Provo dispiacere a dover intervenire per confutare le questioni sostenute da un caro amico come Salvatore Nocera, persona con cui ho condiviso la presidenza della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) per diciotto lunghi anni. Rispetto però alle opinioni da lui espresse su queste stesse pagine, nel testo intitolato Ma noi, persone con disabilità, non siamo tutti fragili per definizione!, la questione non è creare un luogo particolare, speciale o un trattamento diverso. Siamo già nel trattamento diverso. Siamo chiusi in casa, fuori dalla scuola e fuori dal lavoro. In taluni casi persino fuori dai centri diurni. Per non dire delle forme di assistenza domiciliare che si sono interrotte e mai riprese. Questo per legge. C’è voluto persino un articolo di un Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM), per prevedere che le persone che ci assistono si potessero avvicinare a noi. Nonostante ciò, i servizi di assistenza non si sono ripristinati completamente. Nessun sostegno specifico è arrivato ai caregiver familiari, che infatti stanno esplodendo. Il loro grido di dolore è presente e costante.
No, non è business as usual. Con la pandemia stiamo perdendo l’idea stessa di inclusione. Decine di anni di battaglie rischiano oggi di infrangersi contro un muro invalicabile a causa dell’esigenza della protezione. Lo dico sommessamente: la protezione è perché siamo più a rischio. Non è una mia opinione. E di fronte a tutto questo trovo del tutto fuori luogo parlare di “luoghi speciali”, quando si chiede priorità alla vaccinazione anti-Covid.
Ma c’è di più. C’è l’esigenza di comprendere di cosa stiamo parlando: ogni persona con disabilità, obtorto collo, è costretta ad avere rapporti molto ravvicinati con assistenti diversi, per ragioni intrinseche che non sfuggiranno a nessuno. I caregiver, a loro volta, hanno altre relazioni sociali e così via. Per le stesse identiche ragioni non vengono operate selezioni nelle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) tra le persone che devono essere vaccinate con priorità in base a specifiche caratteristiche cliniche. No, si vaccinano tutte. Lo si fa perché non sono nella condizione di poter mantenere le distanze. Semplicemente non possono rispettare il dettato normativo sulla distanza sociale. Per questa ragione, a prescindere dalla condizione di salute, sono più a rischio di contagio e al tempo stesso di contagiare altri. Quindi possono anche trasformarsi in “super-diffusori” del Covid e disseminare il contagio.
Se ciò non bastasse, occorre riprendere le fondamenta: le persone con disabilità hanno una condizione clinica di partenza, quella che l’ICF [Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.] definisce condizione biologica. L’ICF ci ricorda che non va dimenticata e infatti parla di condizione biopsicosociale. Quando la si tralascia, si nega la realtà e il Covid è lì ad insegnarcelo. E subito dopo, sì che si opera una discriminazione di fatto.
Devo essere molto chiaro: questa non è solo la mia personale posizione, di cui a pochi importa. È la posizione dell’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, ovvero il movimento europeo di tutte le Associazioni del mondo della disabilità incluse quelle italiane, incluse quindi le Federazioni FISH e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità). Il CESE (Comitato Economico Sociale Europeo) di cui sono membro e Presidente del Gruppo Studi Disabilità, ha accolto questo appello e lo ha fatto proprio. E la risposta delle Commissarie Europee Stella Kyriakides e Helena Dalli, riportata in un altro articolo sempre da «Superando.it», è stata positiva: sì, è corretta la richiesta di priorità dell’EDF! Può forse trarre in inganno il titolo di «Superando.it» che parla di «accessibilità e inclusività dei piani vaccinali», cosa che nessuno, né l’Unione Europea né il nostro Paese ha mai negato. Non potrebbero neanche farlo, ovviamente. Il nostro Paese, inoltre, ha un sistema sanitario universalistico che non può certo negare le cure e la prevenzione a nessuno, nemmeno a coloro che non sono cittadini italiani.
Le due Commissarie hanno aggiunto che faranno ciò che è in loro potere. Il punto è che poco è in loro potere: sulla salute la responsabilità pressoché assoluta è degli Stati Membri e solo grazie all’iniziativa di alcuni di essi, con in testa l’Italia, si è giunti ad un tavolo di concertazione comune sul Covid.
Quei tavoli hanno dato vita, tra gli altri, al documento sul piano vaccinale e sulle relative priorità, non la Commissaria Stella Kyriakides, che è stata poco più che un verbalizzatore. In quel documento, infatti, oltre ad una vaghezza estrema che lascia molti margini ai Paesi Membri, non c’è una virgola sulla disabilità, tanto che le due Commissarie nel loro comunicato ne danno un’interpretazione. È un primo timido passo che però lascia tutto ai Paesi Membri.
Per meglio comprendere le dinamiche europee in cui si inserisce quel documento, va ricordato che l’accordo sul Next generation EU [fondo di recupero stabilito dalla Commissione Europea, per sostenere gli Stati Membri colpiti dalla pandemia, N.d.R.] si è ottenuto grazie a un impietoso taglio ai fondi europei destinati ad alimentare gli interventi della Commissione in materia: in epoca di pandemia, infatti, la proposta della Commissione era di 9.4 miliardi, mentre il Consiglio Europeo lo ha ridotto a 1,7 miliardi! Quasi un azzeramento.
Segnale chiaro: la competenza nazionale della Sanità non si tocca. Il Parlamento Europeo si è espresso con chiarezza: ha accolto «con favore l’accettazione da parte dei Capi di Stato o di Governo del Recovery Fund», e ha attaccato però sui tagli, deplorando «la riduzione di parte delle sovvenzioni» nella fattispecie Sanità, Ricerca e Giovani. Ha poi colpito nel segno: «Spesso l’adesione esclusiva agli interessi e alle posizioni nazionali mette a repentaglio soluzioni comuni nell’interesse generale e avverte che i tagli vanno contro gli obiettivi dell’UE».
Nemmeno il CESE, ovviamente, ha risparmiato critiche ai tagli al comparto nel Parere EU4Health Programme (SOC/656-EESC 2020) al cui Gruppo di Studio ho preso parte. Sotto quest’aspetto quell’articolo è perlomeno elusivo.
Ritornando all’intervento di Nocera, ad adiuvandum, segnalo che l’ex presidente dell’INPS Tito Boeri, uno che ha frequentato questi lidi con una certa responsabilità, ha dichiarato di essere stupefatto dal fatto che tutti gli operatori dell’assistenza sanitaria sociosanitaria vengano prioritariamente vaccinati, salvo coloro che vanno a domicilio, comprese le badanti.
È esattamente questo il punto: le persone, purtroppo, a causa di questo maledetto virus muoiono nelle strutture sanitarie (nonostante la loro esistenza la si debba alla salvaguardia della salute!) tanto quanto nelle abitazioni private. Quello delle RSA è uno scandalo che colpisce tutta Europa. Questo non significa che il problema si esaurisca lì, tanto che molti Paesi Europei, dopo il personale sanitario, gli ospiti e i residenti delle RSA, hanno considerato subito le persone con disabilità ed altre condizioni di salute a rischio.
Tutto questo però, va detto, è del tutto superfluo perché il piano vaccinale italiano non prevede né una priorità per le persone con disabilità, tanto meno per quelle che hanno le caratteristiche biologiche specifiche cui faceva cenno Tillo. Saremo tutti in coda, senza priorità per nessuno che sia immunodepresso o che non lo sia.
Vicepresidente del Gruppo 3 (Area di Rappresentanza dedicata al Sociale) e presidente del Gruppo di Studio sui Diritti delle Persone con Disabilità nel CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo).
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