Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo da un nostro Lettore. Dal canto suo la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) ha reso noto di avere fatto propria la sollecitazione presente in questo contributo e di volere intervenire quanto prima nei confronti delle Istituzioni, per individuare una possibile soluzione al problema evidenziato.
Sono padre e amministratore di sostegno di mia figlia, di anni 26, con la quale abitiamo in una città del Sud Italia. Mia figlia frequenta un Centro di Terapia Occupazionale, che fa capo a una Cooperativa a propria volta componente di un Consorzio. Recentemente un’operatrice del Centro, non vaccinata, è risultata positiva al Covid-19, positività riscontrata tramite tampone rapido, che l’operatrice stessa eseguiva ogni due giorni.
È stato in tale occasione che siamo venuti a sapere, dai responsabili e colleghi dell’operatrice, che non era vaccinata, come pure un altro operatore che continua a prestare la propria opera, esibendo, quando necessario, l’esito negativo del tampone rapido effettuato.
Pur essendo, all’epoca del fatto, mia figlia vaccinata (due dosi), abbiamo comunque effettuato dopo sette giorni un tampone molecolare che fortunatamente, per mia figlia e per l’intera famiglia, ha dato esito negativo.
Qualche giorno dopo la scadenza dei sei mesi dalla seconda dose, esattamente il 20 dicembre, mia figlia ha effettuato il richiamo del vaccino (terza dose o dose booster), presso un Centro Vaccinale della nostra città.
Dal giorno in cui l’operatrice è risultata positiva al Covid, mia figlia non ha più frequentato il Centro (quasi un mese), come pure altri ragazzi e ragazze, persistendo la presenza dell’operatore non vaccinato.
Ho atteso l’emanazione dell’ultimo Decreto sulla materia, che ho poi prontamente girato alla responsabile del Centro, la quale mi ha confermato che anche l’aggiornamento della normativa non si applica al loro caso, essendo la struttura frequentata da mia figlia un Centro Socio-Educativo, quindi al di fuori del contesto sanitario, e il loro caso «raramente viene menzionato da decreti e regolamentazioni» (riporto testualmente le sue parole).
Sembra così che in Italia, in questo momento, sia possibile a persone non vaccinate lavorare quotidianamente a stretto contatto con soggetti fragili: esiste cioè un buco nelle normative attuali, pur se aggiornate, che disciplinano la presenza di persone non vaccinate accanto a persone fragili, come è mia figlia e tutti i ragazzi del Centro.
È ovvio che l’assenza dal Centro non risolve affatto il problema, considerando l’importanza che determinate attività hanno per il benessere psicofisico delle persone con disabilità, e nemmeno è possibile pensare che la negazione di un diritto costituisca la soluzione a una determinata questione.
Pur rispettando i diritti del lavoratore e la sua libertà di scelta, finché è resa possibile dalla legislazione vigente, mi chiedo se debba ritenersi preminente la libertà del lavoratore oppure la tutela della salute di soggetti fragili.
Sembra quindi necessario – e a mio parere urgente – un chiarimento sull’interpretazione da dare alla normativa vigente oppure un ulteriore intervento legislativo che contempli tutti i casi possibili di contatto tra soggetti non vaccinati e soggetti fragili (ambienti sanitari e non-sanitari, scolastici, assistenziali, socio-educativi, ludico-ricreativi, di cura ecc.), considerato anche il perdurare della pandemia e di conseguenza la necessità di fornire agli stessi soggetti fragili, ai loro familiari e ai tutori un quadro legislativo chiaro entro il quale organizzare la propria vita quotidiana.