Scrivo in relazione alla situazione drammatica degli anziani malati cronici non autosufficienti, ricoverati nelle RSA, residenze sociosanitarie, ringraziando innanzitutto i mezzi di informazione per avere mantenuta alta l’attenzione, ciò che ha dato il tempo per far sì che il problema non fosse rimosso, ma venisse assunto come un fatto di una crudeltà inaudita e per questo doveroso di interessamento da parte della Procura, dei NAS e dell’opinione pubblica. E ci auguriamo anche della politica, perché urgono modifiche importanti all’attuale organizzazione delle cure (domiciliari, residenziali e ospedaliere) per i malati anziani non autosufficienti, perché non debba più accadere e perché potrebbe capitare anche a noi e ai nostri cari.
Le RSA sono state usate in alcune Regioni (Lombardia, Piemonte) per “scaricare” i dimessi dagli ospedali, ancora infetti, senza alcun riguardo nei confronti dei ricoverati anziani, indifesi e mandati alla morte anzitempo, perché i ricoverati sono stati considerati “scarti”, in quanto “vecchi improduttivi”, “non utili”. Si è potuto fare grazie alla cultura dello “scarto” fomentata negli anni passati e presenti, e proprio grazie anche all’uso distorto delle parole con cui ci si riferisce, a tutt’oggi, alle persone anziane non autosufficienti.
Passata l’emergenza, non andrà molto meglio per questi malati anziani, se non ci sarà il riconoscimento delle loro esigenze sanitarie vitali.
Per promuovere il necessario cambiamento di mentalità, è quindi indispensabile cominciare ad affrontare la tematica con un utilizzo appropriato delle definizioni, che abbiamo sentito nei servizi televisivi o radiofonici, e letto sui quotidiani stampati e online.
A questo riguardo preme chiarire che:
1. La RSA non è una “casa di riposo”, termine colloquiale e fuorviante, non in uso in alcun provvedimento ufficiale, ma una struttura del Servizio Sanitario preposta alla cura di malati che hanno continue fasi di acuzie. La definizione “casa di riposo” fa parte di una cultura obsoleta, quando venivano ricoverati vecchi soli e poveri. Non è più così.
2. Nelle RSA sono ricoverati anziani malati, con pluripatologie croniche dalle quali deriva la non autosufficienza; nella maggioranza dei casi sono affetti altresì da Alzheimer o altre forme di demenza. Non sono ospiti di un “albergo”, ma ricoverati in una struttura del Servizio Sanitario. Dobbiamo dunque al coronavirus se è stato ormai riconosciuto da tutti i massimi esperti del nostro Servizio Sanitario Nazionale la gravità delle loro condizioni e l’urgenza di reimpostare, come Ministero della Salute, l’organizzazione sanitaria e socio-sanitaria, per soddisfare le loro esigenze, a partire dal potenziamento delle prestazioni domiciliari.
3. Le RSA non sono strutture private, ma dipendono dal Servizio Sanitario Nazionale e Regionale, che le governa mediante le Aziende Sanitarie locali. L’Azienda Sanitaria – ove non sia in condizione di erogare direttamente le prestazioni socio-sanitarie residenziali – oltre a finanziare il sistema di offerta, delegandone l’organizzazione, definisce gli standard ed esercita funzioni di vigilanza nei confronti dei soggetti privati erogatori. I gestori privati accreditati sono organi indiretti delle amministrazioni.
4. La solidarietà familiare, quando c’è, ha un valore aggiunto nella salute dell’anziano malato non autosufficiente, specie se con demenza; ma i familiari non hanno obblighi di cura. Ai sensi dell’articolo 32 della Costituzione, infatti, l’anziano malato non autosufficiente ha il diritto soggettivo ed esigibile al ricovero in una RSA, in convenzione con l’ASL, se non può essere curato al domicilio. La Regione deve garantire almeno il 50% del costo della retta di ricovero.
I punti di cui sopra non sono questioni di forma, ma di sostanza. Il diritto a ricevere cure sanitarie e socio-sanitarie adeguate alle esigenze deriva dal riconoscimento che sono un anziano malato cronico non autosufficiente e non un ospite.
Ciò premesso, ricordo che la priorità è ottenere il diritto ad essere curati prioritariamente a casa, se e quando possibile, dal Servizio Sanitario, il quale deve accettare che la maggioranza dei malati ha patologie croniche ed è candidato a diventare un malato non solo inguaribile, ma anche non autosufficiente. Sempre curabile, in ogni caso, senza discriminazioni per età, malattia o censo.
Presidente della Fondazione Promozione Sociale.
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