L’“interdipendenza della cura” di cui ha scritto su queste stesse pagine Simona Lancioni è un elemento cui la nostra Associazione [Gilo Care, N.d.R.] presta da sempre la massima attenzione. Questo perché la nostra personale esperienza pluriennale diretta prima, e la frequentazione prolungata con tutte le situazioni che seguiamo nella nostra attività poi, ci hanno convinto che in ogni condizione di caregiving i “ soggetti” sono in realtà tre: il caregiver, la persona assistita e la relazione che si stabilisce tra i due.
Gianandrea Mossetto, nostro responsabile umanistico scientifico, ha definito questa particolare condizione con un acronimo efficace, chiamandola NUBAC (Nucleo Base di Assistenza e Cura). Si tratta di un vero e proprio sistema relazionale integrato, osmotico, simbiotico e biunivoco. Ogni variazione nel sistema – concreta, comportamentale, emotiva – comporta altre variazioni collegate a tutte e due le parti e al sistema stesso. È un modello vivo, variabile, in continua evoluzione, mai uguale a se stesso, differente nella specificità da un caso a un altro, ma certamente essenziale al funzionamento e al successo della “ cura”: per questo tanto più le parti ne sono consapevoli, tanto maggiore è l’attenzione che ad esso riservano e tanto migliore sarà il caregiving che ne deriverà, il quale risulterà meno “subìto” e in balìa degli eventi.
L’esistenza di questa complementarietà “di fatto e di sistema” spiega come si possa, anzi sia necessario, salvaguardare la differenza e l’originalità tra caregiver e persona assistita, senza sovrapposizioni, identificazioni o, peggio, invasioni di campo e confusione di ruoli. Le due figure, per poter “funzionare” al meglio, debbono essere pienamente e liberamente il “caregiver” e la “persona che accetta di farsi assistere”, così come sono e come desiderano essere ed esprimersi.
Questo non è né facile, né automatico, ma una volta che viene realizzato e sperimentato nell’esperienza quotidiana, aiuta le due parti coinvolte a tutelarsi fra di loro nei propri ruoli, smorza le inevitabili conflittualità e attriti, consente ad entrambi di costruire insieme qualcosa che può aiutare tutti e due, e che li aiuta per davvero. Atteggiamento molto diverso da quello di rassegnarsi alla sopportazione di qualcosa che gli è piombata addosso, e basta. Un atteggiamento che genera, gradatamente, qualcosa di positivo e trasformante anche nei confronti dell’“esterno”, che si tratti di famiglia, delle famiglie originarie, degli amici o dei colleghi, migliorando decisamente qualità e quantità della vita sociale dei due. E questo determinerà sicuramente ulteriori variazioni e conseguenze nel sistema basico di cura, che trarrà nuovi stimoli e cercherà nuove risposte ad essi.
In buona sostanza: si innesca un movimento continuo ed evolutivo, tendente a un equilibrio sempre nuovo e mai raggiunto definitivamente. Qualcosa di diametralmente opposto dall’immobilismo, dalla routine senza prospettive, dall’isolamento, che sono tra i rischi e i problemi più diffusi che chiunque abbia esperienza di situazioni di caregiving conosca.
È evidente che in quest’ottica è il citato NUBAC, più che la persona considerata come oggetto di cura o il suo caregiver, ad essere il vero soggetto che si interfaccia con gli altri attori in movimento sulla scena: gli operatori sanitari, assistenziali, le strutture di riferimento e così via. E anche in questo caso, tanto migliore sarà il funzionamento del sistema base, tanto maggiore sarà la probabilità di riuscita dei trattamenti o delle pratiche proposte o intraprese.