“Dopo di Noi” tra luci, ombre e prospettive

«Se pure fossero state attuate correttamente le Leggi 328/00 (“Sistema integrato di interventi e servizi sociali”) e 112/16 (“Dopo di Noi”), le sole risorse pubbliche – scrive Guido Trinchieri – quand’anche più significative, non potrebbero soddisfare i bisogni di una platea che i mutamenti sociali, in particolare quelli della famiglia, rendono sempre più esposti e fragili. Sono allora necessari ulteriori strumenti, che vedano anche un diverso coinvolgimento delle famiglie e delle comunità. Si pensi ad esempio alle Fondazioni di Partecipazione Territoriali (o Fondazioni di Comunità)»

Realizzazione grafica dedicata alla Legge 112/16

Una realizzazione grafica dedicata alla Legge 112/16

Quando nel giugno di tre anni fa fu approvata la Legge 112/16, sul cosiddetto “Dopo di Noi”, furono in molti ad esprime perplessità sulla necessità di normare aspetti che trovavano già ipotetica previsione in un’altra norma, la Legge 328/00 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali). Quella norma, infatti, trattava all’articolo 14 di «progetti individuali per le persone disabili», che certamente non avrebbero potuto escludere le situazioni conseguenti al venir meno, per le persone con disabilità, del supporto delle cure parentali.
Si tratta però di un’osservazione ben poco concreta, visto che quella riforma – frutto di anni di riflessioni e figlia di una cultura innovativa – non è applicata, complice anche la modifica del Titolo V della Costituzione, che ha redistribuito le competenze di Regioni e Stato. Ciò ha determinato l’inerzia, lo stallo intollerabile nell’attuazione della Legge e dei suoi princìpi, con un impatto negativo su tutte le politiche sociali e con una forte disomogeneità territoriale.
È pur vero che alcune Regioni, spesso tardivamente, hanno tentato di riprendere i dettami e i principi della Legge 328/00 in modo complessivo. Fra queste cito – per prossimità e per conoscenza diretta – la Regione Lazio e la sua Legge n. 11 del 10 agosto 2016, una norma ponderosa e ambiziosa, ancorché largamente inapplicata. Ma vediamo, per le riflessioni che qui ci interessano, gli elementi comuni fra la datata Legge 328 e la più recente Legge Regionale del Lazio 11/16.

Sulla base della Legge 328/00, e con ancora maggiore acutezza, la Legge Regionale del Lazio 11/16 ha assunto, come criteri fondanti per la gestione del welfare in generale e delle politiche per la disabilità in particolare, i concetti di Piano personalizzato di assistenza (articolo 9) e di Presa in carico integrata della persona e budget di salute (articolo 53).
Si assume poi come strumento operativo per la presa in carico la Valutazione Multidimensionale (articolo 9.3, articolo 23 1.b, articolo 24 1-2.b -3, articolo 26 5, articolo 52 2.d, articolo 53 1 ecc.).
Ed infine si assume come finalità concreta per la disabilità la «realizzazione di reti di sostegno e di strutture residenziali di tipo familiare all’interno della comunità, a favore di persone con grave disabilità e delle persone con sofferenza psichica prive di adeguato sostegno familiare per interventi del prima e del dopo di noi. In tale contesto sono promossi interventi ed azioni mirati alla fase del durante noi, al fine di garantire la progressiva presa in carico della persona con disabilità, anche grave, durante l’esistenza in vita dei genitori, rafforzando quanto previsto in tema di progetti individuali per le persone disabili nonché di favorire la deistituzionalizzazione dei servizi alla persona e assicurare la continuità di cura, la dignità e l’autonomia della persona con disabilità priva di sostegno familiare» (articolo 12, comma c).
Ipotesi e prospettive condivisibili, ma dopo quasi tre anni dall’emanazione della Legge Regionale 11/16, il sistema del welfare del Lazio non è cambiato di una virgola.
Le speranze delle famiglie che si prendono cura di persone con grave disabilità sono andate, ad oggi, completamente deluse, come le legittime istanze sociali di tanti cittadini. Ai sedici anni di ritardo nell’applicazione della Legge 328/00 si sono aggiunti dunque, ad oggi, ulteriori due anni e mezzo di ritardo della Legge Regionale 11/16.

È in questo scenario che è stata approvata la Legge Nazionale 112/16, dal non casuale titolo Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, disposizione, va detto!, motivata da una vera e propria emergenza sociale, causa talvolta anche di gesti estremi, spesso di confinamento, esclusione, isolamento.
Si tratta di una norma fortemente voluta dalle Associazioni e dalle famiglie che si prendono cura di persone adulte con maggiore necessità di sostegno, spesso non in grado di autodeterminarsi pienamente, che vengono assistite, per mancanza di alternative, da genitori anziani ormai allo stremo delle forze.
Queste assolute priorità sono intercettate nettamente dalle Finalità stesse: «La presente legge disciplina misure di assistenza, cura e protezione nel superiore interesse delle persone con disabilità grave, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive di sostegno familiare in quanto mancanti di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di fornire l’adeguato sostegno genitoriale, nonché in vista del venir meno del sostegno familiare, attraverso la progressiva presa in carico della persona interessata già durante l’esistenza in vita dei genitori».
È evidente, dunque, come queste finalità attuino e si sovrappongano alla Legge 328/00 e, nel Lazio, alla Legge Regionale 11/16, giungendo sottolineare e riaffermare il carattere emergenziale dell’iniziativa del Parlamento, resa urgente anche – direi soprattutto – dalla mancata attuazione e dal mancato recepimento della 328/00.
Sappiamo che la Legge 112 prevede anche strumenti giuridici di tipo privatistico che dovrebbero aiutare una parte delle famiglie, attraverso agevolazioni fiscali, a trasmettere i loro beni ai familiari con disabilità, per garantire loro una vita dignitosa. Si tratta di strumenti che si presterebbero, se bene indirizzati, anche a supportare, stimolare e attuare un approccio universalistico e solidaristico al tema.
Purtroppo sembra che quegli obiettivi non siano affatto stati raggiunti. Il Consiglio Nazionale del Notariato, che molto si sta spendendo per diffondere la conoscenza degli strumenti per sostenere le fragilità sociali, in un incontro pubblico organizzato a Roma il 22 febbraio dello scorso anno [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.], ha segnalato lo scarso ricorso a questa legge da parte dell’utenza cui è destinata.

Ma questo è solo uno degli aspetti: il finanziamento previsto dalla Legge 112/16, infatti, è stato ripartito fra le Regioni in base al Decreto Interministeriale del 23 novembre 2016. Le Regioni a loro volta hanno provveduto a suddividerlo fra gli Ambiti Sociali (o Socio-Assistenziali a seconda delle diverse denominazioni). Queste risorse, pur essendo universalmente ritenute inadeguate a fronte dell’entità del problema, possono comunque essere correttamente finalizzate al “Dopo di Noi” in quelle Regioni in cui la Legge 328/00 è realmente operativa.
In altre, come nella Regione Lazio, si sta stimolando, in maniera caotica, l’attuazione di quelle parti della Legge Regionale 11/16 che permettono di accedere ai fondi. Questo modo di procedere – nonostante l’impegno encomiabile di alcuni funzionari regionali – ha un impatto del tutto marginale rispetto al problema del “Dopo di Noi”, finendo in sostanza per tradire lo spirito e le ragioni che hanno determinato l’intervento del Legislatore Nazionale.

È evidente, a questo punto, che la Legge ha bisogno di significativi interventi correttivi.
Per quanto riguarda gli istituti finanziari previsti (trust, vincoli di destinazione ex art. 2465-ter del Codice Civile, contratto di affidamento fiduciario), si ha notizia che – su richiesta del Consiglio Nazionale del Notariato – sia stato già attivato un tavolo di confronto presso il Ministero per lqa Famiglia e le Disabilità. Ci si chiede perché non sia previsto un coinvolgimento anche delle organizzazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari che molto avrebbero da dire, proporre, suggerire.
Per quanto concerne le Regioni che non hanno ancora messo in campo politiche sociali in applicazione della Legge 328/00 (e nel Lazio della Legge Regionale 11/16), una soluzione organica, efficace ed universalistica del problema, appare particolarmente lontana.
Si auspicano quindi interventi significativi della politica che diano impulso alla sua applicazione ed evitino che la legge che per prima ha scardinato lo stigma della diversità resti a livello di mero annuncio. Sarebbe necessario anche attivare strumenti di governance, più volte evocati, in grado di meritare la fiducia delle famiglie e dei soggetti del Terzo Settore a cui in via sussidiaria dovrebbero essere affidati gli interventi di gestione.  Promuovere e sostenere forme di innovazione ad esempio attraverso Fondazioni di Comunità o di Partecipazione in cui famiglie, persone, istituzioni, territorio riescano a proporre, costruire, far crescere soluzioni sostenibili nel tempo.
Non va certamente nella direzione auspicata la decisione della Regione Lazio di fare slittare l’attuazione dell’integrazione sociosanitaria al 30 settembre 2020 (Deliberazione di Giunta Regionale n. 792 dell’11 dicembre 2018). Integrazione che come è evidente costituisce l’asse portante per l’applicazione della Legge Regionale 11/16 e conseguentemente della Legge Nazionale 112/16.

Le riflessioni sin qui espresse non devono indurre a un paralizzante pessimismo. Un’ineludibile soluzione universalistica e solidaristica richiede, in via prioritaria, di aggiustare il tiro sulle criticità sollevate, ma è altrettanto vero che se pure avessimo attuato correttamente le Leggi, le sole risorse pubbliche, quand’anche più significative, non potrebbero soddisfare i bisogni di una platea di cittadini che i mutamenti sociali, in particolare quelli della famiglia, rendono sempre più esposti e fragili. È allora necessario mettere in atto strumenti ulteriori che vedano anche un diverso coinvolgimento delle famiglie e delle comunità.
Se osserviamo il passato, il corpus normativo e i modelli culturali spingevano di fatto le famiglie a trovare escamotage per diseredare di fatto il familiare con disabilità. Ciò era finalizzato a compensare il familiare o, non di rado, persone estranee, con la speranza che si prendessero cura della persona con disabilità. E ancora per limitare o evitare la compartecipazione alla spesa nel caso si prevedesse di ricorrere all’istituzionalizzazione.
L’attuale sistema legislativo e la cultura maturata aprono prospettive diverse, facilitando il ricorso a strumenti giuridici e a modelli organizzativi innovativi.
Pensiamo ad esempio alle Fondazioni di Partecipazione Territoriali (dette anche Fondazioni di Comunità). Possono essere soluzioni che incentivano la prossimità delle risposte a specifici bisogni: la persona vive in un territorio, in una collettività, ed è là che vengono condivise e costruite risposte sostenibili. Anche per il “Dopo di Noi” e per i progetti di vita delle persone.
Sono modelli, coprogettati e partecipati, che possono finalmente ritrovare la fiducia delle famiglie, ma anche quella delle comunità, catalizzando risorse economiche, relazionali, di servizio.
La debolissima risposta delle famiglie alla Manifestazione di Interesse richiesta dalla Regione Lazio per l’identificazione di un patrimonio immobiliare finalizzato al “Dopo di Noi” evidenzia invece i dubbi che affliggono le famiglie quando sono chiamate a decidere di affidare i propri cari insieme ai loro beni. Al contrario, le Fondazioni di Partecipazione e il Terzo Settore – a cui in via sussidiaria dovrebbero essere affidati gli interventi di gestione, l’attivazione di strumenti di governance – potrebbero offrire, anche sul piano legale, quelle garanzie che consentano di affidare con fiducia i propri figli e i beni che eventualmente spettano loro.

Presidente dell’UFHA (Unione Famiglie Handicappati), aderente benemerita alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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