La situazione che stiamo vivendo ci deve portare a riconsiderare profondamente i contenuti del Piano Socio Sanitario Regionale della Lombardia.
Questo strumento era da noi già considerato un documento debole, almeno per le parti che ci riguardano. Alla disabilità e alla non autosufficienza è stato dedicato un capitolo di due pagine e mezza. Il punto dirimente, e su cui si dovrebbe impostare una nuova progettualità sulla disabilità, è che fino ad oggi non si è dato seguito alle nostre richieste di un sistema di welfare maggiormente basato sulla presa in carico e sulla progettazione personalizzata, senza riuscire a mettere in pratica e a attuare questi princìpi.
Ciò deriva dal fatto, ed è un punto di critica molto forte da parte nostra, che le competenze in materia di welfare sociale sulla disabilità siano passate, nel giro di cinque anni, da un solo Assessorato (Famiglia e Politiche Sociali) a ben tre (Welfare, Politiche Sociali, Famiglia). E l’assessorato con più risorse (Welfare) è quello che in questi anni ha mostrato minore interesse al tema della disabilità.
Di integrazione sociosanitaria si è parlato molto in questi anni, ma poi molto si è fermato all’attivazione delle Unità di Valutazione Multidimensionale, chiamate sostanzialmente a certificare i criteri di accesso a misure come la B1, B2, ProVI e 112*. Per noi appare inoltre clamoroso che da un lato la stessa Legge Regionale inserisca la disabilità psichica nell’area della Salute Mentale delle ASST (Aziende Socio Sanitarie Territoriali), ma poi questo Piano non prevede nessuna iniziativa in questo senso.
Queste nostre considerazioni assumono ulteriore pregnanza alla luce dell’emergenza che stiamo vivendo.
Innanzitutto una considerazione di carattere generale: la Legge di riforma del sistema sanitario regionale del 2015 [Legge Regionale 23/15, N.d.R.] era tarata sulla necessità di un’organizzazione territoriale della Sanità, superando la visione della centralità degli ospedali. In questa fase di emergenza occorre dire che è mancato proprio questo aspetto della presa in carico da parte del sistema dei medici di medicina generale, nonostante i molti casi di abnegazione che ci sono stati. Ci sembra un po’ surreale che, di fronte all’evidente prova di inadeguatezza del nostro sistema sociosanitario, il Consiglio Regionale discuta ancora di un Piano Sociosanitario che dovrebbe essere sostanzialmente riscritto da capo, privilegiando gli interventi territoriali rispetto a quelli ospedalieri e ripensando a un peso maggiormente equilibrato tra comparto sanitario e quello sociale: bisogna ricordare che la salute non è assenza di malattia e che gli interventi sociosanitari non possono essere confinati solo nel contrasto alla malattia – acuta o cronica che sia – e che i determinanti della salute decisivi sono quelli ambientali.
Tornando al campo della disabilità, siamo testimoni del fatto che è mancata, da parte della Regione Lombardia, la capacità di mettere in sicurezza le persone affidate attraverso i servizi semiresidenziali e residenziali: ambienti che, al momento della prova, sono stati quelli dove la diffusione del virus è stata più veloce che altrove.
Abbiamo anche la conferma del disinteresse di quanto capita alle persone che vivono a casa propria e frequentano i servizi della comunità. Ci troviamo di fronte a un’Amministrazione Pubblica che non riesce a sostenere e governare un sistema complesso e articolato, dove gli attori sono diversi (Comuni, ATS, ASST, Enti di Terzo Settore, tra cui anche le Associazioni) e diverse le competenze e che lascia che “si arrangi”… con effetti tragici (RSA-Residenze Sanitarie Assistenziali), drammatici (RSD-Residenze Sanitarie Disabili e altri servizi per la disabilità) o comunque molto seri (abbandono delle famiglie), con anche tanti esempi di autorganizzazione positivi territoriali.
Partendo da queste considerazioni, riteniamo sia necessario un profondo cambiamento del sistema di welfare sociale regionale per la disabilità, basato sulla necessità di riconoscere il diritto universale alla presa in carico della persona con disabilità, al suo accesso a un processo di valutazione multidimensionale orientato alla progettazione individuale per la vita indipendente, all’inclusione sociale e alla migliore qualità della vita, nonché la ridefinizione del funzionamento dei sostegni e servizi – a partire dalle Unità di Offerta Socioassistenziali e Ssociosanitarie – che devono essere liberati da un castello di norme rigide, inutili e dannose, per rispondere all’obiettivo di essere strumenti di realizzazione dei progetti delle persone.
Quindi stabilire quali siano e come debbano funzionare i luoghi di progettazione individualizzata (che siano unici e unitari e quindi gestiti insieme da Associazioni, Comuni, ASST ed Enti di Terzo Settore), chi ci debba lavorare e con quale formazione di base e permanente, con quali risorse ecc.
Infine, ma non per ultimo, definire un piano per la progressiva deistituzionalizzazione e riconversione delle strutture oggi esistenti e ripensare al lavoro socioeducativo come lavoro di educazione della comunità. Stabilire il diritto a decidere da chi e dove farsi assistere.
*La Misura B1 è finalizzata a garantire la permanenza a domicilio e nel proprio contesto di vita delle persone con disabilità gravissima; la Misura B2 è basata su interventi a favore di disabili gravi e di anziani non autosufficienti; ProVI si riferisce ai progetti di Vita Indipendente, 112 alla Legge 112/16, la “Legge sul Dopo di Noi” (o “sul Durante e Dopo di Noi”).
Presidente della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Il presente testo coincide con l’intervento presentato nei giorni scorsi in audizione, presso la III Commissione del Consiglio Regionale della Lombardia.
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