Così sono diventata regista della mia vita

di Zoe Rondini*
«Dopo l’età della formazione viene l’età dell’autoaffermazione - scrive Zoe Rondini -: è così un po’ per tutti e in parte lo è stato anche per me, pur se con tempi, modi e obiettivi diversi da quelli delle persone “normali”. Ed è così che dopo il periodo adolescenziale e una volta concluso il liceo, cominciai a fare delle scelte più ponderate che mi hanno portata ad essere sempre più autonoma e, almeno in parte, ad essere io la “regista” della mia vita»
"Regista della mia vita" (©Fausto Vacca Fillo)
“Regista della mia vita” (©Fausto Vacca Fillo)

Dopo l’età della formazione viene l’età dell’autoaffermazione, è così un po’ per tutti e in parte lo è stato anche per me, pur se con tempi, modi e obiettivi diversi da quelli delle persone “normali”.
L’infanzia l’ho passata con i migliori specialisti. Medici, neurologi, neuropsichiatri infantili, fisioterapisti… i migliori del panorama italiano ed europeo degli Anni Ottanta e Novanta. Tutti questi “luminari” si aspettavano da me che compiessi degli sforzi sovraumani per camminare. A cinque anni sono stata per un mese intero a casa di un riabilitatore inglese, ovviamente il più bravo nel suo campo. La fatica per camminare dalla mattina alla sera, tutti i santi giorni, me la ricordo ancora… e se per caso riuscissi a dimenticare per un po’, ci sono sempre i duroni alle ginocchia che mi ricordano quei giorni.

Dal mio punto di vista, quello di una bambina dell’asilo e delle elementari, gli “esperti” non si curavano minimamente di come mi facessero sentire le loro richieste. Anche se mi nascondevo nell’armadio di mia madre o piangevo, non riuscivo a sottrarmi alle pretese riabilitative che, ai miei occhi, apparivano esagerate e assillanti. La volontà dei terapeuti aveva sempre la meglio. La mia famiglia si è sempre adoperata per scegliere i migliori operatori e per farmi crescere in un contesto il più normale e stimolante possibile.
Da adolescente ho provato ad affacciarmi in Associazioni che promuovevano lo sport per persone con disabilità, come strumento di formazione, d’inclusione e socializzazione. Presi l’iniziativa e trovai su internet un’importante Associazione Sportiva che si è resa disponibile ad un colloquio conoscitivo. Mia nonna mi accompagnò. Raccontai al Vicepresidente la mia familiarità con il nuoto e la voglia di fare amicizia, confrontarmi e divertirmi con altri ragazzi con disabilità. Controllai a lungo la mail per sapere in quale gruppo sarei stata inserita, ma non ricevei mai nulla.
Sempre grazie a internet scoprii un corso di vela che era aperto a persone “normodotate” e con disabilità, mi iscrissi. Al di fuori delle lezioni non c’è stata nessuna inclusione: il gruppo era composto da persone normodotate dagli 8 ai 30 anni, eravamo pochi ed io ero l’unica “rappresentate” della categoria dei teenager.

Dopo il periodo adolescenziale e una volta concluso il liceo, cominciai a fare delle scelte più ponderate che mi hanno portata ad essere sempre più autonoma e, almeno in parte, ad essere io la “regista” della mia vita. Ma procediamo con ordine.
La prima decisione importante e il primo passaggio verso l’autonomia fu quello di prendere la patente di guida a diciotto anni. A ventuno sono andata a vivere da sola con il fondamentale sostegno dei miei familiari. Nello stesso periodo, grazie all’insistenza di mia nonna, seguitai gli studi e mi iscrissi alla Facoltà di Scienze dell’Educazione e della Formazione presso l’Università La Sapienza di Roma.
Dai primi esami mi appassionai agli studi psicopedagogici e mi trovai finalmente a mio agio nella realtà universitaria, scoprendo che era completamente diversa da quella della scuola privata che avevo frequentato. Per la prima volta potevo permettermi di rallentare, ripetere un esame per tenere alta la media: non dovevo più correre per raggiungere un obiettivo imposto da altri.
Ero soddisfatta delle mie conquiste sul piano dell’autonomia e di ciò che facevo. Ma sentivo la mancanza di un’esperienza molto importante. A ventidue anni decisi di ricorrere nuovamente ad internet per sperimentare la sessualità e l’amore. Ho un bel ricordo della prima esperienza, ci siamo frequentati per un po’, ma non è scattata la scintilla. Tutto iniziò con un mio messaggio pubblicato su un forum per persone con disabilità, in seguito mi iscrissi in una delle tante chat per incontri per “normodotati”. Erano anni molto diversi da oggi, su internet si poteva incontrare gente con la testa sulle spalle. Infatti poi, grazie a quella chat, ho potuto vivere la mia prima storia d’amore corrisposta. Era un uomo molto più grande di me, siamo stati più di un anno insieme, non era ben visto dalla mia famiglia, questo elemento e l’età hanno fatto affievolire l’amore da parte mia; fui io a lasciarlo.

In seguito a questa storia importante, sulla stessa chat ho conosciuto un uomo speciale che, ancora oggi, a distanza di quindici anni, reputo il mio migliore amico. Tra questi due legami molto forti sono intercorse delle conoscenze che, con il senno di poi e una maturità differente, penso non sia valsa la pena di sperimentare; ma è un po’ difficile capirlo prima, soprattutto quando si è alle prime esperienze.

Negli ultimi anni molti accadimenti mi hanno fatta maturare e stare meglio con me stessa. Ho avuto tante soddisfazioni lavorative: la pubblicazione del romanzo di formazione Nata Viva, la realizzazione dell’omonimo cortometraggio, le diverse collaborazioni giornalistiche intraprese e l’ideazione del progetto pedagogico Disabilità e narrazione di sé; come raccontare le proprie piccole e grandi disabilità, che da qualche anno porto nelle scuole e nelle Università di Roma e Provincia.
Mi sto dedicando molto al lavoro, con il quale cerco di aiutare i ragazzi che incontro nelle scuole e ce la metto tutta per provare ad essere utile alle persone con disabilità e alle rispettive famiglie attraverso la scrittura.
Nonostante ciò, a volte ho la sensazione di essere comunque deficitaria: alla mia età tante persone “normali” hanno una famiglia, dei figli, una carriera, molti amici; sono appagate su più punti di vista. Mi rendo conto che, rispetto a loro, ho pochi affetti importanti. I miei progetti lavorativi mi stanno dando grandi soddisfazioni, anche se avverto la difficoltà nel portare avanti un lavoro continuativo che riesca a collegare le mie diverse attività. Mi piacerebbe riuscire a legare tutto ciò che faccio e ad inserirlo in un progetto unitario e di ampio respiro, insieme a un team di professionisti: pedagogisti, scrittori, ghost writer, esperti nella comunicazione multimediale… Sarebbe importante riuscire a dare al mio lavoro un’organizzazione sistematica per essere sempre più utile agli altri.

Negli ultimi anni, tra l’altro, sto approfondendo l’approccio olistico della persona. In tale filosofia  l’individuo è la somma di Corpo, Mente e Spirito: ogni nostra parte è correlata alle altre e tutte si influenzano reciprocamente. In questa visione globale il contesto sociale e culturale riveste un ruolo importante da analizzare, poiché non si può avere una visione completa dell’essere, se non si esamina il contesto culturale, sociale e lavorativo dove egli si è formato ed è inserito.
Ciò detto si lega molto al mio vissuto: oggi sono soddisfatta del personaggio pubblico che sono diventata grazie alla scrittura e agli altri progetti, ma per la sfera privata e i legami interpersonali non posso dire la stessa cosa.
Facciamo però un passo indietro. Fino a ventidue anni mi sentivo incompleta, sentivo una mancanza importante: a differenza di molte mie coetanee non avevo vissuto delle esperienze d’amore e di intimità. Decisi allora di ricorrere nuovamente ad internet perché non potevo contare sull’aiuto di amici, fisioterapisti e assistenti vari. Mi ritengo fortunata di aver trovato ciò che all’epoca desideravo più di ogni altra cosa.
Ora, però, la situazione delle chat è molto differente. C’è anche da tener presente che noi donne più maturiamo più diventiamo complicate, non ci accontentiamo di chi secondo noi non ci capisce o non ci valorizza. Sotto questo aspetto mi sento parte di una lunghissima schiera di donne sui quarant’anni o anche un po’ di più, che dice: «Meglio sola che male accompagnata», «Ma per chi mi hai preso?», o ancora «Ormai ho le mie abitudini… sono stufa di dover essere sempre io quella che si deve adattare».
Il motivo per il quale mi dico che devo puntare sul mio lavoro e sto bene da single non è solo la mia disabilità motoria, anche se ritengo che non sia un elemento facilitatore! Recentemente quelle poche volte che ho riprovato ad usare un sito d’incontri, mi sono resa conto che il degrado è aumentato. Quando parlo nelle scuole, all’università, ai convegni… mi piace “metterci la faccia”. Per l’amore è diverso, torno a cercarlo nella realtà virtuale poiché all’infuori di essa non ho trovato valide opportunità di conoscere persone interessanti e single.
Quando mi rapporto con l’altro sesso sembra sempre che debba dimostrare di saper amare o di saper accontentare un possibile partner, ma ciò non è scontato e non corrisponde alla realtà.
Spesso non mi sono sentita capita, ma Freud stesso un giorno scrisse: «Il grande quesito a cui non sono riuscito mai a dare una risposta malgrado i miei trent’anni di ricerca nell’animo femminile è: che cosa vuole una donna?». Il padre della psicanalisi non è stato l’unico ad avere studiato le diverse dinamiche tra gli istinti maschili e il romanticismo femminile. Ad esempio, mi ritrovo perfettamente in uno studio americano, condotto dal Love Lab dello psicologo John Gottman e durato più di quarant’anni, il quale ha stabilito che sono due le insoddisfazioni che l’universo femminile manifesta più frequentemente oltre quelle già citate: «Non è mai lì per me» e «Non c’è abbastanza intimità e connessione». Per dare una parziale risposta a queste mancanze mi sono affacciata alla Via del Tantra. Si tratta di una via amorevole, che non ha a che vedere con l’atto sessuale fine a se stesso. È una pratica per conoscere la propria totalità e vivere in profondità la passione. Molte persone, anche con disabilità, cercano in questa “Via” delle risposte sulla propria sessualità.

Tempo addietro un amico con una forte disabilità motoria mi ha fornito la prova di ciò che pensavo riguardo alla Via del Tantra: dopo il suo primo massaggio, mi ha raccontato di essersi sentito accolto e coccolato, tutto il contrario delle esperienze sessuali vissute con rapidità e senza trasporto.
Nel confrontarci ci siamo trovati d’accordo sul fatto che nel massaggio erotico manca il legame di coppia e abbiamo rilevato la consapevolezza che le diverse aspettative che si hanno tra uomini e donne non più giovanissimi sono una delle cause per le quali  è più complicato avere una relazione soddisfacente dopo una certa età.
Oggi, se guardo al mio presente e al mio passato, mi sento soddisfatta e orgogliosa di ogni singolo traguardo, che non è mai stato scontato e sento una grande spinta a voler realizzare tanti nuovi progetti con l’impegno non solo mio, ma facendo squadra con dei professionisti.
Penso a quella sensazione di incompletezza che mi ha accompagnato nella crescita e che è presente ancora oggi e mi rendo conto che forse è proprio questa che mi ha spronato ad abbattere i miei limiti e a migliorarmi. Credo anche che, come me, molti altri vivano questa sensazione e che, in parte, tale frustrazione possa derivare da modelli di normalità imposti dalla famiglia, dalla scuola e in seguito dalla società. Ma tali modelli, spesso, non riguardano in realtà proprio nessuno, per fortuna!

Pedagogista e curatrice del portale “Piccolo Genio.it”. È autrice del libro “Nata Viva” (prima edizione 2011, Società Editrice Dante Alighieri).

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