È romana, ha 34 anni, e nel 2018 è stata la prima studentessa cieca in Italia a laurearsi in Medicina all’Università La Sapienza di Roma. Della storia di Gaia Padovani si sono occupate diverse testate (tra cui «TPI – The Post Internazionale», «Fanpage.it», «Corriere della Sera», Cronaca di Roma) e vale la pena riprenderla perché mette in luce alcune delle difficoltà con le quali le persone con disabilità possono scontrarsi nell’accedere al diritto allo studio.
Dopo essersi laureata in Medicina, Padovani ha intrapreso un percorso di specializzazione in Psichiatria. Il 2 luglio 2019 aveva partecipato alla prova di ammissione per accedere al corso in questione, ma, pur ottenendo un buon punteggio, non la superò perché, nonostante nei mesi precedenti avesse rivolto specifiche richieste al Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, non furono predisposti i necessari accomodamenti per consentirle di competere in condizioni di uguaglianza.
«Non era un esame sostenibile alla pari – ha raccontato Padovani al “Corriere della Sera” –. C’è stato bisogno di un tutor competente che leggesse, e rileggesse se necessario o se il testo era particolarmente lungo e complesso, 140 domande a risposta multipla. Uno sforzo incredibile per me. Mi sono affaticata molto. E poi c’erano anche 5 o 6 tra immagini e grafici per me impossibili da fare, descriverle non poteva bastare. Come si può distinguere una lesione dermatologica in base a una descrizione altrui? Quindi quelle le ho saltate e ho perso punteggio. Avevo chiesto al Ministero di sostituirle, mi è stato risposto che non era opportuno».
Padovani decise dunque di fare ricorso al TAR del Lazio (Tribunale Amministrativo Regionale) che, nel 2019, le diede ragione in merito alle modalità inadeguate dello svolgimento della prova d’ammissione e ne dispose la riedizione. Riedizione che, nonostante le numerose diffide degli avvocati della donna al Ministero, non venne mai eseguita.
L’inottemperanza del Ministero ha portato ad un altro pronunciamento giudiziario, quello del Consiglio di Stato il quale dispose che Padovani fosse ammessa direttamente alla Scuola di specializzazione. A seguito di tale pronunciamento, la giovane ha potuto dedicarsi al lavoro e allo studio, superando l’esame finale e completando con successo il primo anno.
A luglio 2021 un’altra doccia fredda, a distanza di due anni, nei quali il Ministero non ha mai ottemperato alla riedizione della prova: è arrivata infatti una nuova Sentenza del TAR, in cui si ribadisce che la specializzanda deve ripetere il test d’ammissione. Questa volta il Ministero si è deciso e ha disposto la ripetizione della prova per il 4 novembre, con un preavviso di soli venti giorni. «È assurdo: se dovevo sostenere di nuovo la prova, questo andava fatto nei primi mesi, non adesso che sto per finire il secondo anno e sono quasi a metà del percorso», ha dichiarato sgomenta Padovani a «TPI», osservando anche come il poco tempo di preavviso non le consenta di prepararsi al meglio, visto che per farlo sarebbero necessari almeno 5-6 mesi di studio e l’approfondimento di più materie, non solo la psichiatria, della quale si sta occupando nel corso di specializzazione. «Inoltre – ha proseguito – farei il test da sola, non so neanche su quali basi sarei valutata e con quale graduatoria sarebbe confrontato il mio punteggio».
Per dirimere la questione è atteso proprio per oggi, 28 ottobre, un nuovo pronunciamento del Consiglio di Stato (VI Sezione), occasione nella quale è stata coinvolta anche l’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti). Un ulteriore elemento di complessità, tuttavia, è dato dal fatto che né l’avvocato Michele Bonetti, legale di Padovani, né l’UICI hanno contezza di casi simili, essendo stata Padovani la prima studentessa cieca a laurearsi in Medicina in Italia. Bonetti ha evidenziato che l’allontanamento della stessa dalla Scuola costituirebbe una perdita per l’azienda ospedaliera, non solo perché Padovani ha ricevuto molti apprezzamenti per il lavoro svolto nel reparto di Psichiatria del Policlinico Umberto I di Roma, ma anche perché, trattandosi di una figura «in parte formata e retribuita con borsa da plurimi mesi», ciò configurerebbe un danno sia per la struttura ospedaliera che per la sanità pubblica.
Ma se la richiesta originaria del legale e della donna era la riedizione della prova – proprio per sottolineare la determinazione ad accedere al corso senza sconti e in condizioni di uguaglianza –, ora, considerando che il tempo intercorso e l’avanzamento degli studi di Padovani rendono il provvedimento lesivo del diritto allo studio e del principio di uguaglianza, l’istanza avanzata si è trasformata in una richiesta di sospensione del provvedimento stesso. Ha spiegato infatti Bonetti a «TPI» come il messaggio che rischia di passare sia «doppiamente pericoloso: da una parte è quello che il diritto allo studio vale solo per pochi e in determinate condizioni; dall’altra, è che lo studente con disabilità non può diventare un professionista medico. Esattamente l’opposto di quanto avviene in altri Paesi, che riservano una quota dei posti agli studenti con disabilità».
«Chiedo che venga tolta la prova fissata per il 4 e che si proceda con un’udienza di merito che stabilizzi la situazione», ha dichiarato la stessa Padovani al «Corriere della Sera», argomentando che «la premessa è che non tolgo niente a nessuno. Ma da quando lavoro e ho uno stipendio, legato interamente al merito, che non sia quindi solo una pensione di invalidità e che non comporti gravare sulla famiglia, ho un’indipendenza vera. Per ora vivo con mia madre, ma progetto di andare a vivere da sola. Anche in reparto sono totalmente autonoma, faccio tutto quello che fanno i miei colleghi. Unico limite il PC, che non ha il riconoscimento vocale e che quindi non posso usare». Chissà se il Consiglio di Stato riuscirà a mettere fine a questa inquietante telenovela.
Alle osservazioni di Padovani e Bonetti, ne possiamo aggiungere un’altra sullo stile comunicativo con il quale è stata trattata la vicenda su «TPI» e «Fanpage.it», due testate che hanno scritto della protagonista di questa storia chiamandola ripetutamente col nome personale (Gaia), invece che per cognome (Padovani). Viene da chiedersi quale età, titolo e competenze debba raggiungere una donna (disabile e non) per vedersi riconosciute anche nella narrazione pubblica l’adultità e la professionalità che possiede.