Il testo di recente uscita Rifiorire. Storie e pensieri sul diritto alla felicità di Paolo Cendon (collana “Fragilità” di Corsiero Editore) – è un insieme di storie e pensieri che ripercorrono, in qualche modo, le esperienze di vita e di insegnamento dell’Autore. Venti capitoletti che affrontano, direi raccontano, i temi del diritto privato più cari al docente che ci accompagna negli avvenimenti occorsi durante un suo corso di lezioni, raccontati a mo’ di romanzo.
Dopo poche pagine il lettore viene proiettato in Aula: «Venezia, Dipartimento di Scienze umane, lezione inaugurale del corso “La persona e i suoi diritti”. “Quella che vi ho letto” prendo in mano il libro, traduzione italiana, “è la trama di un famoso romanzo americano, L’uomo dal braccio d’oro di Nelson Algren”».
Poche righe prima è avvenuta una cosa che nel corso del libro si ripete più volte e che costituisce, a mio avviso, la cifra stilistica di questo narratore: per raccontare il diritto Cendon ricorre al cinema, alla letteratura, all’arte. Alterna il discorso diretto di sé narrante a considerazioni più generali. Film a diritto. Introspezione a pennellate sul grande cielo del diritto dei fragili. Il risultato è che il testo è un caleidoscopio di storie, citazioni, inquadrature. Quasi si trattasse di un film, un po’ alla maniera di Tiziano Sclavi, se volete, ma con toni decisamente più lievi e sereni.
La voce dell’Autore si confonde, a tratti, con quella di citazioni di norme giuridiche mostrate nella loro dinamica utilità per la vita quotidiana. Sicché il fluire dei pensieri rende lievi discorsi anche impegnativi ed elimina il polveroso strato di “ pedanteria” spesso istintivamente associato al diritto.
In questo viaggio, si schiude l’idea di un patto di fioritura, di un diritto leggero che viene dal basso.
Nel secondo capitolo scopriamo cosa significhi che il diritto è a misura d’uomo: «“Nessuno può essere obbligato a risalire la china da un altro soggetto, anche se pubblico”. Così, in linea di principio. Abbiamo tutti la nostra combinazione esistenziale, ci si sveglia al mattino, si pensa a cosa fare quel giorno: andare a pesca o giocare al gratta e vinci, fare un viaggio, telefonare alla nonna, ognuno con le sue idiosincrasie. “Il punto è che da sola” riprendo, “può non farcela una persona; ci sono ostacoli a volte, bisogna riuscire a superarli”. A chi è fiaccato dagli eventi non sempre bastano le forze; qualcuno intorno deve dare una mano. Se accadrà ecco aprirsi gli spiragli, le cose andranno lentamente a posto».
Racconti di vita, visioni, suoni e odori che vanno dalle calli veneziane alle aule universitarie, ai racconti d’infanzia. Aule universitarie che sono il luogo di rifioritura personale, per il Professore e i suoi Studenti, che riflettono sulla Vita l’Universo e Tutto quanto insieme al Lettore e alla Lettrice.
Esemplare è la storia di Zeno, siamo al sesto capitolo: «“Mi chiamo Zeno” si schiarisce la gola, “ho trent’anni passati; ne avevo diciannove quando sono stato interdetto. Soffrivo di disturbi in quel periodo, crisi epilettiche fra l’altro; i servizi sociali hanno fatto una segnalazione, in Procura, è stato nominato un perito: alla fine il Tribunale ha deciso di togliermi la capacità”. Si sforza di essere preciso: “A quel tempo l’amministrazione di sostegno non c’era, nel codice, mancava un anno all’approvazione; i miei non si sono opposti, più di tanto non sapevano”. Si appoggia al banco, col braccio destro, microfono nella sinistra: “Bene non stavo, allora; vuoti di coscienza, attacchi improvvisi, parlavo da solo: così da quando ho dodici anni, alti e bassi continui”. Spunta dalla sua maglia un braccio sottile, l’insieme è di una strana eleganza: a metà fra un modello e un soldatino. “A ventun anni” riprende, “mi succede di sentire altri medici; cambiati i farmaci, in pochi mesi miglioro. Il diploma delle superiori ero riuscito a prenderlo, decido di iscrivermi all’università: Biologia”. Sorriso mesto: “Era anche mio tutore, il papà, mi ha sempre sostenuto; la mamma non ce l’ho più”. Si volta a guardarmi, aria di scusa: “Dica se sto parlando troppo”. Scuoto la testa. “Mi sono laureato in tempo” sembra meno teso, “fatto poi il biennio magistrale, nessun problema. Con la salute meglio, ogni tanto mezze crisi; difficoltà nelle cose pratiche, banche, condominio, ostacoli che non riesco a superare, per ragioni emotive; non male l’insieme, comunque”. Spostato ora il microfono nell’altra mano: “Trovo lavoro più tardi, facilmente, devo dire; un laboratorio farmaceutico, a poca distanza da Gorizia. Non fanno questioni: mio padre se l’è sbrigata lui, per il contratto di lavoro s’è fatto aiutare. Da allora ho cominciato a vedere tutto in maniera diversa”. Gola secca, riempio d’acqua un bicchiere, mi alzo per porgerglielo; Zeno afferra il vetro, bevendo due sorsi, un po’ di sforzo.
“Tre anni fa” si sente ascoltato ora, “ho inoltrato domanda per farmi togliere l’incapacità; con la nuova legge è permesso anche a un interdetto”. Di nuovo gli occhi al pavimento: “Ha controfirmato mio padre, dalla mia parte anche stavolta. Si è sempre vergognato di questa storia; cioè non di me, dispiaciuto del sistema. Non sapeva che avrei perso ogni diritto con la tutela”. Si avvia a concludere: “Chissà come finirà, adesso, richieste come la mia sono già state respinte”. Incerto se aggiungere un’ultima cosa. “C’è anche una ragazza, vicina a me da un po’ di tempo, sentimentalmente; non viviamo insieme, un giorno magari. Lei lo sa che un interdetto non può sposarsi; un bambino può averlo comunque, io so che sono in grado biologicamente. Se uno ha un lavoro, poi…”. Dopo un attimo: “Chi manca anche del poco che ho io… interdire le persone è sbagliato. Non voglio più essere così; e non perché ho un lavoro adesso, una morosa: è umiliante l’etichetta proprio, non dovrebbe succedere a nessuno”. Depone il microfono, torna al suo posto. Commozione in sala, non so dalla pedana cosa aggiungere: “Parleremo con qualcuno” mi sono limitato a sussurrare, “più che mai ora, anche per Zeno”».
Ecco, questa è l’intensità di alcuni dei racconti che costituiscono la trama di questo libro.
Io ricordo ancora il mio primo incontro, a Napoli, con Paolo Cendon: sala piena, persone che cercano di attrarre il Professore. Lui, ignorando tutto, viene con me in un cantuccio e ascolta la mia storia, ascolta per un tempo lungo (almeno per quelli che aspettavano di poter conferire con il Caposcuola). Commenta piano, con un tono flebile, quasi un sussurro ciò che dico. Sempre con un atteggiamento dubitativo, umile, quasi volesse imparare qualcosa lui da me. Questo è Paolo Cendon nell’incontro con Zeno, lo so perché a Napoli, anni fa, Zeno avrei potuto essere io.
In Rifiorire non mancano nemmeno i riferimenti ai nuovi temi dell’ambiente e della natura, siamo più avanti nello scritto e non vengono nascosti i limiti del diritto civile, parzialmente inadatto a gestire fenomeni come disastri ambientali, cambiamenti climatici ecc.
Indicativo è il “piccolo test” del penultimo capitolo: «Tengo come ultime le questioni del disagio mentale; un’occasione per rivisitare gli argomenti affrontati nel corso».
Il ventesimo capitolo, infine, è dedicato all’“ultimo gioco a lezione”, teso ad intrecciare “amore” e “follia” fra di loro; cercando una risposta – nei libri, a teatro, dentro i film – al dilemma fioritura/sfioritura. Dando, ancora una volta, prova del proprio approccio “cinematografico” alla narrazione (e al diritto), Paolo Cendon ci offre una cavalcata tra i grandi classici del cinema che dicono, ciascuno, più di mille parole.
A mio parere, il libro per la sua struttura quasi “teatrale” o “dialogata”, potrebbe essere apprezzato particolarmente in versione audiolibro: magari con una voce narrante, una maschile è una femminile per le diverse parti.
In ogni caso, la lettura è piacevole e istruttiva per tutte le sue 181 pagine. Apre a una possibile rifioritura e a un modo diverso di essere società: più aperta e inclusiva. Non un ritorno alla normalità, ma uno sguardo attento e lieve, una normalità che troppo spesso ci passa accanto senza che ce ne rendiamo conto. In breve, uno sguardo introspettivo, ma proiettato all’esterno, che ci aiuta a pensare alle relazioni umane in modo nuovo. Cosa quanto mai necessaria dopo l’esperienza del Covid-19.
Giurista e scrittore, ordinario di Diritto Privato all’Università di Trieste, Paolo Cendon (Venezia, 1940) ha collaborato con Franco Basaglia per la riforma della psichiatria nel nostro Paese. Ha concettualizzato all’interno del sistema giuridico italiano l’istituto del danno esistenziale e la figura dell’amministratore di sostegno, risultando, in tal senso, uno dei “padri” della Legge 6/04, che ha appunto introdotto in Italia l’istituto dell’amministrazione di sostegno. Ha diretto collane scientifiche e divulgative in ambito giuridico e le sue opere sono per lo più incentrate sui diritti dei soggetti deboli, come il recente saggio I diritti dei più fragili. Storie per curare e riparare i danni esistenziali (Rizzoli, 2018) Su sua iniziativa è stata costituita tra l’altro l’Associazione Diritti in Movimento.