Sono usciti proprio ieri, 26 marzo, i primi dati riferiti alla prevalenza dell’autismo nei bambini di 8 anni degli Stati Uniti. Secondo tali dati, la prevalenza dei casi aumenta da un bambino ogni 59 nel 2014 a uno ogni 54 nel 2016, con un aumento, quindi, di circa il 10%. Nella rilevazione del 2000, invece, la prevalenza era stata di un bambino su 166. Stabile resta il rapporto fra maschi e femmine che è di 4 a 1.
Si tratta dell’indagine compiuta ogni due anni dai CDC di Atlanta (Centers for Disease Control and Prevention) e riferita a undici Stati degli USA, avvalendosi della collaborazione dei servizi sanitari e della scuola, in piena sinergia fra loro. Promotore dell’iniziativa è Autism Speaks, la principale organizzazione statunitense impegnata in questo settore, che ne ha appunto pubblicato la notizia (a questo link).
Non deve stupire più di tanto questo ulteriore aumento, che prosegue l’andamento registrato negli anni passati, come si può vedere anche dal grafico allegato, che riporta in ascissa gli anni di pubblicazione dei dati rilevati quattro anni prima. A tal proposito rinvio al mio precedente commento dei dati pubblicati nel 2018 sempre su queste pagine.
Nel comunicato di Autism Speaks si scrive anche che per la prima volta la prevalenza della diagnosi nei bambini afroamericani ha raggiunto quella dei bambini bianchi. L’autismo, infatti, non conosce le frontiere delle etnie e semmai ciò può dipendere dalla frequenza dei matrimoni fra consanguinei favoriti da alcune società differenti da quella americana. Il gap, invece, poteva derivare da differenze sociali, che sono state superate. Resta invece ancora distanziata la prevalenza riscontrata nelle persone ispanoamericane, ma Autism Speaks si propone di migliorare la sensibilità e l’accesso ai servizi anche di questa minoranza della popolazione notoriamente disagiata, che pertanto è destinata ad aumentare la prevalenza totale.
La prevalenza crescente è dovuta in parte anche all’aumento dello screening dello sviluppo psicologico compiuto in età precoce, verso i 3 anni, che passa dal 74% all’84%. Il tutto, come già detto, è frutto della sinergia nella rilevazione fra servizi sanitari e scuola, poiché nelle classi dove si trovano i bambini di 8 anni, gli insegnanti operano una prima scrematura di coloro che presentano alcuni sintomi, successivamente confermati da un’équipe di sanitari esperti.
Analoghe indagini condotte su scala molto minore anche in Italia hanno trovato prevalenze non molto lontane da quelle degli USA.
Più in generale si può dire che l’accesso agevolato ai servizi diagnostici e la maggiore attenzione degli operatori influiscono senza dubbio sull’aumento della prevalenza, ma una parte consistente sembra invece dipendere da un reale aumento del fenomeno, che anni addietro venne quantificato da uno studio danese nel 40% dell’aumento totale.
L’aumento dell’autismo è un grave problema di sanità pubblica, data la grande complessità del suo trattamento e il relativo costo, che nei casi gravi non trattati con gli interventi di educazione speciale indicati dalla Linea Guida n. 21 (Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti) dell’Istituto Superiore di Sanità, si valuta possa costare circa 3 milioni per ogni vita.
È quindi necessaria una maggiore attenzione al fenomeno, facendo ricerche per identificare le molte cause organiche di autismo ancora ignote, le possibili terapie e attuando precocemente gli interventi di pedagogia speciale in forma intensiva, che si sono dimostrati efficaci almeno per ridurre la gravità del disturbo.
In tal senso va ricordato che in occasione del 2 aprile prossimo, dodicesima Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo, #sfidAutismo20 della FIA (Fondazione Italiana Autismo) proporrà una campagna di sensibilizzazione e di raccolta fondi (dal 30 marzo al 12 aprile, anche con l’SMS solidale al numero 45588), per finanziare progetti di ricerca necessari a scoprire le cause organiche dell’autismo e i rimedi efficaci per le persone con autismo. Il finanziamento della ricerca, infatti, è una condizione indispensabile per individuare terapie e interventi psicoeducativi che migliorino la qualità della vita delle persone con autismo e dei loro familiari.
Docente di Programmazione dei Servizi Sociali e Sanitari al Master sull’Autismo dell’Università di Modena e Reggio Emilia (hanau.carlo@gmail.com).
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