Tramite la recente Sentenza n. 3313 del 28 gennaio scorso, il Giudice del Lavoro di Palermo ha stabilito che il congedo di due anni, previsto dal Decreto Legislativo 151/01 (articolo 42, commi 5 e 5 bis), spetti al legittimo richiedente per ciascuna persona con disabilità che deve assistere.
Nel caso in specie, al ricorrente, assistito dall’avvocata Valentina Muscaglione del Foro di Palermo, è stato riconosciuto il diritto al congedo biennale per assistere la madre, pur avendo già usufruito del permesso biennale per assistere il fratello.
Il ricorso al Giudice del Lavoro, sostenuto anche dalla nostra organizzazione [Associazione di Promozione Sociale Ufficio Nazionale del Garante della Persona Disabile di Palermo, N.d.R.], si è reso necessario, in quanto l’INPS di Palermo ha seguito quanto disposto da una Circolare dell’Istituto, la n. 85 del 2002, secondo la quale, invece, non si sarebbe potuto usufruire del congedo in argomento per più di due anni, anche nel caso in cui si assistessero più persone con disabilità. Una prassi, questa, chiaramente errata, non tenendo conto né delle modifiche apportate dal Decreto Legislativo 119/11 – che nel citato articolo 42 del Decreto 151/01, ha introdotto il comma 5 bis, prevedendo espressamente che «il congedo usufruito ai sensi del comma 5 non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell’arco della vita lavorativa» –, e neppure del consolidato orientamento della Corte di Cassazione.
A tal proposito, infatti, la Suprema Corte ha confermato il proprio orientamento in questo senso, con la Sentenza n. 26605/20, dopo essersi già sostanzialmente espressa analogamente in altre due pronunce precedenti (n. 11031/17 e n. 11126/19), secondo cui «il limite massimo di due anni per la fruizione del congedo durante il periodo lavorativo, valido anche nel caso in cui siano entrambi i genitori ad usufruire del congedo, va inteso per ciascun figlio che versi nella condizione di handicap».
La nostra organizzazione rappresenterà formalmente all’INPS la necessità di adeguare la prassi alla normativa vigente e alla consolidata giurisprudenza della Cassazione, al fine di evitare inutili e dispendiosi disagi alle famiglie che devono assistere più persone con disabilità grave e a non costringerle ad adire l’autorità giudiziaria, per avere riconosciuto un diritto collegato ad una norma fin troppo chiara che, obiettivamente, non ammette interpretazioni diverse.