Il Comune di Torino ha pubblicato recentemente il bando per la carica di disability manager, come abbiamo riferito anche sulle nostre pagine, dando spazio alla presa di posizione della FEDMAN (Federazione Disability Management), secondo la quale «la decisione del Comune di Torino di non prevedere alcun compenso per il disability manager è una scelta completamente sbagliata che non rispetta il grande lavoro svolto da questa figura innovativa».
Secondo però l’ANFFAS di Torino (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), «il problema del compenso – come si legge in una nota diffusa dall’Associazione – è secondario, perché il vero problema risiede proprio nella figura del disability manager, che a parere di Giancarlo D’Errico, presidente dell’ANFFAS torinese, «è la “foglia di fico” dietro cui nascondersi, per evitare di co-progettare e co-programmare con le associazioni di settore, unica vera rappresentanza delle persone con disabilità e delle loro famiglie».
«Eravamo scettici di fronte alla scelta della precedente Amministrazione – aggiunge D’Errico – e abbiamo avuto ragione, visti i risultati ottenuti, suo malgrado, dal precedente disability manager. Ora siamo assolutamente contrari».
«Le disposizioni di legge sono chiare – scrivono dall’ANFFAS -: Regioni ed Enti Locali sono delegati ad attuare le politiche volte a migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità, secondo il modello, ribadito anche dalla Riforma del Terzo Settore, della co-programmazione (rilevazione e definizione dei bisogni e dello stato delle cose) e della co-progettazione (definizione e organizzazione delle azioni per l’intervento su quanto co-programmato). Accade invece che si allarga sempre di più la forbice tra bisogni sociali, in continua crescita, e le risorse finanziarie da destinare ai servizi di welfare, da tempo drammaticamente congelate, con la pandemia che ha aggravato questa disparità. In tale contesto, le Associazioni che rappresentano le persone con disabilità e le loro famiglie non possono rimanere semplici spettatori delle scelte che le coinvolgeranno direttamente. Occorre ripensare e riformare il sistema di erogazione dei servizi, con l’obiettivo di accrescere la qualità della risposta rispetto al bisogno espresso dal cittadino, adeguando le risorse al soddisfacimento dei bisogni che per l’80 per cento sono ricompresi nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e per questo non sono né differibili né comprimibili».
«La complessità delle risposte che il territorio richiede –proseguono dall’Associazione – e l’aumento della domanda di accesso ai servizi evidenziano che i bisogni delle persone non possono essere interamente soddisfatti dal solo sistema dei servizi istituzionali. È indispensabile, pertanto, definire e adottare un modello di assunzione di corresponsabilità che coinvolga Istituzioni, profit e non profit (Enti del Terzo Settore), superando la logica di gestione centrata sul procedimento amministrativo, per acquisire processi di gestione orientati al cittadino inteso come consumatore e cliente, valorizzando il capitale territoriale e migliorando gli strumenti di partecipazione diretta del cittadino ai processi pubblici».
«Tutto il contrario – a parere del presidente D’Errico – di quello che significa la figura del disability manager. Eppure, in due incontri pubblici durante la campagna elettorale, il nuovo sindaco Stefano Lo Russo aveva espresso interesse per l’istituzione di un tavolo cittadino permanente sulle disabilità, partecipato dalle Associazioni maggiormente rappresentative e finalizzato alla definizione, alla realizzazione e al monitoraggio del Programma d’Azione, con il coinvolgimento di tutti gli Assessorati interessati. Lavoro, casa, trasporti, istruzione e formazione professionale, cultura, tutela della salute e politiche sociali: non c’è infatti argomento di Pubblica Amministrazione che non riguardi le persone con disabilità. Nella stessa direzione, inoltre, si era espresso l’assessore comunale al Welfare Jacopo Rosatelli in un recente incontro e non abbiamo motivo per non credergli. Ma probabilmente per il fatto che è “atterrato” a Torino il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, di aprire il confronto con le Associazioni di rappresentanza delle persone con disabilità non se ne parla».
«Non basta mettere una passerella per lavarsi la coscienza – conclude D’Errico -, perché la stragrande maggioranza delle disabilità non è fisica, ma intellettiva e relazionale. Non basta, ancora di più, mettere la “foglia di fico” del disability manager, per di più senza alcun potere rispetto alle scelte da effettuare. Bisogna invece scegliere di avere un rapporto non paternalistico con le persone con disabilità, accettare il confronto con le loro Associazioni di rappresentanza, rispettare le Leggi che regolano tali rapporti e che indicano come prioritari gli strumenti della co-programmazione e della co-progettazione». (S.B.)
Per ogni ulteriore informazione e approfondimento: media@inspirecommunication.it (Daniele Pallante).
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