Disabilità e non autosufficienza non sono sinonimi: una persona non autosufficiente è colui che a causa di una condizione patologica presenta gravi limiti o totali impedimenti nelle relazioni e nello svolgere attività essenziali alla propria sopravvivenza. Queste persone hanno difficoltà tali da non essere in grado di restare da sole neanche pochi minuti al giorno, senza correre rischi per la loro incolumità. In caso di malattia e di ricovero in àmbito ospedaliero, hanno la necessità di un supporto costante fatto di figure di riferimento affettivamente significative, che possano rappresentare un indispensabile “veicolo di facilitazione”, l’unica mediazione tra loro e il contesto sanitario.
Nessun trattamento terapeutico sanitario risulta essere efficace, se manca il rapporto di fiducia tra il paziente e l’intero sistema sanitario come pure l’indispensabile collaborazione, premessa essenziale per ogni tipo di cura e terapia.
Il caregiver familiare è una figura affettiva che, proprio per il fatto di avere ricoperto a lungo il ruolo di prestatore di cura e, al contempo, di facilitatore tra la persona non autosufficiente e il resto del mondo, rappresenta una risorsa indispensabile e universalmente riconosciuta per qualsiasi approccio terapeutico complesso, a maggior ragione in contesti di emergenza come quelli che occorre affrontare in una pandemia, dove la scarsità di risorse umane è costantemente in sovraffaticamento.
Per questo motivo appare indispensabile e urgente effettuare un protocollo obbligatorio, non più lasciato al giudizio insindacabile di un direttore/dirigente sanitario, che permetta la presenza del caregiver familiare per le persone non autosufficienti affette da Covid in ospedale sin dal loro ingresso in pronto soccorso e nei reparti di degenza, fino alle aree di terapia sub-intensiva.
Il protocollo deve garantire al caregiver che ne faccia richiesta di poter assistere il proprio familiare ventiquattr’ore su ventiquattro, dotato di tutti i DPI anticontagio previsti [dispositivi di protezione individuale, N.d.R.] e la possibilità di una stanza singola con doppio letto. Nell’eventualità, poi, che non sia possibile reperire una stanza singola, si potrà prevedere un ambiente separato all’interno di una stanza a più letti, mediante l’utilizzo di soluzioni mobili tipo separé, in modo da garantire il rispetto alla privacy della persona con disabilità e degli altri ricoverati. Questo per evitare il ricorso a ricoveri impropri, riconoscendo l’indispensabile risorsa dell’assistenza familiare nel supporto assistenziale del ricovero di persone che non possono essere considerate nelle medesime condizioni degli altri pazienti, ovvero in grado di segnalare malesseri, chiedere aiuto e collaborare al trattamento medico terapeutico.
Le Associazioni firmatarie di questo contributo stanno raccogliendo adesioni allo stesso da più parti d’Italia. Tra queste da segnalare anche quella dell’organizzazione DPI Italia (Disabled Peoples’ International). Per ulteriori informazioni: hermesonlus@gmail.com; oltrelosguardoonlusroma@gmail.com.