Famiglie resilienti sì, ma con la necessità di essere sostenute

Un significativo incremento dei cosiddetti “comportamenti problema”, varie strategie di adattamento alla situazione, all’insegna della resilienza, ma anche la necessità di un maggiore sostegno, nel dopo pandemia, con un’azione combinata tra il settore pubblico e il terzo settore: sono le risultanze di un’ampia indagine specificamente condotta dalla Nostra Famiglia sulle famiglie di bambini con disturbi del linguaggio, dell’apprendimento, deficit motori, disturbi dello spettro autistico o disabilità intellettiva, che fanno riferimento ai vari Centri della stessa Nostra Famiglia

Bambino in carrozzina insieme a bambini non disabiliIl distanziamento sociale disposto in situazioni di emergenze pubbliche di natura pandemica si associa a un incremento di problemi di salute mentale: una serie di studi, infatti, hanno rilevato tassi significativamente più elevati di sintomi da stress post-traumatico nei bambini con “sviluppo tipico” e nei loro genitori. Per quanto noto, tuttavia, non c’erano stati finora studi che avessero esaminato l’incidenza di manifestazioni di disagio psicologico nei bambini con disabilità e nelle loro famiglie.
«I bambini – secondo Massimo Molteni , direttore sanitario dell’Associazione La Nostra Famiglia – sono i grandi dimenticati di questa pandemia: i loro bisogni di socialità, di gioco comune, di vitali relazioni tra pari sono stati nascosti dalla immane tragedia che ci ha colpito: nascosti, ma rimangono. I bambini con disabilità o con condizioni esistenziali particolari, come quelli con autismo o con disabilità dello sviluppo intellettivo, forse i più sofferenti, sono addirittura completamente “scomparsi dai radar”».
Non è quindi un caso che si chiami proprio RADAR, ovvero “EspeRienze nell’emergenzA Covid-19 nei bAmbini con disabilità e nei loro genitoRi”, la specifica indagine che la stessa Nostra Famiglia ha voluto sviluppare, approfittando del proprio osservatorio unico e prezioso, costituito da numerosi Centri presenti in sei regioni italiane (Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Puglia e Campania). I dati raccolti riguardano ben 1.472 genitori e 1.630 bambini e ragazzi.
A coordinare l’indagine – basata su risposte anonime fornite dai genitori di bambini in carico presso i Centri della Nostra Famiglia – è stato Rosario Montirosso, responsabile del Centro 0-3 per il Bambino a Rischio Evolutivo, e da Gianluigi Reni, responsabile dell’Area in Tecnologie Applicate dell’IRCCS Medea-La Nostra Famiglia.
«Abbiamo voluto capire – spiega Montirosso – come le famiglie hanno vissuto questa esperienza e quali sono i fattori di rischio e di protezione che si associano ai livelli di stress nei bambini e nei genitori. Lo scopo è stato sostanzialmente quello di avere conoscenze mirate per poter indirizzare eventuali azioni di sostegno».
«Le tecnologie che quest’epoca ci offre – aggiunge Reni – e su cui La Nostra Famiglia ha tanto investito con numerosi programmi di ricerca, ci ha permesso di essere reattivi molto velocemente e di attivare l’indagine con una organizzazione alle spalle che ha lavorato in modo completamente virtuale».

Veniamo dunque ai risultati della ricerca, che ha preso in esame bambini con disturbi del linguaggio, dell’apprendimento, deficit motori, disturbi dello spettro autistico o disabilità intellettiva.
I ricercatori, dunque, hanno riscontrato nei bambini di tutte le età (da 0 a 10 anni) un incremento significativo di alcuni “comportamenti problema”, indice di una maggiore difficoltà di regolazione delle emozioni: per un terzo di loro, infatti, sono mediamente aumentati i comportamenti di ritiro, i comportamenti ansioso-depressivi, i problemi di attenzione e i comportamenti aggressivi.
L’83% dei genitori che hanno partecipato alla ricerca sono madri, con una media di 42,5 anni.
«Abbiamo chiesto ai genitori – dichiara Montirosso – di confrontare la loro attuale esperienza rispetto al periodo precedente alla situazione di emergenza dovuta al Covid-19. Ebbene, la fotografia emersa dallo studio è piuttosto variegata. Certo, i genitori si sentono mediamente più sopraffatti e sovraccaricati nel proprio ruolo genitoriale, ma un dato che ci ha stupito è che allo stesso tempo sono emerse meno emozioni negative di quanto ci si aspettava e la situazione di emergenza non ha impedito ai genitori di percepire elementi di positività nel loro ruolo anche in un momento così difficile. Tale risposta variegata allo stress dipende da molti fattori. Ad esempio, dalla nostra indagine emerge come fattore di rischio la pluridiagnosi: se cioè il figlio ha più patologie, i genitori sono segnatamente sottoposti a un carico maggiore».
L’indagine, tuttavia, ha messo in luce, oltre agli elementi di stress, anche strategie di adattamento alla situazione: per affrontare il periodo di emergenza sono stati dunque decisivi alcuni fattori, come le caratteristiche psicologiche, le capacità individuali, le abilità della persona di ricorrere all’aiuto della famiglia e della rete sociale esterna. Ad esempio, ci sono alcuni genitori che hanno una prospettiva più ottimista sul futuro, altri che si sono appoggiati molto alle risorse sociali. Tutti elementi, questi, che contribuiscono a migliorare l’impatto dello stress.

«Questa ricerca – sottolinea Montirosso – ci fornisce gli elementi per capire in quali àmbiti possiamo intervenire per aiutare i genitori e garantire loro una maggiore resilienza. Ma non solo: questi dati ci servono per adesso, ma anche per la fase “post lockdown”. I bambini con disabilità hanno bisogno di interventi terapeutici, riabilitativi, educativi che li aiutino a fronteggiare la loro quotidianità e, anche ad emergenza finita, la loro normalità non sarà subito disponibile».
«Più della metà delle famiglie – precisa dal canto suo Reni – ha segnalato bisogno di supporto negli àmbiti riabilitativi, didattici ed educativi, specialmente nel momento dell’isolamento. È una richiesta sfidante, che deve accelerare il processo di trasferimento dell’innovazione sviluppata nei laboratori di ricerca alla realtà della inedita vita quotidiana che ci aspetta».
«Dalle prime risultanze – conclude Molteni -, cui ne seguiranno altre, speriamo si possa gettare un fascio di luce sulla condizione di questi bambini e delle loro famiglie, utili anche nel dopo pandemia per sviluppare una rinnovata azione di attenzione da parte delle Istituzioni Pubbliche. Non ci si salva da soli e solo insieme settore pubblico e terzo settore possono trovare le giuste sinergie per continuare a camminare in modo rinnovato, utilizzando modelli e paradigmi nuovi, come la telemedicina e la teleriabilitazione, in combinazione ad interventi in presenza, con un forte coinvolgimento dei contesti, in primis la scuola, anche modificando vecchi schemi organizzativi e normativi. Speriamo pertanto che la creatività e la genialità italiana abbiano anche in questo àmbito il sopravvento sul grigio ordine burocratico che ha mortificato tante azioni a favore dei bambini con disabilità negli ultimi anni. In poche parole: dalla parte dei bambini, sempre!». (C.T. e S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficio.stampa@lanostrafamiglia.it (Cristina Trombetti).

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