Mai più persone sole e isolate

«La vicenda di quell’anziana madre – scrive Agostino Squeglia – che viveva sola e isolata in casa con il figlio disabile accudito anche da morto per quattro mesi, fa da “pendant” alla storia, apparentemente inversa, del figlio con disabilità che tre anni fa, sempre a Treviso, aveva vegliato la madre morta per due settimane. Chi ha pensato o valutato in tempo, e in entrambi in casi, il dolore di quell’isolamento? Una comunità è tale solo se conosce, approfondisce e costruisce insieme iniziative nel fondamentale settore sociale, ciò che riguarda tutti e non solo le persone con disabilità»

Foto di spalle a una donna in carrozzina in ombra davanti a una porta-finestra apertaLa vicenda riguardante quell’anziana madre che viveva sola e isolata in casa con il figlio disabile accudito anche da morto per quattro lunghi mesi, fa da “pendant” alla storia, apparentemente inversa, del figlio con disabilità che tre anni fa, sempre a Treviso, aveva vegliato la madre morta per due settimane. Chi ha pensato o valutato, in tempo e in entrambi in casi, il dolore di quell’isolamento?

La responsabilità di ciò che accade in una comunità fa sempre capo – giuridicamente ma soprattutto eticamente – al Sindaco e certamente c’è una struttura organizzativa da implementare al cambio di qualsivoglia Amministrazione, nell’interesse collettivo.
Mi permisi di intervenire tre anni fa sulle pagine di un giornale locale di Treviso, suggerendo delle iniziative di carattere culturale e organizzativo nel settore sociale, solo apparentemente a favore delle persone con disabilità.
Qualcuna di queste iniziative sono riuscito ad attuarla a partire dallo lo scorso anno, a titolo di personale volontariato culturale: si tratta di Vite Abilmente Diverse, inedita rassegna culturale sulla disabilità, inserita nella programmazione del CartaCarbone Festival di Treviso [se ne legga anche nel nostro giornale, N.d.R.] e che prossimamente avrà l’ampio respiro che merita in altra sede.
Quest’anno, invece, ci sarà un’importante iniziativa di inclusione sociale, per la prima volta nel Nordest, che partirà sperimentalmente dall’Istituto Besta di Treviso, in coordinamento con l’Università di Padova, al fine di arginare la solitudine dei ragazzi con disabilità delle scuole superiori che, come insegnano le due vicende iniziali, rimangono chiusi fino alla morte nelle loro case in una prigione comune con le loro famiglie. E altro ancora arriverà.

Le Associazioni, il Volontariato, i cittadini comuni fanno tanto e bene, ma da soli non possono e non riescono a creare un’illuminata politica sociale che, di fronte a certi temi così universali, non ha bisogno di distinzioni politiche. E non è e non deve essere una mera questione di soldi, specialmente quando l’intento è migliorare la vita di tutti.
Una comunità è tale solamente se conosce, condivide, approfondisce e costruisce insieme iniziative nel fondamentale settore sociale, perché ciò riguarda tutti, non solo le persone con disabilità, e mai dimenticando che disabili si nasce, ma anche si diventa.

Le parole rivelano più di ogni altra cosa la nostra visione della vita e il modo di affrontare le questioni; lo scrittore Giuseppe Pontiggia diceva che «il linguaggio nella disabilità non è un accesso laterale al problema ma la chiave del problema» e io mi permetto di aggiungere che così è nel più ampio settore “sociale”.
Spesso, sempre più spesso, si sente – anche da parte degli Amministratori – e si intende delegare le questioni concernenti la difficoltà delle vite delle persone da una modalità “sociale” a una “sanitaria”.
Il Piano Regionale del Veneto – ma anche di altre Regioni -si chiama Piano Socio-Sanitario e a ben vedere la riduzione della parola da sociale a socio, ne traduce a volte anche la riduzione nel contenuto e nell’aspetto culturale, senza invece intaccare il termine sanitario che rimane invariato e anzi irrobustito nella deriva aziendalistica/organizzativa che a volte, involontariamente, contribuisce a diventare più algidi di fronte invece alla necessità di ricordarci, sempre, che siamo Persone, e Persone sempre più in difficoltà. Tutti. Con lo stesso desiderio: vivere una vita insieme e quanto più possibile felice.
Perché dunque chiamarlo Piano Socio-Sanitario e non Piano Sociale e Sanitario? Non sempre è necessario risparmiare, neanche sulle parole.

Nello specifico della città di Treviso, da cui scrivo, mi permetto di rinnovare l’invito anche alla presente Amministrazione Comunale – che sta dimostrando al pari della precedente un’ampia possibilità di ascolto e di attuazione – ad affrontare la questione sociale nel solco dei contenuti della buona Delibera Comunale approvata all’unanimità il 30 aprile 2014 (Adesione ai principi e alle indicazioni della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità per la programmazione e il miglioramento delle politiche sociali in materia nella Città di Treviso), a partire dalle persone con disabilità e da quelle in situazione di maggiore fragilità.
Oltre alla buona recente novità di un disability manager nella città di Treviso [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.], bisognerebbe però anche accelerare il proposito di attuare quanto prima un Ufficio Handicap (melius Persone con Disabilità), analogamente a quanto già previsto da anni in altre città, diretto possibilmente da una persona con disabilità, per un’immediata visione esperienziale, in una sede comunale, possibilmente vicino alla sede del Sindaco e magari anche dipendente da quest’ultimo, con personale ad hoc del Comune (non prioritariamente delle Associazioni) e che avesse compiti non solo di informazione, ma di ideazione, progettazione, e attuazione di iniziative sociali e culturali di ogni tipo, ad esempio per ampliare la conoscenza con convegni, rassegne letterarie, cinematografiche, accessibilità totale dei luoghi di condivisione culturali alle persone con disabilità non solo motoria ecc. Tutto ciò per consentire a tutti, e quindi anche alle persone con disabilità di ogni tipo, la possibilità di una partecipazione alla vita sociale, come previsto dalla nostra Costituzione.
In questo modo si inizierà a creare una cultura della disabilità in un clima di consapevolezza diffusa e condivisione istituzionale, per migliorare le vite delle persone con difficoltà, che riguardano tutti.
Tale iniziativa costituirebbe un’ulteriore presa di coscienza sociale, non delegabile, da parte di chi amministra una comunità, senza dimenticare nessuno, neanche due persone in difficoltà, sole ed isolate, in attesa della morte dopo l’orrore del lungo isolamento quotidiano.

Ideatore della Rassegna Culturale “Vite Abilmente Diverse” (agosqueglia@gmail.com).

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