È tempo di prendere definitivamente coscienza della drammatica realtà che ogni giorno vivono le famiglie e le persone a contatto, diretto o indiretto, con l’autismo. A questo, anche a questo, servirà la manifestazione nazionale del 9 settembre, promossa dal movimento Famiglie Unite per l’Autismo, con presidio in Piazza Montecitorio, a Roma, dalle 9 alle 11.
Le famiglie si uniscono, dunque, nella protesta e nella proposta, ed è la prima volta che ciò accade… Perché proprio loro al centro dell’iniziativa? Semplicemente perché sono loro, soprattutto, i familiari, al di là della facile retorica portata avanti da Servizi e Istituzioni che raccontano di un autismo fiabesco che esiste solo nella loro fervida fantasia, a reggere – di fatto – il peso della quotidianità, fino a diventare essi stessi “portatori sani di disabilità”. Sono i familiari a occuparsi di tanti e complicati problemi, in particolare di quelli che non spetterebbe loro risolvere.
Le famiglie che vivono con persone autistiche sono famiglie stanche e provate, perché la disabilità impegna molto le loro energie fisiche e mentali. Le preoccupazioni quotidiane assorbono la giornata e i pensieri. Quello legato alla carenza di interventi e servizi rappresenta, più di altri, un carico esorbitante, tanto più perché si accompagna, non di rado, a scorciatoie perverse che assumono la forma di abusi farmacologici.
L’idea di “cura” affidata alla somministrazione di massicce dosi di psicofarmaci, tanto cara a una parte importante della psichiatria, sovrasta quella di prendersi cura, senza capire che la conseguenza più immediata e devastante sul comportamento dei nostri figli dell’uso di psicofarmaci è l’abbassamento significativo di tutte le loro facoltà cognitive. È questo un approccio, il più maldestro, il più rozzo e becero, per sopperire alle evidenti lacune del sistema educativo e sanitario.
Ogni giorno i familiari devono fare i conti con il rimpallo di responsabilità e con un fare estemporaneo dominato dalla delega incomprensibile di Istituzioni che, anziché esercitare una doverosa funzione di controllo e proposta, si accontentano di ritagliarsi il ruolo di meri erogatori economici di costosi progetti il cui contenuto e la cui gestione sono poi colpevolmente lasciati all’esclusivo monopolio di partner privati che perseguono quasi sempre mere ragioni di profitto.
È muovendo da questa complessa realtà che si comprende l’importanza di imporre un paradigma “altro” in cui la persona autistica, nella sua individualità e senza etichette, sia finalmente vista come soggetto attivo di diritti e non più come oggetto passivo di assistenza.
Serve una crescita culturale complessiva per rendere effettive le misure di inclusione sociale: l’ignoranza e la scarsa sensibilità camminano di pari passo e non producono solo difficoltà gestionali, ma hanno in sé anche la capacità di ferire.
Nel nostro Paese non è che manchino le leggi. Ne abbiamo e ce ne sono teoricamente di buone. Peccato che quasi tutte non siano applicate o siano largamente disapplicate. Basti pensare alla Legge Quadro 328/00 sul progetto di vita, alla 68/99 su disabilità e lavoro, alla 134/15 sull’autismo, alla 112/16 sul “Dopo di Noi”. Peccato, dicevo, che questa ridondante produzione legislativa non sia poi messa in pratica e rappresenti solo un clamoroso esempio di fallimenti e insuccessi.
Come possono le Istituzioni affermare, per esempio, di essere sensibili al dramma del “Dopo di Noi”, che assale tutti i genitori, sapendo che i loro cari non potranno avvalersi di alcuna legge quando non ci saranno più? Credo che questa sia forse la domanda principale che andrebbe posta alla classe politica!
Le leggi occorre applicarle, non basta scriverle. Occorre dare certezza del diritto; garantire, a chi ha questa grave disabilità, il diritto ad una migliore qualità della vita, perché i bambini, gli adolescenti, gli adulti con autismo, potranno avere un presente e un futuro unicamente a condizione che i loro diritti siano – per davvero – riconosciuti, rispettati e soprattutto applicati.
Diritti, dicevo… Il forte senso di solitudine e abbandono che circonda le famiglie fa perdere persino il senso della consapevolezza dei propri diritti. Come dire che i problemi da affrontare sono così stringenti e immediati da non lasciare il tempo di pensare ad altro, anche quando “altro” significa solo rivendicare ciò che è dovuto.
Il dibattito sul caregiver familiare (il 5% degli italiani lo è), cioè colui che assiste a titolo gratuito, in modo significativo e continuativo, un parente non autosufficiente, può essere assunto ad emblema della vergognosa marginalizzazione che condanna le persone fragili. Eppure si tratta di un tema di assoluto rilievo, perché volto a riconoscere il valore dell’impegno assolto in solitudine da decine migliaia di famiglie. È giusto che sia finalmente riconosciuto e tutelato anche nel nostro Paese attraverso una legge ad hoc che consenta di mettere in atto una serie diversificata di soluzioni: dall’accesso ai servizi di sollievo appositamente dedicati, al riconoscimento economico e previdenziale (soprattutto alle mamme e ai papà che hanno dovuto, loro malgrado, abbandonare il lavoro per dedicare la loro vita ai propri cari con gravi disabilità). Questo provvedimento rappresenterebbe un segnale di crescita culturale del Paese e di attenzione verso tante persone lasciate sole ad affrontare un impegno così pesante.
Al centro della manifestazione nazionale del 9 settembre ci saranno, dunque, le famiglie e i loro diritti negati. Questo spiega perché il nome scelto per identificare il movimento che promuove l’iniziativa è Famiglie Unite per l’Autismo.
Una delegazione incontrerà rappresentanti del Governo e/o del Parlamento, cui verrà consegnato un documento programmatico, riferito alla condizione dell’autismo nel nostro Paese. La delegazione avrà una composizione mista: due mamme; un papà accompagnato dai figli (che sono un ragazzo autistico grave e suo fratello, presente nella veste di sibling); una donna autistica adulta in autorappresentanza.
Con i rappresentanti istituzionali verrà definita la scadenza entro la quale almeno due punti programmatici prioritari (Progetto di Vita Personalizzato e Budget di Salute) dovranno essere tradotti in provvedimenti concreti. Qualora gli impegni e le scadenze non fossero mantenuti, si metteranno in campo altre iniziative da decidere insieme, perché si è stanchi di ricevere solo promesse.
Famiglie Unite per l’Autismo non è un movimento che nasce “contro”, ma “per”. Per aggregare e non per dividere. Per combattere le rendite di posizione, a chiunque esse appartengano. Per riaffermare la dignità e il rispetto dovuti a noi e ai nostri figli e che mai devono essere elemosinati proprio in quanto dovuti. Rivendichiamo risposte serie e non ambigue alle nostre sacrosante richieste.
La manifestazione ha in sé un alto valore simbolico. Le famiglie scendono in piazza senza delegare niente a nessuno. Può, questo fatto, rappresentare il primo passo di un cambiamento straordinario anche nei confronti di un certo modo di “fare associazione”, che continua a confondere la rappresentatività con l’autoreferenzialità, sottraendosi pervicacemente al confronto con chi, pur muovendo da opinioni legittimamene diverse, potrebbe a sua volta arricchire il dibattito di preziosi contenuti.
Il settarismo e la supponenza, tanto più se espressi da piccole élite, non giovano certo a nessuno, tranne che a chi, la controparte, ci vuole divisi. Forse varrebbe la pena riflettere sulla circostanza che il documento programmatico di Famiglie Unite per l’Autismo ha coinvolto in modo esteso le famiglie e le persone in autorappresentanza, raccogliendo, in brevissimo tempo, moltissime firme, che al momento sono oltre 8.200 (la speranza è di arrivare addirittura a 10.000 prima del 9 settembre), a sostegno della petizione che lo supporta (disponibile a questo link insieme al documento citato).
Padre di un uomo con autismo (www.facebook.com/autismoIN). Autore dei libri “Mio figlio è autistico” e “L’identità invisibile. Essere autistico, essere adulto”.
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