Non si tocchino i risparmi, per pagare le spese di assistenza!

Era il 2015, quando una Delibera del Comune di Milano - analoga a quella di altri Comuni della Lombardia - aveva chiesto alle persone con disabilità e ai loro familiari di “consumare” i propri risparmi, per pagare le spese di assistenza, prima che l’Ente Locale potesse attuare un proprio intervento integrativo. Ora, dopo che un anno fa il TAR di Milano aveva stabilito l’illegittimità di quel provvedimento, il Consiglio di Stato ha posto la parola fine alla vicenda, confermando quella Sentenza del TAR, ciò che viene commentato con soddisfazione dalla Federazione LEDHA

Disegno di omino che segna lo stop«Siamo molto soddisfatti per l’esito di questa Sentenza, che per noi, però, non è una sorpresa e non dovrebbe cogliere di sorpresa nemmeno il Comune di Milano. Più volte, infatti, abbiamo fatto presente al Comune come quella Delibera non fosse rispondente al dettato normativo, e tuttavia siamo dovuti arrivare alle aule del Tribunale. Speriamo ora che il Comune si sieda finalmente al tavolo con le Associazioni e decida finalmente di dotarsi di un Regolamento Comunale unico per la compartecipazione alla spesa, che sia coerente con il dettato normativo nazionale».
Così Enrico Mantegazza, presidente della LEDHA di Milano – emanazione cittadina della Federazione regionale che costituisce la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) – commenta la Sentenza 1485/19, con la quale il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso presentato dal Comune di Milano contro la precedente Sentenza 94/18 del TAR della Lombardia (Tribunale Amministrativo Regionale, sede di Milano), che aveva annullato i provvedimenti comunali ove si prevedeva la necessaria “consumazione” del patrimonio mobiliare (la liquidità) di cui era titolare la persona ospitata in una RSD (Residenza Socio-Sanitaria per Disabili), eccedente la soglia di 5.000 euro, prima dell’intervento comunale integrativo.
Tali provvedimenti, infatti, stabilivano che «nel caso in cui l’utente possieda beni mobili oltre la cifra di 5.000 euro, l’Amministrazione Comunale differirà l’intervento fino a che queste risorse, impiegate per il sostegno dell’utente in forma privata, non si saranno ridotte a tale importo di 5.000 euro».
A questo punto sia la LEDHA di Milano che la LEDHA Regionale si dichiarano pronte a fare la propria parte, in piena collaborazione con gli Assessorati competenti del Comune di Milano, «tenendo anche conto – aggiunge Mantegazza – che un regolamento redatto dal Comune di Milano sul tema della compartecipazione alla spesa sarebbe un punto di riferimento non solo per il territorio milanese, ma anche per tutta la Lombardia».

Con questa Sentenza del Consiglio di Stato, dunque, è arrivata a conclusione una vicenda che ha avuto inizio nell’ormai lontano 2015, con l’approvazione della Delibera di Consiglio Comunale n. 2496/15, con cui il Comune di Milano aveva stabilito i criteri di compartecipazione alla spesa per i servizi di assistenza, chiedendo – come altri Comuni lombardi – alle persone con disabilità ospitate in strutture residenziali di “consumare” i propri risparmi, prima di intervenire integrando la retta di ricovero.
Nel gennaio dello scorso anno – come avevamo riferito anche sulle nostre pagine – il TAR aveva accolto il ricorso presentato dall’amministratore di sostegno di una giovane con disabilità -patrocinata dall’avvocato Massimiliano Gioncada e con il supporto della LEDHA di Milano e dell’ANFFAS di Milano (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) – stabilendo che fosse illegittimo subordinare l’intervento economico comunale alla “consumazione del patrimonio” dell’assistito.
Ora, quindi, a poco più di un anno di distanza, il Consiglio di Stato si è pronunciato sull’appello presentato dal Comune di Milano, respingendolo e annullando quindi definitivamente la parte di quella Delibera, ove si prevedeva che «nel caso in cui l’utente possieda beni immobili oltre la cifra di 5mila euro, l’amministratore comunale differirà l’intervento fino a che queste risorse, impiegate per il sostegno all’utente in forma privata, non si saranno ridotte all’importo di 5mila euro».
Per i Supremi Giudici del Consiglio di Stato, «tale disposizione si pone in contrasto con la normativa sovraordinata», ovvero quella regionale e nazionale.

«La Sentenza del Consiglio di Stato – dichiara Laura Abet, avvocato del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi della LEDHA – afferma in modo incontrovertibile e definitivo che i regolamenti comunali che pur formalmente e quindi solo in apparenza recepiscono il Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) 159/13 [la norma nazionale che disciplina l’ISEE, Indicatore della Situazione Economica equivalente, N.d.R.], ma non ne danno corretta applicazione, poiché introducono una limitazione all’intervento comunale del tutto estranea al testo normativo del medesimo DPCM, vengono alla fine dichiarati illegittimi. In nessuna parte del Decreto sull’ISEE, infatti, è previsto un meccanismo simile a quello che molti Comuni pretendono di adottare, vale a dire “consumare” tutte le proprie sostanze fino al valore di 5.000 euro, soglia al di sotto della quale si giustifica e si prevede la possibilità dell’intervento comunale a sostegno del pagamento della retta. È d’obbligo, quindi, l’invito rivolto a tutti di leggere attentamente i propri Regolamenti Comunali». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@ledha.it.

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