Negli ultimi anni si sta assistendo a un numero sempre crescente di genitori che, per esigenze di cura dei propri figli con diagnosi di autismo, intraprendono azioni legali per garantire le migliori terapie che, purtroppo, finiscono per essere erogate solo su provvedimento giudiziario. Dovrebbero infatti essere garantite dal Servizio Sanitario Nazionale, ma sono sistematicamente negate dalle ASL locali, per presunte, anche se spesso celate, ragioni di budget.
Recentemente, nell’accogliere l’ennesimo ricorso promosso da una famiglia frustrata da un sistema amministrativo che spesso si accanisce proprio contro chi avrebbe bisogno di maggiore protezione, il Tribunale di Avellino ha riconosciuto a un dodicenne con una grave forma di autismo il diritto alle cure, ordinando all’ASL di erogare il richiesto trattamento ABA (Analisi Comportamentale Applicata) in regime residenziale, «al fine di tutelare il diritto alla salute, altrimenti compromesso, in maniera irreversibile e definitiva, in conseguenza del mancato conseguimento dei benefìci connessi alla cura».
L’ASL dovrà dunque erogare un trattamento ad alta intensità di tipo residenziale ai sensi dell’articolo 32 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 18 marzo 2017, «attraverso la presa in carica del minore presso un centro convenzionato per l’attuazione di un programma psicoeducativo personalizzato, ispirato ai principi dell’Applied Behaviour Analisys [ABA, N.d.R.], con 25 ore di terapia settimanali sulla base delle linee guida nazionali (LG21) e 3 ore di supervisione settimanali, in linea con i programmi previsti dal Behavior Analyst Certification board, oltre all’applicazione del protocollo Hanley».
A questo punto la famiglia e la nostra Associazione che l’ha sostenuta in diverse battaglie, non solo legali [ANGSA Campania, Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici, N.d.R.], auspicano il recupero del minore e il suo reinserimento sociale nei contesti di una vita ordinaria e con una progettualità individuale.
Ci si augura anche che la positiva soluzione della vicenda di “Fortunato” (nome di fantasia) possa essere comune a quella di tanti suoi coetanei i quali, privati di un reale programma psicopedagogico e riabilitativo intensivo in epoca precoce, arrivano all’età adolescenziale del tutto impreparati, destabilizzando ulteriormente le loro famiglie, che si trovano – in un clima di ipocrisia e buonismo – a fronteggiare da sole crisi comportamentali e puberali assai difficili da gestire anche per gli addetti ai lavori.
Ma vi è di più. In assenza infatti di una progettualità strutturata sulle reali necessità individuali, spesso si fa ricorso ai farmaci, la “panacea di tutti i mali” (sic!), che alla lunga, invece di risolvere i problemi finisce per complicarli ulteriormente.
Il trattamento residenziale, imposto dall’Ordinanza del Tribunale di Avellino, non è certo un modo di allontanare dalla famiglia un minore in difficoltà, ma va considerato come una reale opportunità di recupero. I progressi raggiunti da “Fortunato”, del resto, sono sotto gli occhi di tutti ed è bello vedere come adesso si relaziona con la famiglia, con modi calmi e contenuti, impensabili solo qualche mese prima.
Una nuova… palingenesi, quindi!