Il camerino di quel negozio bolognese di abbigliamento appartenente a una grande catena del settore era decisamente troppo stretto per poterci entrare con la carrozzina e così la giovane con disabilità ha dovuto rinunciare all’acquisto.
Non ha però voluto lasciar passare la cosa sotto silenzio e ha deciso, quindi, di segnalare il problema, via mail, alla catena di negozi, il cui servizio clienti si è subito scusato, promettendo un celere riscontro che, però, dopo quattro mesi non era ancora arrivato.
A quel punto, la giovane scrive un’altra mail all’azienda, avvisando questa volta che, in assenza di riscontri, si sarebbe rivolta a un avvocato. «Mi hanno risposto – dice – che avrebbero risolto il problema, ma con “tempi tecnici” indefiniti. Francamente mi sono sentita presa in giro, sono stanca di sentire gente che dà ragione alle persone con disabilità tanto per “tenerle buone” e prendere tempo, senza fare nulla di concreto per cambiare le cose. Ormai so bene che questo genere di risposta non porta da nessuna parte e così mi sono rivolta al Servizio Legale Antidiscriminazione della SIDIMA (Società Italiana Disability Manager), intendendo andare a fondo di questa questione apparentemente piccola, perché il problema sarebbe stato era davvero semplice da risolvere. Posso capire, infatti, che a volte ci siano difficoltà oggettive per superare le barriere architettoniche, o alti costi da affrontare, ma in un caso del genere bastava togliere il divisorio di legno tra due camerini per crearne uno più grande, un lavoro da nulla, era assurdo che non intervenissero».
Ebbene, «grazie a qualche scambio di lettere tra avvocati – informa Rodolfo Dalla Mora, presidente della SIDIMA -, la nostra socia ha ottenuto 1.000 euro di risarcimento, il pagamento delle spese legali e soprattutto la realizzazione di un camerino più grande all’interno del negozio, che d’ora in poi consentirà alle persone in carrozzina di fare acquisti alle stesse condizioni degli altri. Al di là del caso singolo, per altro, il risultato è importante per far capire alle persone che certi disagi “quotidiani”, a cui siamo quasi rassegnati, in realtà sono discriminazioni e possono essere risolti. Infatti, secondo la Legge 67/06, ogni situazione che mette una persona con disabilità in una posizione di svantaggio può costituire “discriminazione indiretta”. Quindi, anche un camerino con una porta troppo stretta».
Il caso è stato seguito nello specifico da Fulvia Casagrande, avvocata della SIDIMA del Foro di Bologna, specializzata in diritto antidiscriminatorio, che inizialmente, come da prassi, ha inviato alla controparte una raccomandata, chiedendo di risolvere il problema e di risarcire il danno subito. Poiché la catena di negozi, però, non ha dato risposte soddisfacenti, è stato necessario depositare in Tribunale un ricorso per discriminazione, come previsto dalla citata Legge 67/06.
«Qui – spiega Casagrande – come spesso capita, poco prima della data fissata per l’udienza, la controparte ci ha contattati, chiedendo di trovare un accordo che evitasse di andare davanti al giudice. E così la questione è stata risolta tramite una transazione, prevedendo appunto sia un risarcimento economico, sia la modifica del camerino entro un termine preciso. La scadenza è stata effettivamente rispettata, cosicché almeno quel negozio ora è più accessibile a tutti». (S.B.)
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