Il tema
La disabilità occupa storicamente un posto defilato e laterale nel discorso giuridico italiano: è oggetto di qualche commento, di alcune note giurisprudenziali, di pochi articoli, di testi rari, di convegni radi. Dopotutto, le sue anomalie, tanto familiari e così quotidiane, non hanno mai suscitato la fascinazione delle grandi aberrazioni e attorno alle sue istituzioni, per quanto complete e austere, non si è mai prodotta l’aura che ammanta gli altri sistemi d’internamento. Le manca, insomma, il clamore in cui fermenta il discorso della modernità.
D’altronde, anche il diritto positivo non offre molte occasioni di fibrillazione. Per lo più, si limita a interventi di manutenzione o di restauro conservativo; con una certa insistenza, rimodula soglie, ridetermina gradi, ridefinisce percentuali. Istiga modesti piaceri contabili dell’apparato previdenziale e assistenziale che si esauriscono in un fremito tutto interno al corpo burocratico, in ossequio a un antico retaggio. In effetti, da tempo, la regolazione della disabilità è ampiamente delegata alla ragione amministrativa e alla polizia tributaria delle anime e dei corpi.
La ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità da parte dell’ordinamento italiano, nel 2009 [Legge 18/09, N.d.R.], avrebbe potuto trasformare lo statuto epistemologico della disabilità e ricollocarla nella tavola dei saperi giuridici: riassegnarla a un nuovo ordine della gerarchia e sollecitarne la fuoriuscita dallo stato di minorità. Invece, due procedure di controllo del discorso ne hanno prontamente calmierato e rarefatto gli effetti.
Negli anni successivi all’adozione della Convenzione, infatti, il discorso giuridico nazionale si è polarizzato: da un lato, si sono moltiplicati studi settoriali tesi a rendere la Convenzione innocua e sostanzialmente compatibile con la conservazione placida dell’ordine giuridico consolidato, di norma per degradazione a petitio principii; dall’altro, si è assistito alla ripetizione metodica e alla disseminazione minuta dell’annuncio rituale su di un salto di paradigma operato dalla Convenzione: mantra performativo e rassicurante, con l’ingenua pretesa di dispiegare effetti con la sola pronuncia, in un armonioso e costante accordo fra formula linguistica e regola giuridica. Così, magnificata e declassata a un tempo, la Convenzione è entrata in stallo.
Questo dossier [dossier monografico della rivista «Materiali per una storia della cultura giuridica», edita da il Mulino, dedicato al tema “Disabilità, autonomia individuale e libertà personale. Aspirazioni e condizioni”, N..d.R.] si compone su di un diverso approccio. Riteniamo quell’insieme eteroclito, a cui da un certo tempo diamo il nome di “disabilità”, una figura rivelatrice dei codici fondamentali di una cultura, del suo ordine sociale e del correlativo ordine giuridico.
Pensiamo che l’indagine sulla disabilità interroghi i cardini delle forme sociali di coesistenza e convivenza. Per questo, assegniamo la riflessione sulla disabilità, prioritariamente, al campo degli studi della filosofia e della sociologia del diritto. In questa chiave, il dossier si propone di cartografare le principali tensioni e controtensioni diagonali che attraversano lo spazio della disabilità, secondo una formula di cui siamo debitori a un diagramma delle forze di Kandinskij. Le abbiamo rintracciate nel pulsare di punti e nel groviglio di linee che si articolano intorno al nesso tra status civitatis e status libertatis. Per ognuna, ci siamo ripromessi di restituire la dialettica costituente fra aspirazioni soggettive e condizioni oggettive.
Il percorso
Tutti gli articoli [del dossier citato] si distribuiscono lungo una curva di problematizzazione della coppia concettuale autonomia-libertà; in un modo o nell’altro, interrogano l’ambivalenza di queste nozioni che oscillano fra arti di governo e tecniche di emancipazione. La disabilità è solo uno dei piani di attualizzazione di questa dialettica trasversale che la comprende necessariamente, sia che la menzioni sia che resti innominata.
La serie degli studi si apre con il saggio di Emilio Santoro che indaga l’attualità del modello antropologico gerarchico-dualistico di matrice liberale nel sistema della razionalità politica e giuridica contemporanea. Questa concezione antropologica, pur nelle sue variazioni, si fonda sull’identificazione della libertà con il dominio delle passioni e istituisce un rapporto di proporzionalità diretta fra gradazioni della capacità di disciplinamento di sé e tassi di completezza della soggettività. Ma in un sistema in cui dominio di sé e libertà si confondono, paradossalmente l’autonomia individuale assume i connotati della conformità a un modello di pertinenza morale e civica dell’umano.
La disabilità è uno dei maggiori campi di applicazione di questa forma di governo in cui il “si può” si dissolve nel “si deve”.
Orsetta Giolo riflette sul paradigma moderno del confinamento dei corpi, che ritiene caratterizzato dalla risignificazione dello spazio privato, dalla chiusura dello spazio pubblico e da differenziali di soggettività.
La pandemia da Covid-19 ha intensificato e accelerato il processo in atto di chiusura degli spazi, incidendo sulla gestione delle libertà individuali e dando luogo a ripercussioni significative sulla tutela dei diritti fondamentali delle persone. In tale ottica, Giolo ritiene di portata strategica la garanzia della libertà di movimento intesa come forma specifica del nesso tra libertà e persona.
Il saggio di Ciro Tarantino delinea la serie storica di configurazioni sociali della disabilità che sono emerse in Europa tra la fine del XIX e l’inizio del XXI secolo, e hanno impresso la propria impronta sulla cultura giuridica. L’ipotesi ricostruttiva è che per circa un secolo la questione sociale della disabilità si sia articolata intorno a una problematica dell’essere; nell’arco di un calendario poco più che centenario, che non si è ancora esaurito, sono state ripetutamente messe in questione le possibilità di esistenza della disabilità.
Vengono così estratte quattro configurazioni della disabilità, imperniate sull’essere, il non essere, il diritto all’essere e il diritto all’esserci.
Daniele Piccione muove dai diversi profili di intersezione tra i diritti sociali e le libertà costituzionali per esaminare le teorie che ne hanno amplificato la strutturale contrapposizione e quelle che ne hanno predicato la progressiva convergenza, nonché la possibile integrazione.
Nel campo della disabilità, in particolare, si evidenzia il valore paradigmatico di un sistema di valorizzazione dell’autonomia individuale e di accesso diretto alle prestazioni sociali, rivelando come l’effettività delle libertà costituzionali e la garanzia dei diritti di prestazione siano entrambe funzionali al massimo rispetto della persona umana, secondo le disposizioni della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Nel suo contributo, Paolo Addis riflette sulla faccia oscura della libertà, ossia sul complesso rapporto che sussiste tra paternalismo e disabilità. Anche attraverso l’attenzione al formante giurisprudenziale, mette in discussione il binomio – spesso ritenuto indissolubile – tra condizione disabile e incapacità, che storicamente ha legittimato un approccio paternalistico “forte”. Addis propone, invece, l’adozione di un modello di antipaternalismo moderato, che correla ai princìpi e ai valori della Costituzione italiana del 1948, oltre che a quanto stabilito dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Il focus si chiude con l’analisi di alcune dinamiche concrete e paradigmatiche, ove aspirazioni di autonomia e libertà si scontrano con persistenti dispositivi di incapacitazione delle persone con disabilità, emanazione del trattamento culturale e giuridico riservato a tutte quelle forme sociali che possono essere qualificate come “soggettività improprie”. Vi compaiono corpi sessuati, corpi decrepiti e corpi relegati.
Laura Scudieri si sofferma sulla sterilizzazione imposta alle donne con disabilità, interpretando questa pratica con finalità antiprocreative dirette come discendente dall’adesione a un paradigma culturale incapacitante in cui le donne coinvolte sono ritenute a priori madri difettose e incompetenti, che non possono disporre pienamente dei propri corpi e delle proprie libertà.
La prospettiva intersezionale costituisce il punto di partenza anche delle riflessioni di Maria Giulia Bernardini che concentra la propria attenzione sui corpi delle persone anziane non autosufficienti.
Come già per Giolo, anche per Bernardini la pandemia ha amplificato la tendenza al confinamento di tali soggettività, che è in atto già da tempo; l’Autrice si sofferma, in particolare, sulla condizione di coloro che si trovano all’interno delle strutture residenziali e socioassistenziali, al fine di fare emergere i nodi problematici relativi all’intreccio tra incapacità, libertà e autonomia, nonché le resistenze in atto, dirette al superamento del “paradigma della segregazione”.
Quest’ultimo paradigma è al centro anche del saggio conclusivo del dossier, di Gilda Losito e Ciro Pizzo, che ricostruisce l’inserzione dell’area della disabilità fra gli ambiti di competenza del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Il campo della disabilità si configura, allora, come spazio operativo privilegiato per monitorare il rischio sempre incombente di istituzionalizzazione e per sviluppare strumenti di tutela effettiva dei diritti sanciti dalla Carta Costituzionale e dalle convenzioni internazionali.
Infine, un cenno al processo dell’intenzione. In consonanza con una formulazione che si rinviene in un passo del Libro secondo dell’Etica Nicomachea, «la presente trattazione non mira alla contemplazione». Questo esercizio del pensiero è stato concepito, infatti, con la pretesa o, almeno, la speranza di contribuire a corrodere i margini angusti della libertà.