Nonostante sia una realtà esistente non solo in quasi tutte le Regioni italiane – molte delle quali munite di Legge che la disciplina -, ma anche a livello europeo, la Vita Indipendente rimane una misura, nell’àmbito delle politiche sociali, cui viene data scarsa importanza e scarsissime risorse economiche, benché abbia tutte le potenzialità per divenire la vera e propria “stella cometa” delle stesse politiche sociali.
La Vita Indipendente è una filosofia di vita che non si traduce in una richiesta da parte delle persone con disabilità di assistenza meramente economica, ma piuttosto nell’esigenza di vivere liberi di scegliere, di spostarsi, di condurre appunto una vita indipendente, diritto riconosciuto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti della Persone con Disabilità (ratificata dieci anni fa dalla Legge dello Stato 18/09), oltreché dalla Legge 162/98.
Si parla tanto di inclusione sociale dei soggetti che vivono una condizione di disabilità, ma stranamente, spesso, si boicotta uno strumento che potrebbe rappresentare il traino di tutte le ulteriori misure programmate a sostegno dell’inclusione sociale, per agevolare misure meramente assistenziali le quali, sia ben chiaro, hanno sicuramente la loro fondamentale importanza, ma che non possono e non devono assorbire la totalità dell’impegno politico e delle risorse economiche.
La Vita Indipendente, in sostanza, prevede l’assunzione da parte del beneficiario – persona con disabilità grave – di un assistente il quale – previa redazione di un progetto personalizzato e partecipato cui l’assistenza stessa è finalizzata – consentirà al richiedente di realizzare la tanto agognata autonomia.
I progetti e le esigenze possono essere tra i più svariati, dalla possibilità di concludere un percorso scolastico, universitario, a quella di inserirsi nel mondo del lavoro, o nel mondo dell’associazionismo e così via.
Non è dunque questa la massima espressione della realizzazione dell’inclusione sociale? In questo modo, infatti, le persone con disabilità utilizzano i fondi stanziati per realizzarsi ed essere produttivi all’interno della società, anziché essere semplicemente dei “costi”. Oltretutto, con l’assunzione degli assistenti attraverso regolari contatti di lavoro, si crea nuova occupazione e, conseguentemente, tutto ciò che viene “speso” deve essere rendicontato, condizione invece inesistente per tutti gli altri interventi di natura puramente assistenziale, che non hanno alcun obbligo di rendere conto dell’utilizzo fatto dei danari stanziati.
L’assistenzialismo è sacrosanto, quando per la particolare gravità delle condizioni nessun’altra misura appare idonea, e tuttavia ciò non può avverarsi a scapito di un diritto, altrettanto sacrosanto, che è quello di poter vivere in maniera autonoma e poter decidere autonomamente della propria esistenza.
Parlando della Puglia, la Regione di chi scrive, i beneficiari di progetti di Vita Indipendente sono ad oggi circa quattrocento, ma si trovano in una situazione di incertezza e precarietà per quello che sarà il futuro dei loro progetti. Tutto ciò non è più ammissibile, visto che si tratta di una progettualità di vita, e non si può più continuare ad elemosinare ciò che per qualunque altra persona è del tutto normale.
Coordinatore per la Puglia di ENIL Italia (European Network on Independent Living).
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