Negli ultimi anni, complici le tecnologie informatiche, non è più così difficile trovare testimonianze o biografie di donne con disabilità. Si tratta di esperienze anche molto diverse che narrano vissuti differenti e non sovrapponibili, ma accomunate dal proporre, in modo più o meno consapevole, uno sguardo che intreccia genere e disabilità.
Il recente saggio autobiografico di Rebekah Taussig, Felicemente seduta. Il punto di vista di un corpo disabile e resiliente (Le Plurali Editrice, 2022) si colloca in questo solco. Nata e residente a Kansas City, negli Stati Uniti, Taussig è una scrittrice e docente con un dottorato di ricerca in Saggistica Creativa e studi sulla disabilità, ed è molto attiva sui social con una propria pagina Facebook e un profilo Instagram (@sitting_pretty).
Di Felicemente seduta si è già ottimamente occupata su queste stesse pagine Stefania Delendati, con il contributo intitolato Chiunque creda di essere “nella norma” dovrebbe leggere “Felicemente seduta” (a questo link). Perché allora tornarci sopra? Perché l’opera di Taussig non è solo un saggio autobiografico, è anche un testo che racconta l’abilismo – la discriminazione basata sulla disabilità – utilizzando come lente di ingrandimento il corpo disabile femminile. Una prospettiva, questa, abbastanza inusuale, almeno qui in Italia, e decisamente interessante.
Il vissuto di Taussig è fortemente influenzato dalla società americana, che sotto diversi profili differisce parecchio dalla nostra, ad esempio laddove prevede che l’accesso ai servizi sanitari sia vincolato al possesso di un’assicurazione, e tuttavia alcuni meccanismi dell’abilismo si rivelano universali.
Penso si possa considerare universale l’interferenza con l’autopercezione della donna con disabilità, un tema che ricorre nel testo con una certa frequenza. Questo, ad esempio, è un passaggio contenuto nel capitolo dedicato all’accessibilità: «L’accesso è qualcosa di più del momento in cui il singolo corpo disabile si imbatte in un solo oggetto che soddisfi le sue esigenze. L’acceso è un modo di vivere, una relazione tra te e il mondo intorno; è una postura, una convinzione che riguarda il tuo ruolo nella comunità, il valore della tua presenza. C’è una differenza fondamentale tra l’esperienza di una persona che si sveglia dando per scontato che, ovviamente, avrà accesso [agli ambienti, ai luoghi e ai servizi, N.d.R.], e una che si sveglia e si chiede se avrà accesso, come troverà l’accesso o come lotterà per ottenerlo, che cosa farà se non lo ottiene. Come posso rendere il concetto in modo concreto? Anche se so nella mia testa che ho tutto il diritto di essere qui, allo stesso tempo sono stata plasmata, sin dall’inizio, da una vita di inaccessibilità e, per questa ragione, ci sono ancora tantissime cose che non so di me stessa» (pagine 243-244, grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni).
Quante cose non sanno ancora di sé le donne – tutte le donne – per il modo in cui sono state plasmate dal patriarcato e dall’abilismo? Quanto l’abilismo influisce anche sul vissuto delle donne “non disabili” occultandone la vulnerabilità e impedendo loro di riconoscere le istanze delle donne con disabilità come proprie? Ecco, leggere l’opera di Taussig induce a porsi domande come queste.
L’abilismo, ovviamente, non riguarda solo le donne, anche se le donne sono più penalizzate in quanto discriminate anche per il loro genere. Scrive infatti l’Autrice: «Un mondo che si basa su velocità, produttività (più, più, sempre di più!), che ha troppi pochi bagni (e poche pause per andare in bagno) non considera e non si preoccupa dei corpi reali in cui viviamo. In altre parole l’abilismo ha conseguenze su tutti noi, sia che ci consideriamo disabili o no. Poiché il corpo disabile è colpito in modo più forte dall’abilismo, è il primo a fare luce sulla struttura, a opporsi e protestare, a chiedere la sua esecuzione pubblica, ma viviamo tutti sotto i suoi ordini. L’abilismo ci colpisce tutti» (pagina 25).
Un altro aspetto che l’opera mette bene in luce è quanto la discriminazione subita dalle persone con disabilità vada a configurare privilegi – vantaggi ingiustificati – per il gruppo dominante. Avere un mondo costruito a propria misura finisce per conferire a chi rientra nel parametro arbitrariamente assunto come riferimento un vantaggio sistematico e strutturale rispetto a chi non vi rientra (il gruppo oppresso).
Il tema non è nuovo ed è stato studiato in relazione a molte forme di disuguaglianza (ad esempio tra uomini e donne, tra bianchi e neri, tra persone eterosessuali e persone con altri orientamenti sessuali, tra persone con e senza disabilità). Qui in Italia un’esemplificazione concreta si può trovare in un breve video sulla discriminazione di genere (3.36 minuti) pubblicato da Fanpage nel 2019. Nel filmato, che si chiama La sfida tra donne e uomini [Esperimento sulla disuguaglianza], sei uomini e sei donne partecipano ad una gara di corsa posizionandosi ai blocchi di partenza. Tuttavia, prima dell’inizio della competizione, i/le partecipanti vengono avvisati dall’arbitro che dovranno riposizionarsi facendo un passo avanti o uno indietro sulla base di alcune domande inerenti alle discriminazioni che subiscono ogni giorno in tutti gli aspetti della loro vita.
Il video mostra in modo impietoso come gli uomini si trovino ad intraprendere la corsa con metri di vantaggio accumulati grazie all’arretramento delle donne. Vantaggio di cui solitamente non hanno consapevolezza e che non è legato ai loro meriti.
Anche l’abilismo funziona allo stesso modo, attribuendo già “ai blocchi di partenza” vantaggi immotivati a “chi non ha una disabilità”, e svantaggi, altrettanto immotivati, a chi ha una disabilità. Descrivere questi meccanismi e renderli noti – come fa Taussig nella sua opera – è il prerequisito necessario perché tutte e tutti ci disponiamo a costruire un mondo e un futuro più giusti e inclusivi. «Questo futuro non apparirà dal nulla; dobbiamo crearlo, un po’ alla volta, allenandoci ad ascoltare, a prenderci cura e rispettare tutti i nostri corpi. Vi prego. Creiamo questo mondo l’uno per l’altro» (pagina 256), conclude Taussig. Come non condividere?