«Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così», per dirla con le parole di Paolo Conte, i delfini suscitano un’innata simpatia e sono protagonisti di leggende e racconti.
Per gli antichi greci erano pirati, gettati in mare da Dioniso che volle punirli trasformandoli in creature acquatiche; da allora cercherebbero un contatto con l’uomo per placare la malinconia verso la terraferma. Plinio il Vecchio scrisse di un ragazzo che cavalcava un delfino nei pressi di Pozzuoli e della pesca con i delfini che si praticava nella zona di Narbonne, nell’attuale Francia del Sud. Una sinergia che si può osservare ancora oggi, in Amazzonia, dove una specie di delfino fluviale, chiamato dai locali “boto”, individua i banchi di pesci nelle acque fangose e li indica agli uomini.
È accaduto che abbiano aiutato persone che rischiavano la vita in mare, facendole stare a galla, come se sapessero che non potevano respirare sott’acqua, e accompagnandole a riva.
La scienza ha dimostrato che non si tratta di puro istinto. Il loro intelletto, infatti, supera perfino quello degli scimpanzé, e non solo perché il rapporto tra il peso del cervello e quello del corpo è secondo soltanto a quello del genere umano, ma per la complessità della neurocorteccia, sede di capacità cognitive superiori. I delfini hanno un’intelligenza sociale e sono in grado di utilizzare strumenti, trasmettono i caratteri culturali mediante imitazione, hanno coscienza di sé, tanto da riconoscere la propria immagine riflessa in uno specchio, e risolvono problemi inediti in situazioni non comuni, come l’incontro con l’uomo.
A tutti è capitato di vedere filmati di delfini che giocano in acqua con bambini e adulti, ma pochi sanno che questo gioco può diventare una terapia.
Conosciuta dagli specialisti come DAT (Dolphin Assisted Therapy, ovvero “terapia assistita con i delfini), è una branca della pet therapy (“terapia con gli animali”) relativamente giovane e ancora poco praticata, anche per gli alti costi necessari per il mantenimento delle strutture che devono essere il più possibile confortevoli e rispettose del benessere degli animali.
I primi ad accorgersi delle positive ripercussioni su persone con sindrome di Down, problemi psichiatrici, autismo e depressione sono stati i docenti della Florida International University di Miami negli Stati Uniti, David Nathanson e Betsy Smith, che negli Anni Settanta ne hanno sperimentato la validità dal punto di vista scientifico e terapeutico.
Hanno scoperto, ad esempio, che la comunicazione con i delfini stimola i bambini con sindrome di Down ad apprendere. Prima di giocare, gli animali portano ai bimbi delle tavole colorate con figure collegate alle parole che devono ripetere e memorizzare. Una volta in classe, si è constatato che gli alunni che hanno interagito con i delfini imparavano meglio e più in fretta. Sono sufficienti 20-30 minuti in acqua (sessioni più lunghe possono essere stancanti e controproducenti), come accade presso il Dolphin’s Plus di Key Largo in Florida, dove la delfinoterapia è praticata dal 1990.
Sempre nel 1990 ha avuto inizio un’esperienza analoga in Spagna, a Tenerife, nel Parco Acquatico Aqualand di Adeje, dove vengono coinvolti anche adulti con vari tipi di disabilità.
Il parco è stato costruito pensando ad un’ala dedicata all’interazione con gli animali, grazie alla collaborazione tra l’impresa proprietaria e l’Associazione Padres de Disminuidos Físicos y Psíquicos.
Già, ma cosa accade nel concreto quando delfini e persone nuotano insieme? Chiunque si sia immerso con loro ha spiegato come siano in grado di mettersi sulla stessa lunghezza d’onda della persona che hanno accanto, non si avvicinano troppo ai più paurosi, compiono invece evoluzioni festose con chi non li teme. L’acqua facilita l’equilibrio e fa da conduttore degli ultrasuoni emessi dagli animali, favorendo la produzione di endorfine e sciogliendo rigidezze che possono nascere anche da blocchi emotivi. Il delfino ha un aspetto sorridente e i suoi movimenti fluidi rassicurano, vengono percepiti come amici speciali, e la relazione con loro non è mai ripetitiva perché riescono a “inventare” giochi sempre nuovi e adatti al carattere di chi si trovano di fronte. Inoltre, il contatto tattile e visivo amplifica gli effetti positivi a livello cognitivo, fisico, emotivo e sociale, con il paziente che migliora le proprie abilità motorie perché, stimolato a nuotare, si sente accettato e più sicuro, riuscendo ad aprire spiragli nel guscio apparentemente impenetrabile delle persone con autismo.
Come per la pet therapy con altri animali, anche la delfinoterapia non promette guarigioni, però se affiancata alle terapie tradizionali migliora la qualità della vita e la salute psicofisica.
Oltre che negli Stati Uniti e in Spagna, è possibile praticarla a Cuba, in Australia e in Israele. Quest’ultimo Paese, in particolare, è l’unico ad offrire la possibilità di immersioni con i delfini a scopo terapeutico in mare aperto, presso il Dolphin Reef di Eilat.
L’Italia ha “rischiato” di diventare all’avanguardia in questo campo. Nel 1993, infatti, l’Associazione Scientifica Arion (dal nome del musicista dell’antica Grecia che venne tratto in salvo da un delfino) ha introdotto con successo questa pratica nel Delfinario di Rimini, un’esperienza interrotta nel 2002.
Dieci anni dopo un progetto analogo con un gruppo di bambini affetti da autismo, fra gli 8 e i 14 anni, è stato intrapreso nella Baia dei Pinnipedi dello Zoomarine di Roma, con la collaborazione dell’IDI (Istituto Dermopatico dell’Immacolata).
È in fase di stallo, invece, la sperimentazione finanziata dal Ministero dell’Ambiente per lo studio della delfinoterapia nelle acque del Parco Nazionale delle Cinque Terre. E tuttavia, proprio quest’anno dall’Italia è partito un progetto-pilota che si differenzia da tutti gli altri effettuati fino ad oggi.
L’idea è venuta ai professionisti dello Studio Vertebral di Messina e si basa sullo “sfruttamento” del mellon, una sorta di ecolocalizzatore presente nella scatola cranica dei delfini che governa la frequenza delle onde sonore. Si è scoperto che gli ultrasuoni emessi dall’animale interagiscono con le funzioni neurologiche delle persone e l’evidenza clinica finora registrata conferma effetti positivi e duraturi sulla spasticità, l’interazione sociale e il ritmo sonno-veglia.
La Bio Sonar Dolphin Therapy, dunque, non si avvale solo dell’esperienza ludica, ma cerca di comprendere se si possono avere modificazioni su funzioni neurologiche alterate più o meno complesse e nei casi di tetraplegia, ma anche nei pazienti adulti con esiti post-traumatici e post-coma.
La prima sessione si è svolta al Dubai Dolphinarium con due bambine, una affetta da microcefalia con spasticità, l’altra da epilessia farmacoresistente. Il confronto degli esami strumentali effettuati prima e dopo la terapia dimostra un cambiamento dell’attività cerebrale.
La ricerca non si ferma, e se si riuscirà a coniugare il rispetto per i delfini e la salute delle persone avremo a disposizione una nuova forma di amicizia uomo-animale che fa bene alla salute e al cuore.