I diritti sessuali e genitoriali delle persone con disabilità fisiche e psichiche: atteggiamenti degli italiani e fattori socio-demografici coinvolti nel riconoscimento e nel diniego, si intitola così l’indagine esplorativa pubblicata (in lingua inglese) dall’«International Journal of Environmental Research and Public Health», e realizzata dalla psicologa, sessuologa e ricercatrice Simona Di Santo, responsabile del LASERC, il Laboratorio di Epidemiologia e Ricerca Clinica della Fondazione Santa Lucia IRCCS, in collaborazione con il gruppo Giovani Ricercatori della FISS (Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica) e con il Comitato per le Iniziative Giovanili dell’Associazione Mondiale per la Salute Sessuale (WAS YIC).
Lo studio prende le mosse dalla constatazione che, nonostante più del 15% della popolazione mondiale conviva con una forma di disabilità fisica, sensoriale o psichica, gli interventi rivolti a questo gruppo di persone, pur essendo finalizzati a promuovere la più ampia partecipazione alla vita sociale, mantengono una natura assistenziale o contenitiva dei disturbi, e trascurano quasi totalmente la dimensione sessuale. E questo nonostante l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) consideri la salute sessuale una componente dello stato di benessere degli individui, e predisponga specifiche politiche sanitarie al riguardo. «I diritti sessuali – si legge infatti nella nota con la quale la Fondazione Santa Lucia ha segnalato la pubblicazione -, sono considerati fondamentali per la persona: la loro violazione costituisce violazione dei diritti all’uguaglianza, alla non discriminazione, alla dignità e alla salute. Un tema politico-sociale sul quale conoscere la posizione dell’opinione pubblica ha una rilevanza sostanziale».
La ricerca ha preso dunque le mosse proprio dalla carenza di dati recenti relativi al contesto nazionale, indagando le opinioni degli italiani e delle italiane riguardo ai diritti sessuali delle persone con disabilità, misurando anche i fattori socio-demografici associati ad atteggiamenti sfavorevoli verso tali diritti.
L’indagine è stata condotta attraverso un sondaggio anonimo online rivolto ad un campione non probabilistico di quasi 1.000 unità. Nello specifico veniva sondato in quale misura la popolazione generale riconosca i diritti sessuali delle persone con disabilità psichica o fisica, quali siano le caratteristiche delle persone che li riconoscono in misura maggiore o minore e, infine, se vi sia una differenza nel riconoscimento dei diritti sessuali delle persone con disabilità fisica e psichica. Nel sondaggio, inoltre, veniva chiesto ai partecipanti di esprimere il grado di accordo/disaccordo con i diritti delle persone con disabilità fisica e psichica di avere una sessualità soddisfacente, di sposarsi e di adottare un bambino.
Tra i risultati più interessanti vi è sicuramente il diverso atteggiamento riguardo alle persone con disabilità differenti. Infatti, mentre la maggioranza (il 70 %) degli/delle intervistati/e si è dichiarata favorevole a che le persone con disabilità fisica possano esercitare tutti questi diritti, risulta molto minore il riconoscimento accordato alle persone con disabilità psichica. A tal proposito Di Santo osserva che «questa differenza potrebbe far riflettere sul fatto che i diritti sessuali non sono visti solo come possibilità da garantire a tutti, ma come un’opzione praticabile solo da alcuni».
Il campione riconosce alle persone con disabilità fisiche anche il diritto all’adozione, pur con percentuali inferiori, ma comunque alte, mentre la quasi totalità non lo riconosce alle persone con disabilità psichica. Si tratta di «un aspetto molto controverso – dichiara la ricercatrice – poiché l’adozione di un minore richiede competenze e abilità che molti giudicano troppo complesse per essere portate avanti dalle persone con disabilità, in particolare psichiche, e possiede delle implicazioni che si estendono oltre i diritti del singolo individuo».
Degni di nota sono anche i dati che mostrano la correlazione tra le opinioni espresse dalle unità del campione e le variabili di genere, età e cultura. «I maschi – commenta Di Santo – risultano meno propensi a riconoscere i diritti sessuali dei disabili, come pure le persone fortemente religiose, o con un grado di istruzione modesto. Al contrario, i più giovani esprimono accordo in percentuali maggiori, mostrandosi forse più consapevoli dell’importanza di non porre ulteriori barriere verso il benessere e l’autorealizzazione di persone che vivono già una condizione di potenziale svantaggio sociale».
«Conoscere le condizioni che predicono riserve o pregiudizi nell’opinione pubblica – conclude la ricercatrice del Laboratorio LASERC – può permettere di individuare strategie educative e culturali specifiche per favorire il riconoscimento dei diritti sessuali e della genitorialità delle persone con disabilità». (Simona Lancioni)
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso – con alcune modifiche – per gentile concessione.
Per approfondire ulteriormente il tema trattato, suggeriamo senz’altro la consultazione, sempre nel sito di Informare un’h, della sezione Donne con disabilità: diritti sessuali e riproduttivi.