La tradizione siciliana degli “orbi”, cantori di inni religiosi durante processioni, novene e feste di Santi, affonda le proprie origini molto indietro nel tempo e, sicuramente, almeno alla prima metà del Seicento. Furono infatti i Gesuiti a fondare, nella città di Palermo, la prima confraternita organizzata di questi mendicanti “artisti di strada”. L’operazione faceva riferimento alla diffusa credenza, di origine medievale, che la preghiera dei sofferenti fosse particolarmente gradita al Cielo. In realtà, queste confraternite erano diffuse anche in altre Regioni italiane, ma il fatto che in Sicilia l’uso sia sopravvissuto fin oltre la metà del Novecento, consente di avere a disposizione anche documentazione sonora e visiva.
Ripercorriamo, dunque, sinteticamente, questa epopea minore che si innesta nel grandioso mosaico della Carità Cristiana verso gli umili e i diseredati.
«Li poveri orbi e ciechi di tutti due occhi, che come è notissimo sogliono vivere col mestiere di cantare e recitare per le strade orazioni sacre e profane e soprattutto improvesar poesie nelle feste plebee in onore dè Santi che fuori de tempij nelle piazze e contrade espongonsi della città, sono l’istessi poeti popolari appellati “ciclici poetae” che fecero figura presso gli antichi in Italia a’ tempi de’ Greci e dè Romani»: così scriveva, nel Settecento, lo storico Francesco Gaetani, marchese di Villabianca (1720-1802). A lui faceva eco, nell’Ottocento, lo scrittore di Acireale Lionardo Vigo Calanna, marchese di Gallodoro (1799-1879), che si esprimeva in questo modo a proposito dei cantastorie ciechi: «I ciechi, in tutta la Sicilia vivono suonando il colascione, chi il violino, e cantando canzoni e storie sacre e profane. Quasi tutti coloro che nascono ciechi o perdono in gioventù il ben della vista, si addicono al mestiere del canto e della musica».
Anche Giuseppe Pitrè (1841-1916), padre della ricerca folklorica siciliana, così li descrisse: «I sonatori di violino in Sicilia sono quasi tutti ciechi e perciò chiamati per antonomasia orbi. L’orbo nato o divenuto tale nei suoi primi anni, non sapendo cosa fare per vivere, impara da fanciullo a sonare, e non solo a sonare, ma anche a cantare. Le molte feste popolari dell’anno gli danno sempre qualche cosa da guadagnare».
Gli Orbi, erano suonatori e cantori non vedenti di solito guidati da ragazzetti che li accompagnavano. Normalmente andavano in coppia: uno suonava il violino, l’altro una sorta di chitarrone e cantava. Erano riuniti in una congregazione intitolata all’Immacolata Concezione. Il sodalizio, come detto inizialmente, fu istituito a Palermo per iniziativa dei Gesuiti, fin dal 1661.
Essi svolgevano il compito, approvato dalla Chiesa, di diffondere presso il popolo testi di carattere religioso. Lo scopo, come per gli affreschi e i quadri, era soprattutto quello di diffondere la sana dottrina e di istruire i fedeli analfabeti: storie di Santi, canti della Natività, della Passione. A loro era proibito suonare musiche cosiddette profane: dovevano anzi attenersi scrupolosamente al repertorio scritto dai sacerdoti, uno dei quali fu don Giovanni Carollo, fondatore di una scuola per ciechi a Palermo nel 1871, che fu un valente maestro di musica e stimato compositore di canti religiosi.
Anticamente si facevano loro elemosine, affinché cantassero i rosari per i defunti il lunedì, le orazioni per le Anime dei Corpi Decollati dal lunedì al venerdì, i Triunfi dei Santi, le Diesille (Dies Irae) dedicate a parenti morti, figli, genitori, fratelli, le novene per il Natale.
Oggi la figura degli Orbi, chiamati anche, in alcune zone, ninnariddari o sunatura, è scomparsa da tempo. Gli ultimi cantastorie di Palermo – la tradizione era ancora viva fino agli Anni Settanta – sono stati Rosario Salerno, Angelo Cangelosi, Paolo Arrisicato, Salvatore Rizzo e, forse il più famoso, Fortunato Giordano (1905-1995). Di lui ci restano alcune splendide registrazioni nelle quali interpreta, con voce serena e commovente, alcuni brani del tradizionale repertorio sacro siciliano.
Fortunato perse la vista a causa di una cataratta non adeguatamente curata. Dopo avere svolto alcuni lavori, dal lavapiatti al tecnico di scena, si dedicò al canto a tempo pieno. Curò filologicamente parecchi testi e musiche, riportando il proprio repertorio alla purezza della tradizione più antica.
Nel 1989, all’età di 84 anni, si esibì per l’ultima volta nel teatrino di Mimmo Cuticchia a Palermo. Con la sua scomparsa si è poi purtroppo definitivamente estinta questa antica arte popolare.