Fine maggio. Leggiamo in «Retisolidali.it»: «Roma, Vietato l’ingresso senza mascherina in un negozio della catena Kiabi a un ragazzo di 11 anni con disturbo dello spettro autistico».
Inizio giugno. Da «la Repubblica» (cronaca di Palermo): «Ikea a Catania nega l’ingresso a una famiglia perché il bambino, disabile, con la sindrome di Angelman, non è munito di mascherina».
In entrambi i casi, va per altro aggiunto, sia a Roma che a Catania sono poi arrivate le scuse alle rispettive famiglie dei bimbi. Lascia semmai a dir poco perplessi che su quanto accaduto nella città etnea Facebook abbia bloccato dopo pochi minuti il profilo della madre del bambino, che vi aveva denunciato l’accaduto. Ma tant’è.
Per comprendere meglio la mancata conoscenza delle norme che sta dietro ad episodi come questi, bisogna naturalmente ricordare che il Decreto del Presidente del Consiglio del 17 maggio scorso (Disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, e del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, recante ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19), scrive esattamente così all’articolo 3, comma 2: «Ai fini del contenimento della diffusione del virus COVID-19, è fatto obbligo sull’intero territorio nazionale di usare protezioni delle vie respiratorie nei luoghi al chiuso accessibili al pubblico, inclusi i mezzi di trasporto e comunque in tutte le occasioni in cui non sia possibile garantire continuativamente il mantenimento della distanza di sicurezza. Non sono soggetti all’obbligo i bambini al di sotto dei sei anni, nonché i soggetti con forme di disabilità non compatibili con l’uso continuativo della mascherina ovvero i soggetti che interagiscono con i predetti [grassetti nostri nella citazione, N.d.R.]».
Detto questo, ben volentieri riprendiamo il commento dell’ANFFAS di Modica (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), che in una nota fa innanzitutto riferimento al fatto di Catania: «Su tale episodio – scrivono dall’Associazione siciliana, che è già stato ampiamente riportato dai mezzi di comunicazione, non ci soffermiamo più di tanto: la madre del bambino ha denunciato pubblicamente l’accaduto ricevendo, alla fine, le doverose scuse (del resto sarebbe stato sufficiente a tutelare la salute degli altri clienti il semplice rispetto della distanza interpersonale). Purtroppo, però, non si è trattato di un caso isolato. Cogliamo quindi spunto da questi episodi per ricordare ai nostri commercianti e concittadini che spesso è quasi impossibile imporre a determinate persone con disabilità l’uso dei dispositivi di protezione, per la difficoltà di apprendere nuove routine o per una maggiore suscettibilità dal punto di vista sensoriale».
«Mettiamoci quindi per un attimo nei panni di tante mamme di persone con disabilità (di ogni età) – aggiungono dall’ANFFAS modicana – che, in un momento difficile come quello appena trascorso, non solo hanno visto i figli privati di tutti i servizi di cui godevano, ma che non avrebbero potuto recarsi neanche a fare la spesa se non si fosse stabilito, anche a livello normativo, di introdurre eccezioni. È quindi essenziale essere informati sul fatto che delle deroghe ci sono e vanno rispettate: la paura del contagio non deve portarci a perdere l’uso del buon senso o dell’empatia, arrivando a trattare le persone con disabilità e le loro famiglie come “untori”. Il rischio, infatti, è quello di discriminare per l’ennesima volta persone che, già da prima del lockdown, avrebbero invece avuto diritto ad una maggiore inclusione».
Concordiamo fino all’ultima virgola. (S.B.)