Prendo spunto da una vicenda ambientata presso una scuola primaria della Città Metropolitana di Milano, per evidenziare una serie di criticità presenti in tutto il territorio italiano: una famiglia con un bambino con autismo si batte per vedere rispettati i diritti che il “sistema scolastico” non riconosce. Seguo questa famiglia da diversi anni e ho già avuto modo di scrivere su queste stesse pagine delle difficoltà incontrate alla scuola dell’infanzia (a questo link).
La famiglia ha scelto per il proprio figlio una delle strategie basate sull’Analisi Applicata del Comportamento (ABA) che sono ad oggi l’unica forma di educazione raccomandata dalla Linea Guida n. 21 (Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti), in quanto sono quelle che presentano maggiore efficacia ed efficienza. Scelta la cui bontà è confermata dai risultati ottenuti sul bambino e la cui legittimità è già stata confermata anche in questo caso specifico da un Giudice del Tribunale di Milano.
Per ottenere l’ingresso del supervisore e dei terapisti, la famiglia si è vista costretta, in occasione del passaggio dalla scuola d’infanzia alla scuola primaria, a cambiare scuola e per avere una copertura piena ha dovuto intervenire presso l’UST (Ufficio Scolastico Territoriale) e il Comune di Milano, che hanno assegnato un insegnante di sostegno per 22 ore alla settimana e un assistente specialistico per l’autonomia e la comunicazione per 13 ore.
A questo punto tutti felici e contenti? No, perché le ore sono condizione necessaria, ma non sufficiente per garantire una buona inclusione.
Il primo problema che si è manifestato e che si manifesta in molte istituzioni scolastiche è l’accettazione della scelta dell’ABA fatta dalla famiglia. A poco vale portare le evidenze scientifiche. Purtroppo, contrariamente alle rassicurazioni fornite prima dell’iscrizione, il “sistema”, fin dai primi giorni di scuola, si è rifiutato di accogliere la strategia basata sull’ABA quale modello educativo, motivando pretestuosamente tale decisione come lesiva del diritto dell’insegnante ad avere riconosciuta la sua libertà di insegnamento. In questo caso l’assistente specialistico aveva una Laurea in Psicologia ad Orientamento Psicodinamico, che evidentemente portava a un rifiuto aprioristico delle strategie psicoeducative speciali basate sull’ABA, rinforzando la resistenza già manifestata dagli insegnanti. Senza dimenticare che ancora ci sono degli psicologi e dei docenti formati al tempo in cui si credeva nella famigerata ipotesi della “madre frigorifero” quale causa dell’autismo.
Qui bisogna subito evidenziare che la libertà di insegnamento invocata dagli Insegnanti non è e non può essere un diritto illimitato, ma anzi ha come primo limite la tutela degli allievi: l’articolo 31 della Costituzione, infatti, ove è previsto che la Repubblica protegga l’infanzia e la gioventù, comporta la tutela degli allievi. Sicuramente la libertà di insegnamento non può ledere il diritto all’educazione, la cui scelta compete ai genitori. A maggior ragione il diritto alla scelta deve valere per gli alunni con disabilità, diritto fondamentale tutelato dagli articoli 7 (Minori con disabilità) e 24 (Educazione) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/09. Altresì deve intendersi prevalente il diritto fondamentale alla salute previsto dall’articolo 32 della Costituzione, in quanto l’educazione speciale in questi casi significa anche abilitazione.
A giustificazione del proprio agire, il “sistema” definisce pretestuosamente l’ABA come se si trattasse di un intervento terapeutico riservato a operatori sanitari e da svolgersi fuori della scuola. Al contrario questo intervento psicoeducativo speciale non è riservato a figure sanitarie ed esige la collaborazione degli insegnanti e dei familiari.
Su queste false premesse, dunque, il “sistema” spesso ostacola l’ingresso del supervisore responsabile del progetto abilitativo, e dei suoi “tecnici” dell’ABA (in sigla inglese RBT), che corrispondono ai nostri assistenti specialistici per l’autonomia e la comunicazione (AEC); oppure, come in questo caso specifico, “riduce” il loro ruolo a meri osservatori. In altri casi gli operatori scolastici diventano essi stessi meri osservatori passivi dell’operato degli esperti scelti dalla famiglia.
È evidente che la mancata collaborazione per l’attuazione del progetto abilitativo, che dovrebbe essere un concerto sinergico fra tutti coloro che stanno attorno al bambino, può pregiudicarne gravemente lo sviluppo futuro e comunque costituisce uno spreco delle risorse messe a disposizione dal bilancio pubblico.
Ma quali strumenti hanno le famiglie per vedere riconosciuti i diritti dei propri figli?
Già nel 2013 il Tribunale di Bologna, su iniziativa di chi scrive, al tempo presidente dell’ANGSA Bologna (allora Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici), aveva sancito per primo il diritto di una famiglia di utilizzare a scuola un supervisore specializzato nel metodo ABA-VB (Applied Behavior Analysis and Verbal Behavior) con certificazione BCBA (Board Certified Assistant Behavior Analyst) per una presenza di 3 ore mensili, a carico dell’AUSL. Recentemente, poi, il TAR della Campania (Tribunale Amministrativo Regionale), con la Sentenza 3216/20, ha riconosciuto il diritto dei minori con autismo a fruire delle terapie basate su ABA anche durante l’orario scolastico, alla presenza dei “tecnici” il cui ingresso, causa emergenza COVID, non era stato autorizzato «per ragioni di spazio» e in quanto «estranei alla scuola».
Il “sistema scuola” è drammaticamente impreparato ad affrontare il crescente aumento di bambini con disturbi dello spettro autistico, che già l’Istituto Superiore di Sanità rileva siano 1 su 77, e che si prevede arriveranno ai livelli degli Stati Uniti (1 su 44 nella rilevazione del 2018 del CDC’s Autism and Developmental Disabilities Monitoring (ADDM) Network – USA, sempre all’età di 8 anni).
E ancora, il “sistema scuola” “dimentica” di formare gli insegnanti di sostegno e nomina, come in questo caso, un insegnante privo della specializzazione formale e di quella sostanziale per la specifica disabilità. Evidenzio che moltissimi Giudici si sono già pronunciati sull’importanza della specializzazione degli insegnanti di sostegno e al riguardo cito di seguito due importanti Sentenze di riferimento.
Il Consiglio di Stato, con la Sentenza 5851/18, ha stabilito che «il docente di sostegno deve possedere le conoscenze specifiche che consentano l’efficace ed ottimale espletamento della sua funzione, proprio con riferimento all’handicap di fronte al quale egli si trova ad operare». E ancora: «Diversamente opinando, invero, la figura dell’insegnante di sostegno potrebbe ridursi a mera ed inutile presenza, in quanto non idonea a favorire l’integrazione e l’inserimento del disabile nel contesto scolastico, così assicurando la piena realizzazione degli obiettivi educativi e di formazione che l’istituzione scolastica deve garantire».
Il TAR della Campania, con la Sentenza 7990/21, ha stabilito che per gli alunni autistici è fatto obbligo all’Amministrazione Scolastica di assegnare un insegnante di sostegno specializzato, in possesso di competenze tecniche e professionali specifiche sulla metodologia educativa ABA.
Analogamente, molti Enti Locali, responsabili dell’assegnazione degli assistenti specialistici per l’autonomia e la comunicazione, redigono dei bandi in cui non viene richiesta la specializzazione in ABA, cosa che puntualmente si è verificata anche in questa vicenda di Milano, tanto che dei Giudici si sono dovuti già pronunciare condannandoli. In particolare, ritengo di riferimento i seguenti procedimenti:
° Il TAR della Calabria, con la Sentenza 438/12, ha argomentato che l’assistente deve essere formato a rispondere agli specifici bisogni assistenziali dell’alunno e non può essere un qualunque assistente generico.
° Il TAR della Campania, con la Sentenza 1452/19, ha ribadito l’obbligo di un Comune di provvedere alla nomina di un’assistente adeguatamente formato sul metodo ABA. Tra le motivazioni si dice espressamente che «la posizione di assistente deve essere ricoperta da personale qualificato, perché altrimenti ivi sarebbe un diretto vulnus ai valori costituzionali, poiché le prestazioni da rendere a favore degli alunni disabili sarebbero meramente apparenti (ad es., per un alunno privo dell’udito occorre un assistente che comprenda il linguaggio dei segni, mentre occorrono altre competenze nel caso in cui vi siano altre disabilità». Questa sentenza è più che giustificata, quando i genitori dell’allievo sono entrambi “segnanti” con la LIS (Lingua dei Segni Italiana) e scelgono questa modalità per comunicare con il loro figlio.
Per la formazione degli assistenti specialistici per l’autonomia e la comunicazione e dei supervisori idonei ad applicare gli interventi raccomandati dalla Linea guida n. 21 sull’autismo, tra l’altro, si suggerisce di seguire le stesse modalità adottate del recentissimo Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) del 10 gennaio di quest’anno sulla formazione di esperti in LIS e LIST (Lingua dei Segni Tattile).
Con analoghe modalità si potrebbero incentivare le Università ad assumere docenti esperti per creare non soltanto dei Master annuali, ma anche corsi di laurea triennali e magistrali su queste strategie psicopedagogiche speciali fondate sull’ABA, tramite con i fondi di oltre 7 milioni e mezzo di euro stanziati per la formazione sull’autismo, ciò che dovrebbe coinvolgere tutti gli operatori che si prendono cura delle persona con autismo e dei loro familiari, come avviene dal 2003 nelle Marche.
Per il bambino di Milano potrebbe esserci una svolta sull’intera vicenda: coinvolto infatti dalla famiglia, il Ministero dell’Istruzione ha preannunciato l’invio di un ispettore che dovrà valutare l’insieme delle segnalazioni fatte e in particolare l’inadeguatezza delle figure di supporto (insegnante di sostegno e assistente specialistico per l’autonomia e la comunicazione), ciò che oltre a porsi in contrasto con la specifica normativa sull’inclusione scolastica, costituisce altresì una condotta discriminatoria giuridicamente rilevante, ai sensi della Legge 67/06 [“Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”, N.d.R.].
Mi auguro che questa azione, che purtroppo arriva ad anno scolastico già concluso, possa correggere la deriva del “sistema” ed evitare che la famiglia sia costretta a rivolgersi ad un Giudice, dopo averlo già fatto con successo per ottenere il rimborso degli interventi che il Servizio Sanitario Nazikonale non è in grado di erogare.
Presidente dell’APRI (Associazione Cimadori per la ricerca italiana sulla sindrome di Down, l’autismo e il danno cerebrale).