Si è svolta il 29 ottobre a Milano la seconda delle tre Giornate di studio per il nuovo Piano di Azione Regionale rivolto alle persone con disabilità, organizzate dalla Regione Lombardia, per ragionare attorno ad alcune tematiche di interesse nevralgico per le persone con disabilità, coinvolgendo i portatori d’interesse (stakeholder), ovvero le stesse persone con disabilità, gli operatori e i rappresentanti delle istituzioni, e producendo riflessioni, idee e linee guida che guideranno appunto la stesura del Piano di Azione Regionale di durata triennale, rivolto alle persone con disabilità [della prima giornata, dedicata all’accessibilità, Donata Scannavini ha già scritto ampiamente su queste stesse pagine, N.d.R.].
Il tema affrontato durante questa seconda giornata è stato quello dell’inclusione per una vita autonoma e indipendente. Come sottolineato da Roberto Daffonchio, funzionario della Regione Lombardia nel settore della disabilità, per garantire una vita autonoma e indipendente a una persona con disabilità non si può prescindere da una serie di interventi nei vari àmbiti in cui si snoda la vita stessa della persona, con la sua naturale evoluzione: la scuola, il lavoro, ma anche la casa, con tutta la questione del poter scegliere dove e con chi abitare, lo sport, il tempo libero e altro ancora. Ancor prima dei singoli interventi, ci dev’essere dunque un progetto unitario di vita, che veda la persona quale protagonista principale, mettendone i desideri al centro, oltreché i bisogni e le possibilità.
In questo senso, sempre Daffonchio ha parlato di empowerment delle persone con disabilità, della possibilità, cioè, che esse possano fare in modo autonomo le scelte riguardanti la propria vita. E tuttavia, per far sì che questi non rimangano meri slogan, ma si traducano in possibilità reali, sono necessari interventi concreti; in questa direzione va letta l’istituzione nel 2015 di vaucher che finanziano percorsi personalizzati sulla base di una valutazione multidimensionale dei bisogni, con il supporto ad interventi socio-educativi e formativi, finalizzati all’implementazione di abilità relazionali, ma anche funzionali ad un eventuale inserimento lavorativo, laddove questo sia possibile.
Per quanto riguarda l’inserimento lavorativo, interessante è un progetto pilota per le persone autistiche, in cui al termine del percorso formativo viene rilasciata una certificazione delle competenze acquisite dal soggetto, finalizzata al collocamento lavorativo.
Riguardo invece all’istruzione e alla formazione professionale, oltre all’attività di sostegno che dev’essere programmata e attuata in base ai bisogni del ragazzo, sono previsti percorsi personalizzati di tre anni, con l’aggiunta di un eventuale anno integrativo, al termine dei quali viene rilasciato un certificato delle competenze raggiunte, laddove non sia possibile il raggiungimento di una qualifica professionale.
Per le disabilità sensoriali, infine, sono previsti all’interno della scuola gli assistenti alla comunicazione e la fornitura di materiale didattico speciale, affinché gli studenti con deficit sensoriale possano partecipare alle attività della classe ed essere realmente inclusi.
Una grossa problematica, cui ancora non si è data una risposta adeguata, riguarda gli insegnanti di sostegno, perennemente carenti nella nostra scuola, e la loro formazione.
La Legge Quadro 104/92 prevede infatti che essi abbiano un diploma di scuola superiore, ma non richiede nessuna formazione specifica. A questa grave carenza cercano di sopperire in qualche modo i Comuni e le Cooperative, chiedendo che essi siano educatori professionali; sarebbe però auspicabile giungere a una definizione normativa della qualifica che queste figure devono avere, qualifica che dovrebbe presupporre una formazione specifica.
Inoltre, come ha fatto notare Paolo Colli, membro del Comitato Tecnico-Scientifico del Ministero dell’Università e della Ricerca per la formazione degli insegnanti di sostegno, la carenza e il continuo turnover di queste figure durante l’anno scolastico è molto destabilizzante specie per gli alunni e le alunne con disabilità intellettiva, che avrebbero bisogno di una figura di riferimento costante nel tempo. In questa situazione, diventa urgente ragionare sull’assistente alla persona che, a differenza dell’insegnante di sostegno che lavora con tutta la classe, si dedica solo all’alunno o all’alunna con disabilità. Questa figura, ancora in via di definizione, sarebbe veramente innovativa, in primo luogo per il fatto di dipendere dai servizi locali, quali le Cooperative, assicurando quindi quella continuità che gli insegnanti di sostegno, dipendenti dello Stato, non assicurano. Inoltre, l’assistente alla persona avrebbe la possibilità di seguire l’alunno nei vari cicli scolastici, in un’ottica di long life education [“istruzione a lungo termine”, N.d.R.] e di quel progetto di vita di cui si è parlato molto durante la giornata.
C’è però un fattore, a mio parere, ancora più importante ed è la possibilità per le famiglie di scegliere la persona che si occuperà del proprio figlio, che lo seguirà lungo tutto il percorso scolastico e quindi di creare un legame di fiducia e di reciproca collaborazione. preme in taL senso ricordare che tutto questo deve avvenire sempre senza perdere di vista l’obiettivo dell’inclusione del bambino/a-ragazzo/a all’interno della classe; ben vengano, dunque, figure dedicate e opportunamente formate per fornire all’alunno con disabilità ciò di cui ha bisogno, ad esempio in termini di didattica speciale, senza mai tuttavia allontanarlo o peggio escluderlo dalla vita della classe.
Negli ultimi anni, va anche ricordato, la Regione Lombardia ha previsto l’ingresso nella scuola del tiflologo, pedagogista esperto dei problemi educativo-pedagogici di persone con disabilità visiva, che supporta gli insegnanti con consigli e indicazioni pratiche, laddove siano presenti alunni con questo tipo di disabilità.
Durante l’incontro si è insistito molto sul progetto di vita che deve essere costruito non sulla persona con disabilità, ma con la persona con disabilità, dove quest’ultima sia la titolare del progetto stesso. Ritorna alla mente il motto Niente su di Noi, senza di Noi, che potrebbe sembrare uno slogan, ma che contiene invece una profonda verità e che dovrebbe realmente diventare la bussola delle politiche e degli interventi a favore delle persone con disabilità.
A tal proposito, Alessandro Manfredi, presidente della LEDHA, la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità che costituisce la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e della LEDHA di Lodi, ha parlato del Progetto di Legge Regionale Politiche di welfare sociale regionale per il riconoscimento del diritto alla vita indipendente e all’inclusione sociale di tutte le persone con disabilità, presentato dalla stessa LEDHA alla fine dello scorso anno al Presidente del Consiglio Regionale e che ha successivamente ricevuto il consenso unanime da parte di tutti i gruppi consiliari.
Grazie infatti a una serie di incontri con l’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e con l’Ufficio Legislativo Regionale, si è giunti alla stesura di un testo largamente condiviso. Ora sono in corso gli ultimi accertamenti finalizzati al reperimento delle risorse finanziarie per l’attuazione del progetto. Dal canto suo Manfredi ha denunciato con forza come, nonostante si siano fatti notevoli passi avanti per assicurare il diritto alla vita indipendente delle persone con disabilità, in Lombardia tale diritto non è ancora usufruibile da tutti, specie se la persona interessata ha una disabilità complessa, che richiede interventi di un certo spessore anche dal punto di vista economico.
Cardine di questa Proposta di Legge Regionale è il progetto di vita che, come già ricordato, ha come titolare la persona con disabilità; esso è predisposto dai Comuni di concerto con le ATS (Agenzie di Tutela della Salute), riguarda tutto l’arco di vita della persona e può essere modificato in qualsiasi momento. Proprio perché si deve basare sui desideri, la volontà e gli obiettivi della persona con disabilità, è necessario che quest’ultima sia messa nelle condizioni di esprimersi, anche quando ciò è problematico.
Il testo prevede l’istituzione all’interno dei Comuni dei Centri per la Vita Indipendente, che seguano la persona nella redazione e realizzazione del proprio progetto di vita.
Strumento molto importante per l’attuazione del tutto è il budget di progetto nel quale rientrano tutte le risorse finanziarie pubbliche e private delle quali la persona con disabilità può disporre e che deve assicurare non solo la sostenibilità del progetto, ma anche la copertura di tutte le necessità del soggetto.
Importante è sottolineare che nel budget di progetto non vanno solo considerati i mezzi finanziari; altrettanto e forse più importanti, infatti, sono le risorse relazionali, ovvero la rete dei servizi, del volontariato, i rapporti familiari e amicali, che hanno un enorme peso nel determinare la qualità della vita di una persona con disabilità.
Quando si parla di progetto di vita, di indipendenza, di autonomia di una persona con disabilità, non si può prescindere dall’affrontare la tematica dell’abitare, del vivere al di fuori della famiglia d’origine. A tal proposito Luca Bollani, consigliere regionale di Federsolidarietà Lombardia e direttore della Cooperativa Come Noi di Mortara (Pavia), si è soffermato sulla coabitazione quale strumento che si sta sempre più affermando per riuscire a progettare e costruire il “Dopo di Noi Durante Noi” ed evitare soluzioni emergenziali, spesso non consone alla persona con disabilità per la quale vengono attuate.
Se a progettare forme di coabitazione sono in primis le persone con disabilità e le loro famiglie, un ruolo altrettanto importante dev’essere tuttavia giocato anche dalle Associazioni, dal Terzo Settore e soprattutto dalle Istituzioni, con i Comuni come capofila. La coprogettazone è un elemento imprescindibile se si vogliono raggiungere risultati positivi e sostenibili nel tempo. Bollani ha sottolineato come questi progetti di coabitazione, realizzati in virtù della Legge 112/16, stiano anche portando a una revisione degli stessi servizi per le persone con disabilità, della loro mission. In altre parole, i centri diurni si stanno trasformando in luoghi di accompagnamento alla vita indipendente, in vere e proprie “palestre di autonomia”, dove la persona può acquisire e sperimentare abilità. Per quanto riguarda dunque i servizi, essi si trovano oggi davanti alla sfida di riqualificarsi, di ripensare se stessi, non solo rispetto agli obiettivi, ma anche in termini organizzativi e di reperimento e impiego delle risorse.
Importante in un’ottica di empowerment delle persone con disabilità è anche l’accesso alle informazioni: spesso, in fatica, si fatica a capire quali siano i propri diritti, come esigerli, a chi rivolgersi per farsi aiutare. In tal senso, il servizio della Regione Lombardia Spazio Disabilità, con i suoi sportelli presenti su tutto il territorio regionale, offre ai cittadini e alle cittadine con disabilità attività di front office, per cui le persone vengono accolte, ascoltate e si cerca di dar loro le risposte che cercano, ma anche i necessari approfondimenti e ricerche.
Anche il sito Lombardia Facile… oltre la disabilità ha lo scopo di rendere accessibili e usufruibili le informazioni da parte di tutti. Come sottolineato da Gabriele Favagrossa dell’Associazione AIAS di Milano, una parte importante nella vita di ogni persona è quella dedicata allo svago, al tempo libero, ai viaggi; per questo, dunque, Lombardia Facile, oltre a sezioni dedicate ad argomenti di interesse specifico per le persone con disabilità, ha una parte dedicata appunto al turismo e alla mobilità accessibile.
Nel complesso, quindi, si è trattato di una giornata molto interessante e ricca di spunti, ciascuno dei quali meriterebbe un approfondimento. Si è cercato di affrontare il tema della vita indipendente delle persone con disabilità a trecentosessanta gradi, in ogni suo risvolto e implicazione, facendo emergere quanto è stato realizzato sul territorio della Lombardia, tra progetti e interventi importanti e innovativi, e quanto resta ancora da fare per assicurare ad ogni persona, indipendentemente dal tipo di disabilità e dalla gravità di quest’ultima, il diritto a una vita autonoma e in definitiva adulta.
Ritengo opportuno, in conclusione, sottolineare alcuni elementi che sono emersi con forza durante la giornata e che saranno fondamentali nel prosieguo dei lavori.
Il primo riguarda la centralità della persona con disabilità nella costruzione e realizzazione del suo progetto di vita; potrebbe sembrare una cosa scontata, ma non lo è. Riconoscere infatti alla persona con disabilità il diritto a essere protagonista della propria vita significa rispettarne i tempi e i modi di espressione, vuol dire metterla in grado di conoscere quali siano le opportunità di cui può beneficiare e dunque affrontare tutta la questione dell’accessibilità delle informazioni.
Analogamente la persona con disabilità deve poter esprimere la propria volontà e propri suoi desideri, non meno che le difficoltà e le paure, quindi potersi esprimere in modo adeguato ed essere compresa. L’interazione con gli altri può richiedere linguaggi, strumenti, accorgimenti specifici ed è necessario che essi siano predisposti e implementanti nei diversi àmbiti di vita della persona e che l’attenzione ai vari aspetti della comunicazione delle e con le persone con disabilità guidi costantemente le scelte politiche e operative.
Si è parlato anche della centralità delle famiglie nell’elaborazione del progetto di vita del proprio congiunto con disabilità. Qui qualcuno ha sottolineato la loro grande resilienza nel perseguire questi obiettivi, nel costruire il “Dopo di Noi Durante Noi”, e dunque nella messa in gioco di tutte le loro risorse per la costruzione del futuro dei loro figli. Se la famiglia è una risorsa, essa però va supportata e valorizzata; le Istituzioni e i Servizi devono interloquire con essa in un’ottica di cooperazione e coprogettazione, dove tutti gli attori in gioco devono svolgere la loro funzione nel concorrere al raggiungimento di obbiettivi condivisi.
E si giunge così all’ultimo punto, non meno importante dei precedenti: è necessario un ripensamento del ruolo e della funzione delle Istituzioni e dei Servizi per le persone con disabilità, che pur mantenendo la loro specificità, superino la logica della prestazione, per cui l’Ente Pubblico paga ai servizi le prestazioni stesse in base a rigidi standard e protocolli. Bisogna invece pensarsi e agire come partner di un progetto unico e unitario, dove, giova ripeterlo, la persona con disabilità e al centro ed è la protagonista.