In questi giorni si è segnatamente aperto un dibattito dentro e fuori il mondo della disabilità su come garantire il diritto allo studio degli alunni e delle alunne con disabilità, a causa della sospensione della didattica dovuta all’emergenza sanitaria legata al coronavirus.
Insieme alla FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), la nostra Federazione [FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, N.d.R.] aveva proposto l’istruzione domiciliare [se ne legga anche su queste pagine, N.d.R.], ipotesi sostenuta anche da Dario Ianes, docente di Pedagogia e Didattica Speciale alla Libera Università di Bolzano, oltreché co-fondatore del Centro Studi Erickson.
Dal canto suo, il CIIS (Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno) ha proposto che gli assistenti per l’autonomia e la comunicazione si rechino a casa degli alunni con disabilità, mentre la sindaca di Roma Virginia Raggi, tramite un proprio Decreto, ha addirittura ordinato agli assistenti per l’autonomia e la comunicazione dipendenti o convenzionati col Comune di Roma di recarsi a casa degli alunni con disabilità.
Di fronte a ciò, i rappresentanti degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione di Roma hanno diramato una loro posizione contraria a quelle sopra evidenziate, sostenendo il rischio – per loro, ma anche per gli alunni, di recarsi in casa degli alunni con disabilità, stanti le norme che vietano o comunque sconsigliano gli spostamenti a chiunque [anche di questo si legga già sulle nostre pagine, N.d.R.].
Ebbene, in premessa credo sarebbe corretto in primo luogo differenziare la necessità assistenziale delle famiglie di persone con disabilità nella gestione concreta di questo momento critico, dall’assistenza e dal sostegno per l’apprendimento scolastico. E in tal senso non appare corretto utilizzare gli assistenti scolastici o i docenti di sostegno per la prima finalità, assolutamente da garantire, naturalmente, ma con le adeguate figure che non sono quelle previste per la scuola.
Detto questo, in merito alle proposte per la scuola, a parere di chi scrive non è possibile definire un’unica soluzione che vada bene per tutte le situazioni, altrettanto variegate nel concreto. Se infatti riaprire le scuole potrebbe essere una soluzione nei piccoli centri o in quelle situazioni in cui gli alunni e i docenti abitano vicino alla scuola, tanto da poterla raggiungere a piedi, nelle città questo comporterebbe la necessità di maggiori spostamenti e l’utilizzo dei mezzi pubblici che ora sono da evitare. E in ogni caso l’utilizzo delle scuole appare decisamente più complicato, comportando il coinvolgimento di più persone e caratterizzandosi quindi come più rischioso dal punto di vista del contagio: si raddoppierebbero, infatti, gli spostamenti (alunni+insegnanti/operatori, che dovrebbero tutti raggiungere la scuola).
Anche se più complesso, dunque, sarebbe forse meglio prevedere un ventaglio di possibili misure da adottare secondo le diverse situazioni, coinvolgendo anche le famiglie e le scuole nella decisione della misura da applicare ai singoli alunni e alunne.
Credo quindi che bisognerebbe innanzitutto puntare il più possibile sul garantire modalità di didattica a distanza adeguate anche al maggior numero possibile di alunni con disabilità, per evitare spostamenti e contatti tra persone, come è previsto per tutti gli alunni.
Per gli alunni, poi, che non fossero in grado di utilizzare la didattica a distanza o non ne potessero trarre beneficio, si potrebbe anche prevedere l’uso delle strutture scolastiche, ma limitatamente alle situazioni che non comportino necessità troppo elevate di spostamenti (si pensi ai docenti precari che quotidianamente devono partire ad esempio dalla Campania, per andare a svolgere il proprio servizio nelle scuole di Roma!) e che possano garantire anche un lavoro in sicurezza rispetto alle norme igieniche e di distanza interpersonale.
Nei casi in cui questo non sia possibile, si dovrebbe prevedere l’invio presso le case di operatori o docenti, ma sempre limitatamente alle situazioni nelle quali sia possibile garantire anche qui le norme igieniche e senza comportare lunghi spostamenti delle persone.
Per ogni altra situazione credo che in questo momento, purtroppo – e sottolineo “purtroppo” – sia meglio rinunciare al diritto individuale allo studio, piuttosto che a quello collettivo alla salute, ciò che d’altronde vale anche per gli alunni e le alunne senza disabilità, senza tuttavia far venir meno il necessario supporto concreto alle famiglie in maggiore difficoltà di cui dicevo all’inizio, ma con le misure e gli operatori adeguati per questa finalità.
Naturalmente ogni soluzione presenta dei pro e dei contro, e dev’essere quindi collegata alle difficoltà che tutte le famiglie stanno vivendo, da inserire, quindi, all’interno delle misure più generali che si stanno pensando per tutti: possibilità di lavorare da casa e/o assentarsi dal lavoro, benefìci economici per pagare delle persone che possano stare con i figli mentre i genitori lavorano ecc.
Inoltre, qualunque possa essere la soluzione che si potrà offrire, va lasciata alle famiglie la scelta finale se usufruirne o meno. Si tratta infatti di una questione molto complessa e variegata e quindi anche la soluzione dev’essere tale.