Recentemente una giornalista televisiva mi ha chiesto: «Come mai ha dedicato la sua vita alla disabilità? Ha avuto familiari o amici disabili?». Dopo un attimo di esitazione ho risposto: «Non lo so! Non ho avuto legami di parentela stretti con persone disabili». Nei giorni successivi mi sono rifatto la domanda senza riuscire a dare una risposta; poi ho ricordato una storia che il nonno mi aveva raccontato.
In autunno, alla domenica sera ci riunivamo a casa del nonno. Appesa alla catena del camino, con ritmo lento e cadenzato, faceva saltare le caldarroste nella padella. Appena cotte, le rovesciava sulla tavola, dove era stato steso un sacco di juta. Adulti e bambini cominciavano a sbucciarle, facendo un piccolo mucchietto personale. Tutti parlavano muovendo freneticamente le mani. Ad un certo punto il nonno disse: «Vi voglio raccontare una cosa che mi è successa stamattina». Tutti si zittirono e si misero ad ascoltare.
«Tornavo dalla Vigna Grande, quando, vicino alla Cappella della Madonna Infilzata [raffigurazione della Madonna trafitta al cuore da un luterano, N.d.A.] vidi un tale, ma avendo il sole negli occhi non riuscivo a capire chi fosse. Mi salutò e disse di volermi raccontare una storia che solo lui sapeva. “Devi sapere che tutto quello che hai attorno l’ha fatto il buon Dio”. “Beh! Non mi sembra un gran novità!”. “Sì! Ma non sai com’è successo! Il buon Dio un giorno decise di prendere una palla di creta, ci mise un po’ di lievito, la lasciò lievitare e poi la lanciò in cielo. Così fece la terra; poi pensò di fare un animale che volasse e che potesse ammirarla. Prese di nuovo una palla di creta, l’affusolò e la lanciò. Cadde a terra e subito si trasformò in un lombrico. Fece un altro tentativo e affusolata nuovamente la creta vi aggiunse una coda e delle piccole ali. La lanciò nell’aria e cadde nel mare trasformandosi in pesce. Ci riprovò e una rondine cominciò a volare festosa in cielo senza mai posarsi a terra. Un giorno però si accorse che nessuno si curava del mondo che aveva creato. Riprese la creta e fece l’uomo. Lo appoggiò sulla terra e gli disse: ‘Tu sarai il custode di tutte le cose che ho creato. Tu le rispetterai e lavorerai per averne cura. Hai un compito importante, fallo bene e fallo per tutti’”. Quando alzai gli occhi, quel tale non c’era più. Come ogni storia anche questa ha la sua morale, e voi bambini dovete sapere che avete un compito importante nella vita, quello di rispettare la natura e gli altri, soprattutto quelli che hanno più bisogno». «Ma nonno, come si fa a rispettare?». «È molto semplice! Bisogna interessarsi delle cose e delle persone che ci stanno attorno e averne cura». Forse è da quella sera che cominciai ad essere dalla parte degli “eroi perdenti” (Ettore, Geronimo ecc.), e ad aiutare chi era in difficoltà.
Oggi abbiamo più che mai bisogno di riscoprire il senso del rispetto, per superare l’individualismo, l’egocentrismo e l’egoismo che stanno devastando l’umanità e la natura. Può sembrare ingenuo, ma, a mio avviso, è il solo modo per evitare ogni forma di disinteresse e di emarginazione. Anche il lavoro, il proprio e quello degli altri, merita rispetto. Il lavoro fonte di vita per sé, per la propria famiglia e per la comunità, si è trasformato in un’“attività a noleggio” per datori di lavoro impersonali o troppo lontani. Sempre meno il lavoro è espressione di noi stessi e soddisfazione personale. Si è tornati come nell’antichità a considerarlo fonte di fatiche e sofferenze, qualcosa da evitare e se possibile farne a meno. Ormai siamo giunti a disprezzare il lavoro, ritenuto unicamente una necessità, un obbligo disagevole e spesso non retribuito adeguatamente. Sempre meno il lavoro è piacere di fare, è soddisfazione per quello che si è realizzato.
A questa situazione lo Stato risponde unicamente con politiche passive e assistenzialistiche. Una strategia senza futuro! A breve mancheranno le risorse per affrontare una disoccupazione endemica, prodotta dalla crisi economica, dalla pandemia, dall’evoluzione tecnologica, dall’assenza di strategie adeguate e da miopi calcoli politici.
Ma ritorniamo al rispetto per le persone e per il lavoro, al senso di appartenenza e di partecipazione che ancora rappresenta, che ci rende protagonisti e ci fa tornare ad essere comunità.
Non lasciamoci trascinare dall’onda, ritorniamo a vivere la realtà e a governare la nostra quotidianità. Non dimentichiamo o ignoriamo chi è in difficoltà. Gli iscritti nelle liste del Collocamento Disabili attendono inutilmente un’occupazione e chi li rappresenta deve avere maggiore rispetto e attenzione al tema del lavoro. Bisogna sostenere la riforma del sistema di Collocamento Disabili. Riforma che non può ridursi alla semplice pubblicazione delle Linee Guida sul collocamento mirato previste dal Decreto Legislativo 151/15, come sostengono le confederazioni sindacali e le associazioni più rappresentative delle persone con disabilità.
Per dirla “alla Bersani”, «le Linee Guida sono golfini per orsi», così come il dibattito intorno alla creazione degli osservatori aziendali, agli accomodamenti ragionevoli ecc., se questo prescinde dal fatto che le persone con disabilità prima devono essere occupate, per poi interessarsi del loro benessere in azienda.
Non facciamoci illudere nemmeno dalla fiducia e dall’ottimismo dei politici che vedono nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza la soluzione di tutti i mali. L’attuale classe dirigente non è in grado di riformare in modo efficace il sistema del Collocamento Disabili, gli Uffici Provinciali e la Legge 68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili).
Come ANDEL [Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro, N.d.R.] abbiamo chiesto un finanziamento a favore del Terzo Settore, in modo da rendere artefici del proprio collocamento le stesse persone con disabilità, le famiglie e le associazioni che le rappresentano. Non ci illudiamo che la situazione evolverà come da noi indicato, tuttavia continueremo a sostenere la nostra proposta. Certo che verremmo facilitati e avremmo più possibilità di successo se ci fosse una condivisione e un sostegno di una larga parte delle Associazioni.
Comprendo che delegare o stare a guardare sia più comodo che partecipare, ma non dimentichiamo che “Chi vuole va, chi non vuole manda!”.
Riappropriamoci della coscienza sociale, del diritto di parola, della partecipazione. Rispettiamoci se vogliamo essere rispettati! Prestiamo allora attenzione a quello che accadrà in autunno.