Quando era in discussione il testo della Legge Quadro sui diritti delle persone con disabilità, che sarebbe poi stata la Legge 104/92, ci si soffermò sul problema del diritto all’istruzione degli alunni con disabilità impossibilitati a frequentare per gravi motivi di salute (deficienze immunitarie, allergie ecc.). La discussione portò alla formulazione dei commi 9 e 10 dell’articolo 12 della norma citata, concernente il diritto all’istruzione in ospedale per quegli alunni con disabilità cui fosse certificata l’impossibilità a frequentare la scuola per almeno trenta giorni all’anno.
Le Associazioni tentarono di fare approvare anche una norma concernente il diritto all’istruzione domiciliare di tali alunni, ma la maggioranza del Parlamento fu contraria, paventando il rischio di un’enorme diffusione di tale modalità i cui costi non erano facilmente quantificabili; ci si limitò, quindi, ad estendere il diritto all’istruzione in ospedale non solo agli alunni con disabilità, ma anche ad alunni senza disabilità che avessero però le stesse impossibilità di frequenza.
Successivamente iniziarono a diffondersi alcune prassi sperimentali di istruzione a domicilio che portarono a far sì che il Ministero dell’Istruzione cominciasse a inserire in calce ad ogni Ordinanza e Circolare concernente l’istruzione in ospedale anche un breve paragrafo riguardante l’istruzione domiciliare prima degli alunni con disabilità e poi anche di quelli senza disabilità.
Tale prassi, ormai in parte normata, proseguì fino ai primi Anni 2000; in seguito, però, fu fortemente ostacolata da un orientamento ministeriale che subordinava l’applicazione dell’istruzione domiciliare a una preventiva ospedalizzazione di almeno trenta giorni, ciò che ho sostenuto essere una deformazione del requisito dei trenta giorni di impossibilità a frequentare, che non faceva alcun riferimento né favoriva alcuna interpretazione data dal Ministero.
Le esperienze di istruzione domiciliare, quindi, estese a tutti gli alunni che ne avessero il requisito divennero oggetto di maggiore attenzione ministeriale, fino ad arrivare al 2013, con il progetto di ricerca denominato TRIS (acronimo che sta per “Tecnologie di Rete e Inclusione Scolastica”), avviato d’intesa tra il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, l’ITD (Istituto per le Tecnologie Didattiche) del CNR e l’allora Fondazione Telecom (oggi Fondazione TIM).
Tale ricerca si è avvalsa di un Comitato Tecnico-Scientifico di tutto rispetto, essendo composto da grandi esperti nel campo delle nuove tecnologie telematiche e da docenti universitari di Pedagogia e Didattica, tra i quali ben noti al mondo della disabilità la professoressa Roberta Caldin e il professor Pasquale Moliterni.
I risultati di TRIS sono stati raccolti in un volume pubblicato nel 2018 a cura di un gruppo di autori coordinati dal professor Guglielmo Trentin, responsabile scientifico del progetto. Assai interessante, il libro (Classi ibride e inclusione socio-educativa. Il progetto TRIS, FrancoAngeli) è scaricabile gratuitamente a questo link. Esso si compone di dieci capitoli (221 pagine) e descrive le finalità e i risultati della ricerca, invitando il Ministero ad un ulteriore approfondimento per la disseminazione dei risultati della ricerca stessa.
Invero, alcuni significativi risultati si sono ottenuti a livello normativo in occasione dell’emanazione del Decreto Legislativo 66/17, che dedica espressamente l’articolo 16 all’istruzione domiciliare, superando così le resistenze manifestatesi all’atto della discussione della Legge 104/92. In quell’articolo, infatti, si sancisce espressamente il diritto all’istruzione domiciliare per tutti gli alunni che abbiano un’impossibilità a frequentare le classi per gravi motivi di salute per un periodo superiore a trenta giorni, anche non consecutivi, evidenziando l’opportunità offerta dalle nuove tecnologie informatiche. A livello organizzativo didattico si prevede quindi che l’alunno «non frequentante» continui a far parte della classe cui è iscritto, che alcuni docenti a turno per alcune ore settimanali possano raggiungerlo a domicilio e che la valutazione svolta dai docenti di classe (collegati via internet e Skype) e i docenti che si recano a domicilio venga effettuata da quello dei due gruppi che abbia maggiormente seguito l’alunno stesso, utilizzando le relazioni scritte del gruppo minoritario di docenti.
Da quanto sopra detto risulta la necessità che l’istruzione domiciliare inclusiva tramite le cosiddette “classi ibride”, svolta a domicilio in collegamento con la classe, venga particolarmente normata dal Ministero con un Decreto Applicativo del citato articolo 16 del Decreto Legistiavo 66/17. Ciò perché purtroppo si sono verificate alcune difficoltà operative.
La prima è che alcuni docenti si rifiutano di accettare una telecamera in classe tramite la quale invece gli alunni non frequentanti possono seguire le lezioni, le interrogazioni dei compagni e ricevere proprie interrogazioni. La motivazione addotta della tutela dell’immagine e della privacy può essere superata o con accorgimenti che non riprendano la figura del docente (lasciando quindi libero solo l’audio) o con una norma che chiarisca – eventualmente anche con un accordo sindacale – che l’istruzione domiciliare, per i docenti, è un obbligo rientrante nel loro stato giuridico.
La seconda difficoltà operativa riguarda invece in particolare gli alunni con disabilità, rispetto ai quali si è sollevato il problema se il docente per il sostegno debba recarsi al domicilio dell’alunno per tutte le ore assegnate. Ad esempio l’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio ha stabilito, con una Circolare del 15 novembre 2017 (numero di protocollo 32987), che non si possano superare le sei ore settimanali, orario massimo per il pagamento dello straordinario. Fortunatamente, però, il Tribunale Civile di Roma, con l’Ordinanza “Cautelare” del 17 aprile 2018 ha stabilito che invece il docente per il sostegno debba recarsi per tutte le ore a lui assegnate.
Condivido pienamente quest’ultima Sentenza poiché diversamente vi sarebbe un danno erariale dovuto al numero di ore pagate al docente che non verrebbero svolte a domicilio dell’alunno, ma utilizzate a scuola per eventuali supplenze o altre attività che nulla hanno a che fare con l’istruzione domiciliare.
Ci si augura, dunque, che il Ministero dell’Istruzione voglia al più presto emanare le norme chiarificatrici di cui si è detto, onde evitare ulteriore contenzioso e migliorare la qualità dell’inclusione scolastica.