necessità di condividere princìpi di fondo, finalità e un metodo operativo.
Il percorso ha prodotto il documento intitolato Linee Guida per la definizione di percorsi assistenziali che favoriscano l’integrazione ed il coordinamento delle funzioni sociali, sanitarie ed educative nel settore della disabilità adulta, da cui emerge una modalità operativa che prevede una presa in carico altamente personalizzata, condivisa tra gli operatori dei Servizi e le Istituzioni e con il pieno coinvolgimento degli interessati (persona e famiglia).
Le azioni proposte hanno riguardato la delicata fase dell’adolescenza e in particolare il momento in cui si conclude il percorso formativo che va presidiato con particolare attenzione.
Fonte d’ispirazione è stato il Piano d’azione regionale della Lombardia per le politiche in favore delle persone con disabilità del 15 dicembre 2010, soprattutto laddove afferma che «è indispensabile che l’organizzazione dei servizi evolva sempre più verso un modello strutturato in funzione delle necessità della persona, basato sulla “presa in carico” del soggetto, intesa non come una mera somma di prestazioni, ma come un unico processo, ininterrotto e condiviso, di ascolto della domanda, orientato ad assicurare la continuità e la qualità delle risposte».
È ormai patrimonio di conoscenza comune l’importanza di lavorare insieme alla creazione di tali presupposti, per poter raggiungere, in modo concreto e duraturo e in un numero di casi sempre maggiore, l’obiettivo dell’inclusione socio-lavorativa.
Il Progetto SCUOLA – TERRITORIO ci ha permesso di garantire continuità al lavoro svolto dando una risposta ai bisogni evidenziati, secondo i princìpi condivisi. I partner del Progetto, ad oggi, sono:
– gli Istituti di Istruzione superiore di Viadana;
– i Comuni dell’ambito viadanese;
– l’Associazione Temporanea di Scopo tra gli Enti accreditati per i Servizi al Lavoro e la Formazione, ovvero: IAL (Innovazione Apprendimento Lavoro Lombardia Srl – Impresa Sociale, sede di Viadana), UMANA (Agenzia per il Lavoro con una estesa rete di filiali su tutto il territorio nazionale, autorizzata dal Ministero del Lavoro) e NIL (Nucleo Inserimenti Lavorativi del Consorzio Pubblico Servizio alla Persona di Viadana).
Aderisce inoltre al progetto – oltre al privato sociale e ai servizi territoriali – anche Confindustria, resasi disponibile a promuovere i temi della responsabilità sociale presso le proprie aziende.
Il progetto, nel concreto, ha permesso l’attivazione di percorsi di autonomia, finalizzati alla preparazione all’ingresso nel mondo del lavoro, rivolti a ragazzi con disabilità certificata (Legge 104/92), che frequentano il terzo anno degli Istituti di Formazione Professionale o il quinto anno delle Scuole Secondarie di Secondo Grado.
I documenti di programmazione (PAI-Piano Annuale di Inclusività; PEI-Piano Educativo Individualizzato; PPI-Piano Personalizzato di Intervento), che normalmente vengono gestiti in modo autoreferenziale dai vari attori della rete coinvolti (scuola, servizi sanitari, servizi socio-assistenziali, servizi per il lavoro) si ridefiniscono in funzione di un unico “progetto di vita”, garantendo continuità di intervento e condivisione degli obiettivi.
Il progetto personalizzato di accompagnamento nella fase di transizione dal mondo della scuola al mondo del lavoro viene condiviso con il ragazzo e con la famiglia.
Oltre ai consueti percorsi di alternanza scuola lavoro, poi, con questo progetto si è introdotta – come elemento rilevante e innovativo – la sperimentazione di una presa in carico precoce, condivisa e fortemente individualizzata.
Il modello organizzativo di rete permette di lavorare in raccordo con i servizi territoriali che hanno in carico i casi, creando i presupposti per l’avvio di un percorso di affiancamento finalizzato all’indipendenza e all’inserimento nel mondo produttivo. Centrale, in tal senso, è la figura del case manager cui viene assegnato il ruolo di consulente della rete.
Il “costo” rappresentato dall’ingaggio di questa figura – ormai menzionata in innumerevoli atti ministeriali e regionali per l’attivazione di diverse misure innovative – rimane vincolato al finanziamento specifico, a termine, oppure la mansione è delegata all’operatore sociale di territorio, che purtroppo ha già un carico di lavoro troppo gravoso. Tuttavia l’obiettivo dell’inserimento socio-lavorativo non può prescindere da un approccio generalizzato a tutti gli aspetti della vita e a tutti gli àmbiti in cui questa si svolge. Il “case manager” accompagna la persona in un percorso di consapevolezza e di emancipazione, coinvolgendola in relazione all’ambiente circostante, per migliorarne l’inclusione e dunque la qualità della vita. Nel progetto egli opera in collaborazione con l’équipe del Servizio Promozione Vita Indipendente (SeProVI) e con il NIL distrettuale. Si tratta di un operatore che rappresenta un punto di forza per la realizzazione di un’efficace progettazione individualizzata, in quanto gli viene affidata la regìa stessa del progetto e da ciò dipende, per buona parte, l’esito delle azioni intraprese.
Dal punto di vista operativo/metodologico, SCUOLA – TERRITORIO” prevede il seguente iter nei rapporti tra i servizi e la scuola:
1. Gli insegnanti della Scuola Secondaria di Secondo Grado inviano le segnalazioni e la documentazione riguardante i casi al Centro Multiservizi (ex CeAD) cui compete il primo livello di valutazione multidimensionale.
2. Gli insegnanti di sostegno che hanno effettuato le segnalazioni, presentano i ragazzi e le loro famiglie all’assistente sociale del Centro Multiservizi in un primo colloquio conoscitivo.
3. Il Centro Multiservizi assegna il caso ad un case manager e, in un secondo colloquio, lo presenta al ragazzo e alla famiglia.
4. Il case manager si occupa della raccolta delle informazioni dalla rete di relazioni, dalla rete dei servizi e unità d’offerta e gestisce e monitora tutte le fasi successive.
5. Viene effettuata una valutazione multidimensionale su base ICF [la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.], prevedendo l’utilizzo di un protocollo operativo per la valutazione della motivazione al cambiamento e dell’empowerment personale [crescita dell’autoconsapevolezza, N.d.R.].
6. Viene convocato uno “Staff di Progetto” che coinvolge l’équipe multiprofessionale, la scuola, il NIL e i referenti dei servizi che verranno coinvolti nella progettazione individualizzata.
7. Viene definito il Progetto Personalizzato di Inserimento in armonia e ad integrazione del PEI scolastico.
8. Inizia successivamente la fase di accompagnamento verso l’autoconsapevolezza e l’autodeterminazione (laddove necessario).
9. Si effettua l’inserimento in azienda e il tutoraggio per tutto il periodo del tirocinio.
10. Si effettua una verifica intermedia nell’àmbito dello Staff di progetto.
11. Al termine del percorso si effettua una verifica finale da parte dell’équipe e la valutazione del raggiungimento degli obiettivi mediante l’utilizzo di apposite scale.
12. Si procede in raccordo con i servizi del territorio, accompagnando l’eventuale presa in carico del ragazzo e della famiglia e garantendo continuità nelle azioni finalizzate all’inclusione sociolavorativa.
Ci sono state difficoltà dovute a una reciproca diffidenza tra operatori di Istituzioni diverse e con una diversa formazione. È stato quindi necessario conoscersi, per superare ostacoli endemici e timori di ingerenze.
Un rischio percepito è stato anche quello della creazione di sovrastrutture poco funzionali e scarsamente efficaci. E tuttavia è significativo che dopo due annualità di sperimentazione di percorsi di accompagnamento condivisi, per l’anno scolastico 2018/2019 le segnalazioni da parte della scuola siano aumentate addirittura del 50% (da 7 a 14 ragazzi segnalati).
Sia i genitori che gli insegnanti – durante gli incontri con l’équipe per il monitoraggio sull’andamento del progetto – hanno evidenziato la necessità di giungere ad una stabilizzazione del servizio, prevedendo percorsi di accompagnamento strutturati, con figure dedicate con le quali poter programmare anno per anno, con dovuto anticipo, l’iter della “transizione” per i ragazzi a fine percorso. E del resto, l’eterno cruccio di chi si occupa di progettazione di servizi innovativi è l’enigma legato alla continuità delle iniziative intraprese: ogni anno si torna a chiedersi se potremo garantire ancora quel “servizio” che ha dato buoni risultati, ma che è appeso ad un filo sottile rappresentato dalla volontà di rimettere risorse su quel capitolo specifico.
Articolo raccolto e selezionato in relazione al progetto “JobLab – laboratori, percorsi e comunità di pratica per l’occupabilità e l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità” (Progetto finanziato ai sensi dell’articolo 72 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117. Annualità 2017.)