Qualche settimana fa ho incontrato una manager di una multinazionale dell’Hi-Tech con sede in Emilia Romagna. La signora in questione ha una disabilità e mi ha raccontato molti episodi che hanno caratterizzato la sua vita lavorativa. Uno di questi, in particolare, mi ha toccato nel profondo, in quanto qualcosa di simile è accaduto anche a me.
La manager, infatti, mi ha confidato di essersi più volte recata ai colloqui di lavoro togliendo la laurea dal suo curriculum vitae (CV). Già, ma perché dovremmo mortificare il nostro CV quando di solito si cerca di valorizzarlo in ogni modo, talora perfino esibendo competenze o esperienze non del tutto vere? Perché, per essere proprio brutali, in un mondo che favorisce il doping, la persona con disabilità deve uscire ancor più indebolita di quanto sia nella realtà?
Già, come posso dimenticare i consigli degli “esperti” – e questa non è assolutamente una critica, ma una mia ammissione di come fossimo tutti molto indietro culturalmente – che si raccomandavano di ridurre il mio CV quanto più possibile, in modo da renderlo più “appetibile” per un potenziale datore di lavoro? Pur ancora giovane, pur con sordità profonda, mi ponevo due semplici domande:
1) Che senso ha presentarsi ad un colloquio nascondendo un traguardo raggiunto, spesso, dopo aver superato non pochi ostacoli dovuti alla disabilità?
2) Come sarò giudicato dal mio futuro datore di lavoro quando questi scoprirà che ho anche una laurea oltre al diploma?
La prima risposta, che purtroppo vale ancora oggi, è molto semplice: la disabilità non è una condizione, è una mansione! Certo, come avevo fatto a non capirlo prima! «Mi chiamo Daniele e nel codice ISTAT delle professioni svolgo la mansione del disabile».
Bella, vero? Fa ridere, vero? No, non fa ridere per niente. È semplicemente drammatico. Accadeva vent’anni fa e ancora oggi accade.
Ma rovesciamo i ruoli: se io fossi un datore di lavoro e scoprissi che il candidato mi ha nascosto parti fondamentali di un CV per essere assunto, lo considererei un bugiardo, e quindi una persona non affidabile. E, così, ho risposto anche alla seconda domanda.
Ho fatto molti colloqui presentandomi col CV “sgonfiato” e li ricordo con grande imbarazzo. Mi si chiedeva: «Non hai pensato di continuare a studiare dopo le superiori?». Cosa potevo rispondere, che ero già laureato? E se poi mi si chiedeva: «Ma in questi ultimi anni non hai fatto proprio nulla?», allora era davvero difficile rispondere e si tirava in ballo qualche esperienza qua e là che non poteva essere certo considerata esperienza lavorativa.
Si tratta di un fenomeno talmente dannoso, per i candidati così come per le aziende, passando anche per gli addetti ai lavori (e qui intendo tutti: Uffici del Collocamento Mirato, Agenzie per il Lavoro, consulenti di vario genere che si occupano professionalmente di disabilità ecc.), che desidero portarlo qui alla luce, nella speranza che tale abitudine possa presto venire meno.
Partiamo dalle aziende: un servizio di risorse umane deve conoscere quanto più possibile il potenziale candidato perché questi possa essere un’autentica risorsa per l’impresa. Trattare il tema della disabilità è già difficile; perché complicare le cose facendo apparire il candidato alla stregua di un mendicante che «qualsiasi-lavoro-mi-va-bene-devo-lavorare-grazie-il-cielo-vi-benedica»?
Sugli addetti ai lavori, che hanno il polso sia della situazione relativa alle aziende e alle loro esigenze, sia dei candidati e delle loro competenze, grava una responsabilità per certi aspetti ancora maggiore: sta a loro la capacità di individuare un incontro vincente tra domanda e offerta di lavoro. E a grandi responsabilità sono legate soddisfazioni, non solo professionali, ancora più grandi.
E per il candidato? Beh, buttiamola a ridere per far vedere che anche noi persone con disabilità abbiamo un po’ di humour e immaginiamo la scena…
Datore di lavoro: «Buongiorno signora Letizia, non ci eravamo visti l’anno scorso?».
Letizia: «Oh sì, mi fa piacere che si ricordi di me…».
Datore di lavoro: «Sì sì, ricordo bene: cercavamo categorie protette laureate, ma lei era diplomata».
Letizia (che si è stancata di avere CV “sgonfiati” nel PC e adesso ne presenta solo uno, quello vero, sia pure con un certo imbarazzo): «Ma io… sono laureata, ecco il CV».
Datore di lavoro: «Caspita, una laurea quinquennale ottenuta in un solo anno… e con che voti! È veramente troppo per noi, magari in futuro…».