Càpita alcune volte di sentire persone che si pongono una strana domanda: «Ma… chi era la cieca di Sorrento? L’ho sentita nominare ma mi sfugge il perché sia diventata famosa». Già, molti pensano che si tratti di una persona realmente esistita e non, com’è in realtà, solo il titolo di un romanzo d’appendice ottocentesco.
Si tratta infatti del romanzo d’appendice pubblicato nel 1851 a puntate, all’interno del settimanale «Omnibus», scritto dal letterato partenopeo Francesco Mastriani (1819-1891).
Tale autore, oggi poco ricordato, fu un maestro di questo genere narrativo, un antesignano dei moderni fotoromanzi, fumetti o telefilm ad episodi. Ciò non significa tuttavia che ogni romanzo di appendice, pur se rivolto al grande pubblico popolare, debba sempre necessariamente essere considerato come un sottoprodotto artistico. La cieca di Sorrento, anzi, è un’opera indubbiamente ben scritta, caratterizzata da pathos, sapienza narrativa e coinvolgimento emotivo. Vediamone la trama.
La giovane Beatrice di Rionero divenne cieca per lo spavento provato durante una terribile notte in cui, quando era bambina, le era stata uccisa la mamma derubata dei gioielli da Ernesto Basileo, scrivano del notaio Sordi. Il doppio delitto, su falsi indizi, fu attribuito erroneamente ad un certo Ferdinando Baldieri, che fu successivamente giustiziato. Il figlio di questi, Carlo Baldieri, dopo dieci anni di volontario esilio, ritorna in Italia dopo essere diventato un celeberrimo medico. Qui conosce Beatrice, divenuta ormai una bella ragazza, la guarisce dalla cecità e la sposa quando ulteriori indagini fanno piena luce sul passato del delitto e riabilitano pienamente la memoria del padre.
Come si evince dalla trama, si tratta di una sorta di giallo, condito però di suggestioni sentimentali e di spaccati ambientali cupi e tenebrosi. In questo periodo artistico, infatti, lo scrittore amava indulgere su dettagli macabri e quasi patologici. Fin qui la storia del romanzo. Ma esiste, come spesso avviene a Napoli, anche una dimensione popolare e gergale dell’espressione.
Per indicare infatti una persona che guarda senza vedere, osserva senza notare, perché distratta, si usa appunto definirla “la cieca di Sorrento”. Ciò specialmente al Meridione e, come detto, nel Napoletano in particolare. Un motto, un adagio, un proverbio: risalire alle radici del modo di dire è molto difficile e anche chi adopera la locuzione con una certa frequenza difficilmente ne conosce la provenienza. Non sembra, del resto, che il significato abbia una relazione diretta con il testo di Mastriani.
È interessante, infine, soffermarsi brevemente sulla notorietà del romanzo: esso fu molto conosciuto ed editato nell’Ottocento per poi cadere lentamente nel dimenticatoio nel secolo successivo. Non mancarono tuttavia importanti opere cinematografiche ispirate alla vicenda narrata da Mastriani.
Il primo film, intitolato anch’esso La cieca di Sorrento risale addirittura al 1916 e venne realizzato dal regista italiano Gustavo Serena. La pellicola più conosciuta uscì però nel 1934 ad opera di Nunzio Malasomma. Nel suo cast, tra l’altro, debuttava la futura grande attrice Anna Magnani.
In conclusione ancora una curiosità. Francesco Mastriani dovette conoscere, anche sulla sua pelle, il problema della cecità negli ultimi anni della sua vita. Nonostante la notorietà acquisita era tuttavia fortemente indebitato e morì cieco e povero nel 1891. Nessun medico famoso poté infatti guarirlo, come il mitico personaggio del suo romanzo.