Ultimi giorni di scuola, tempo di bilanci! È stato un anno indubbiamente difficile e faticoso, che ha messo in luce alcune criticità da tenere sotto osservazione, per meglio gestirle nel prossimo futuro.
Per gli alunni e le alunne con disabilità tali difficoltà sono state particolarmente marcate, per evidenti motivi, innanzitutto a causa del distanziamento sociale e della didattica a distanza, che li hanno privati non solo dell’aspetto relazionale, ma anche dell’esercizio concreto della comunicazione (tutta, non solo quella verbale, anzi!), fondamentale per l’acquisizione degli stessi apprendimenti.
È vero che nella scuola dell’infanzia e in quella primaria si sono registrati meno problemi rispetto agli altri gradi scolastici, avendo garantito una frequenza in presenza più assidua e costante. Ed è vero anche che, nonostante le indicazioni ministeriali, non tutte le scuole hanno attivato per tempo la didattica in presenza per piccoli gruppi di alunni, insieme ai loro compagni con disabilità, in alternativa a una didattica a distanza irrealizzabile per molti (anche se ci sono state buone prassi persino in questa direzione, dalle quali si dovrà pur trarre qualche insegnamento sul fronte delle “Nuove tecnologie per la didattica e l’istruzione domiciliare”, quando indispensabili).
Cosa cambiare, dunque? Sicuramente l’approccio agli insegnamenti, ripensando cioè la didattica tradizionalmente intesa in favore di una strutturazione di ambienti di apprendimento per tutti (il cosiddetto Universal Design for Learning), perché quello che è necessario per qualcuno può diventare utile per tutti, secondo una logica inclusiva in cui davvero non si guardi solo al particolare di uno o più percorsi, ma che tenga conto degli stili di apprendimento di ciascuno; in una classe, infatti, gli alunni sono tutti diversi e quindi ogni attività didattica dev’essere proposta in modi che possono essere adattati alle esigenze di ciascuno.
La rigidità (proposta unica uguale per tutti) non è equa e non funziona. Creare una didattica flessibile significa prevedere fin dall’inizio tante forme diverse di fruizione-somministrazione-restituzione, lasciando lo studente (qualunque studente, non solo quello con disabilità o con Bisogni Educativi Speciali) libero di scegliere quella più efficace per lui.
Lo sguardo dell’ICF sul funzionamento umano [l’ICF è la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.], finalmente inserito per Decreto nei nuovi modelli di PEI (Piani Educativi Individualizzati), utilizzabili proprio dal prossimo anno scolastico, ci aiuta ad esempio a guardare la persona e la sua performance all’interno del contesto in cui si trova, superando lo stigma della patologia e finalmente rivoluzionando la prospettiva sulla persona: non cos’ha (o peggio “cosa non ha”), ma chi è.
Abbiamo un’occasione unica di cambiamento, non possiamo perderla; dobbiamo ragionare e dunque adeguare il sistema verso una corresponsabilità educativa di tutto il personale docente e non. Solo così si eviteranno le deleghe e si costruirà maggiore inclusione, in modo “naturale” e non imposto. Inoltre, una vera applicazione di didattiche flessibili e ambienti di apprendimento adeguati richiedono una riduzione del numero di studenti per classe (basta con le classi pollaio!), dove la classe va pensata come una comunità di individui attivi e partecipi anche ai processi educativi che li riguardano. Se ci pensiamo, la Pedagogia in fondo non deve forse garantire questo? Mettere al centro la persona e salvaguardare le unicità degli individui.
Un’ulteriore occasione imperdibile è quella degli aiuti finanziari derivanti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che nel settore Scuola investe (in modo a mio avviso ancora insufficiente, ma prendiamo tutto quello che arriva!) 0,80 miliardi di euro per lo sviluppo delle competenze digitali dei docenti, allo scopo di «favorire un approccio accessibile, inclusivo e intelligente all’educazione digitale». Altri 7,60 miliardi sono previsti per incrementare le abilità e le competenze digitali e per una «conoscenza dei software per la scrittura, il calcolo e per l’impiego delle applicazioni che oramai contemplano tutti i campi disciplinari, dall’arte alla scienza». 2,10 miliardi, infine, per implementare le scuole innovative e nuove aule didattiche e laboratori, mirando a trasformare gli «spazi scolastici in connected learning environments [“sambienti di apprendimento connessi”, N.d.R.] adattabili, flessibili e digitali, con laboratori tecnologicamente avanzati»: e questo va nella direzione sopraindicata anche per tutti gli alunni con bisogni educativi speciali.
Su tale tema, ad esempio, è interessante la proposta di movimenti studenteschi, quali UNIDAD (Universitari per la Didattica a Distanza Integrata), per i quali la didattica a distanza integrata non solo è una realtà possibile, ma è un’opzione che favorisce largamente il diritto allo studio. Per dirne una, lo è stato per lo studente lavoratore, per lo studente genitore, per lo studente fuori sede che non può permettersi un appartamento nella città universitaria o che, per motivi personali, non può allontanarsi da casa, nonché per studenti che a causa della loro fragilità spesso devono rinunziare e anche per il caregiver familiare.
A questo punto, come prepararci per il prossimo settembre? Intanto assistiamo come ogni anno al “valzer del reclutamento”: docenti di sostegno specializzati che migrano nelle classi comuni, lasciando ancor più sguarnito un personale docente così fondamentale, di cui già il 30% (su circa 160.000 insegnanti di sostegno) è privo di titolo di specializzazione e ancora non è stato emanato il Decreto sulla continuità educativa e didattica.
Insomma, non sarà facile, per molti studenti e studentesse con disabilità, ripartire con lo zaino adeguatamente pronto, quindi come tale incapace di garantire pari opportunità a tutti gli studenti, indipendentemente dalla situazione nella quale si trovino. Per il momento è necessario accertarsi che tutti i documenti da presentare entro giugno siano stati adeguatamente presentati: il GLO finale (Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione), le richieste dei sostegni necessari espresse e condivise in ciascun PEI, l’attivazione dei supporti organizzativi nella scuola ecc.
Nel frattempo – anzi contestualmente, direi – occorre agire per una riforma complessiva del sistema scuola, un luogo educativo per eccellenza, che deve riappropriarsi pienamente e in modo più dinamico di questo ruolo. Con la pandemia abbiamo perso per strada tanti alunni e alunne più fragili, non in grado di fronteggiare senza adeguati supporti e sostegni il grave peso del distanziamento (sociale, familiare, delle Istituzioni): infatti, il dato sulla dispersione scolastica è aumentato pericolosamente, un grave prezzo da pagare per tutta la società.
Un’indagine dell’IPSOS per conto dell’organizzazione Save the Children, ha evidenziato per esempio che nel 28% delle classi superiori, ogni studente aveva avvistato l’addio di almeno un compagno. Qui in totale parliamo di oltre 34.000 ragazzi in fuga. Non è ancora ufficiale, tra questi, il dato sugli studenti con disabilità, ma in ogni caso si tratta di una voragine enorme che richiede dunque un altrettanto enorme dispiegamento di supporti, energie e forze, per rinnovare tutta la Scuola nel suo insieme. È una sfida aperta su più direzioni, ma l’obiettivo è lo stesso: garantire pari opportunità salvaguardando ciascuno, mettendolo nelle condizioni di poter essere e di poter fare.
Ma, del resto, non è forse questo il compito della Scuola che vogliamo?
Responsabile Scuola di ABC Italia (Associazione Bambini Cerebrolesi), aderente alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap); componente dell’Osservatorio Permanente sull’Inclusione Scolastica del Ministero dell’Istruzione; docente all’Università di Torino.
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