Trovo che sia tempo, per me e per tanti familiari di persone autistiche, di dire basta a chi continua indisturbato a propinare dichiarazioni farlocche, campate in aria, avulse dalla realtà, rilanciate a tamburo battente dalla grancassa di giornali e televisioni compiacenti. A farneticare di disabilità e autismo ci hanno pensato ultimamente anche personaggi di alto profilo istituzionale, che probabilmente in vita loro non hanno mai visto un autistico in carne ed ossa, né si sono imbattuti in un familiare distrutto dall’enorme fatica che comporta la cura di una persona autistica, né sono mai entrati in una di quelle fatiscenti strutture manicomiali – vere e proprie “succursali dell’inferno” – che spesso rappresentano il vergognoso approdo che i Servizi “suggeriscono” alle famiglie in condizioni di emergenza (dimenticando che mai si dovrebbe arrivare a quella soglia limite). Ma tant’è!
Si perpetua, nell’indifferenza delle Istituzioni, l’indegno abbandono di cui sono vittime innocenti il 90% delle persone autistiche, e insieme ai loro i familiari, che vivono in questo sciagurato Paese, dove senza ritegno non si esita a finanziare l’industria delle armi, favorendo l’escalation bellica, e contestualmente si tagliano le risorse, già fin troppo esigue, da destinare alla scuola, alla sanità e al welfare. A quei comparti, cioè, che qualificano il livello di civiltà di un Paese!
Sul territorio la regola è trovarsi spesso davanti un nugolo di incompetenti, alcuni dei quali chiamati addirittura a dirigere Servizi che sulla carta dovrebbero garantire alle persone autistiche una presa in carico degna di questo nome ma che, in realtà, rappresentano comode nicchie in cui certi personaggi vivacchiano alla bell’è meglio, tra uno sbadiglio e l’altro, mentre fingono di prestare ascolto a chi si rivolge loro nella speranza di essere aiutato. È un carrozzone alla cui guida si trovano funzionari e dirigenti, investiti di incarichi prestigiosi, che, nonostante la palese incompetenza che li contraddistingue (o forse proprio grazie ad essa), godono di indubbi privilegi, stipendi altissimi e, ciliegina sulla torta, di un credito all’esterno il cui fondamento è avvolto in un alone di mistero che si fa fatica a squarciare.
Si tratta di una vera e propria casta, inamovibile. impermeabile ad ogni critica, anche quando essa è oggettivamente ancorata a montagne di documenti e dati incontrovertibili! Che tristezza!
È per questo che, se da una parte comprendo benissimo le Associazioni, quando rivendicano la sacrosanta centralità della formazione di medici, insegnanti eccetera (a proposito: dipendesse la me la renderei obbligatoria, con tanto di verifica finale e decurtazione dello stipendio per chi si sottrae a questo preciso “dovere”!), dall’altra chiedo a quelle stesse Associazioni se hanno mai riflettuto sul fatto che la migliore formazione del mondo è destinata ad essere vanificata, e a naufragare, quando al vertice della piramide continuano a rimanere autentici “dilettanti allo sbaraglio”, che non sanno nemmeno spiegare a se stessi perché proprio a loro è toccato ritrovarsi seduti dietro “quella” scrivania di “quell’ufficio”, dove fa bella mostra solo una targhetta impolverata in cui si intravede la scritta “Direttore dell’Area Disabili”… La stessa del predecessore, altrettanto incompetente, e di chi – ancora più incompetente – ne prenderà il posto. Ergo, care Associazioni: per favore inserite il punto relativo alla formazione e preparazione dei dirigenti dei Servizi tra le vostre priorità!
Ma proviamo per una volta a raccontare la realtà che viviamo. Proviamo a liberarci della narrazione barocca che le Istituzioni fanno dell’autismo. Proviamo a dire la verità, anche se scomoda, su quell’autentica scatola vuota chiamata “Servizi”, che spesso viene esibita dai padrini della politica regionale e nazionale, quando (stra)parlano di risorse messe a disposizione delle famiglie di disabili autistici.
Inizio col ricordare che, nella migliore delle ipotesi, alle famiglie vengono offerte soluzioni di marcata impronta assistenziale che nulla hanno a che vedere con il soddisfacimento dei bisogni specifici delle persone autistiche. Sono le classiche “collettività handicap” in cui prevale l’opportunità di accontentarsi di una tranquilla e rassicurante routine quotidiana di gruppo, fondata sulla custodia e sull’accudimento, nonché – specie nelle strutture residenziali (per la serie “non facciamoci mancare nulla”) – sulla massiccia somministrazione di psicofarmaci, antico retaggio di una psichiatria “malata” (lei sì, malata) che pretende di curare l’autismo alla stessa stregua di una malattia mentale.
È questo – fatte salve naturalmente le dovute eccezioni rappresentate da centri e comunità in cui si sperimentano con encomiabile impegno buone prassi – il fragile retroterra con cui i familiari quotidianamente devono fare i conti. È questa la debole impalcatura sulla quale va in scena ogni giorno, per 365 giorni all’anno, da decine di anni, una commedia mediocre la cui regia è affidata, dalla politica, a sprovveduti dirigenti che, in una logica di incomprensibile delega, incapaci come sono, a causa della loro impreparazione, di esercitare una doverosa funzione di controllo e proposta, si ritagliano una sorta di imbarazzante (…ma non per loro) melina, ossia il comodo ruolo di meri erogatori economici di programmi e contenuti la cui gestione è poi colpevolmente lasciata all’esclusivo monopolio dei partner privati (traduco: cooperative. Quelle, per capirci. che in molti casi sfruttano, con turni di lavoro massacranti e salari indecorosi, tipo 7 euro all’ora, i propri dipendenti, mentre passano impettiti all’incasso di rette mensili che nelle strutture residenziali viaggiano intorno a 6.000 euro per utente. Mi sono sempre chiesto per quale ragione lo Stato non ne dia la metà alle famiglie perché siano loro a provvedere direttamente… Sarà mica perché c’è un grande business intorno?…).
Ci si gira dall’altra parte pur essendo evidente che in molte realtà esiste un forte scompenso tra le attività rivolte all’abilitazione e all’integrazione e quelle afferenti all’ambito sanitario-assistenziale, con netta prevalenza di queste ultime. Si finge di non sapere che in conseguenza di ciò tante persone autistiche si ritrovano inserite in un percorso di gestione dei bisogni puramente formale che, nel lasciare poco spazio alla dimensione soggettiva, affettiva e relazionale, ne accresce sensibilmente l’emarginazione.
I Servizi sono, a pieno titolo, complici di questo sistema in cancrena, in cui vige un fare estemporaneo e votato al ribasso, sprovvisto di pianificazione ragionata e intelligente, governato da un’odiosa improvvisazione gestionale e terapeutica. Un sistema dominato da una visione meramente assistenziale, che produce danni incalcolabili per i nostri figli e rappresenta un carico esorbitante per le famiglie, con il rischio di perdita di autonomie e abilità faticosamente raggiunte e abusi farmacologici.
Quello che certi signorotti non capiranno mai è che ciò di cui i nostri figli hanno bisogno non ha niente a che vedere con il lungo elenco di provvedimenti strampalati, raffazzonati alla meno peggio, privi non dico di un orizzonte strategico, ma almeno di un timido barlume che da lontano lo lasci intravedere. Inimmaginabile, in questo contesto di mediocrità e di complicità, pensare a una presa in carico globale e interdisciplinare e ad un progetto di vita individualizzato: le vere priorità dei nostri figli!
Senza un deciso cambio di passo, senza una sostanziale inversione di tendenza, è giocoforza aspettarsi che i Servizi ripropongano, come un disco rotto, il comodo ritornello secondo cui la colpa dell’assenza di risultati è tutta da ascrivere alla gravosità della sindrome (ultima, ma sempre utile scappatoia), anziché ai limiti dell’intervento proposto e alle risorse messe in campo (e quando dico risorse non penso solo a quelle economiche).
Da chi può partire il cambio di passo? Personalmente non ho dubbi: solo e soltanto dalle famiglie. Dalla loro voglia di non arrendersi. Di non rassegnarsi davanti alle ingiustizie di cui sono vittime. Di ribellarsi a fronte alla latitanza di Servizi e Istituzioni, brave solo a fare passerella mediatica il 2 Aprile di ogni anno [Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo, N.d.R.] e a sparire gli altri 364 giorni dell’anno. Di dire basta a soprusi, sopraffazioni, vessazioni. Partire dalla consapevolezza che il destino dei nostri figli è prima di tutto nelle nostre mani. Dalla necessità che si sia noi ad imporre l’agenda delle priorità alla politica, e non viceversa (come non usare la parola “ignominia” davanti a tutti coloro che “bivaccano” tra Camera e Senato, senza trovare il tempo di scrivere una Legge ad hoc sui caregiver familiari?).
Occorre prendere consapevolezza che il “sistema autismo” è da rifondare. Impossibile dopo le prove di dabbenaggine alle quali la politica ci ha abituati in questi anni, pensare a rattoppi che sarebbero peggiori del buco (della voragine) che è stato aperto. In gioco ci sono il presente e il futuro di ciò che di più caro abbiamo al mondo. Non lasciamo che una banda di incompetenti calpesti ulteriormente i diritti e la dignità dei nostri figli. Denunciamoli in tutte le sedi, nazionali e internazionali, quando sono inadempienti nell’applicazione delle Leggi e penso in particolare alla 328/00 sul progetto di vita, alla 68/99 sul lavoro, alla 134/15 sull’autismo, alla 112/16 sul “Dopo di Noi”. Non dobbiamo avere paura!
Ci sarà un motivo per cui ho scelto di dare il seguente titolo – Le irrinunciabili sinergie (a parole) delle famiglie: applausi a lorsignori – al post che ho scritto e pubblicato pochi giorni fa sulla mia pagina Facebook. Posso consigliarne la lettura? È un titolo sicuramente ironico, ma di un’amara ironia, con il quale ho voluto ricordare “a lorsignori”, a coloro che nei convegni si riempiono la bocca della parola “sinergia”, come nella pratica – immancabilmente – essi tradiscano questo impegno, snobbino le famiglie, procedano come caterpillar nelle loro nefandezze.
Io stesso, in una mail indirizzata al mitico “Direttore dell’Area Disabili” della città in cui vivo ho scritto testualmente: «Buongiorno, dottor… XY. Sarò lieto di incontrarla se avrà la gentilezza di fissarmi un appuntamento. Chiedo che sia un incontro operativo, nel senso che in quella sede vorrei che venissero chiarite, una volta per tutte, ufficialmente, quegli aspetti ambigui che ci trasciniamo da anni, il cui prezzo altissimo – giova ricordarlo – lo paga per intero mio figlio. Le chiedo di ascoltare le mie ragioni, perché delle famiglie non si può pensare di parlare bene solo nei convegni e poi relegarle in un angolo. Confidando in un suo gentile riscontro la ringrazio dell’attenzione e rimango in attesa di un suo gradito riscontro». Inutile dire che attendo “il gradito riscontro” di mister XY dalle 17.06 del 29 marzo 2022, quando gli ho inviato l’e-mail! Sono trascorsi più di cinquanta giorni…
Sappia, XY, che alla faccia della sua protervia continuerò in ogni caso a fare la mia parte per il tempo che mi rimane, battendomi sempre in favore di mio figlio, di Quelli come Lui, ma anche – ne sia certo – dei tanti, troppi, familiari che soffrono ingiustamente grazie a persone come Lei.
I nostri figli, caro Direttore, non sono numeri né fascicoli o scartoffie da esibire su una scrivania tre quattro volte all’anno per far finta che ci si occupa di loro. Sono prima di tutto Persone: non lo dimentichi. Né dimentichi che Quelli che ha di fronte (…che “dovrebbe” avere di fronte) non sono “malati” di autismo, come lei può pensare insieme a qualche pupillo che le regge il moccolo… Il malessere di queste Persone è altro, e si chiama ribellione estrema per la vita che conducono.
Se lo stampi bene nella mente: i nostri figli chiedono solo di vivere, non di sopravvivere. Ed è questa, caro XY, la loro principale colpa. Io mi batterò fino alla fine perché vivano.