All’indomani di una deludente audizione delle organizzazioni sindacali in merito alla Proposta di Legge 2887 (Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, e al decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66, concernenti l’introduzione del profilo professionale dell’assistente per l’autonomia e la comunicazione nei ruoli del personale scolastico), che propone la statalizzazione dei servizi di assistenza specialistica all’autonomia e comunicazione, duole constatare come la modalità che si sta diffondendo ubiquamente sia quella dell’accreditamento.
Lascio a giuristi e specialisti amministrativi la definizione di “accreditamento”. Dirò qui semplicemente che l’accreditamento equipara, de facto, i servizi offerti da aziende private nell’àmbito sanitario e socio-assistenziale a quelli pubblici in tutto e per tutto e alle medesime condizioni contrattuali, di sicurezza e di formazione che nelle strutture pubbliche (e già così non servirebbero troppi commenti).
A questo punto mi pongo qualche interrogativo.
La Legge 328/00, ancora “lettera morta” per quanto riguarda i progetti individuali, parla di servizi socio-sanitari e socio-assistenziali come i Centri Diurni riabilitativi e/o socializzanti. E dunque il diritto all’istruzione degli alunni con disabilità rientra nei servizi su elencati oppure non è, piuttosto, un diritto costituzionalmente garantito afferente alla scuola pubblica? È davvero applicabile il principio di sussidiarietà al servizio di assistenza all’autonomia e comunicazione? O a quello che ne resta?
La Legge 328/00, del resto, non fa alcuna menzione delle figure che si occupano di inclusione scolastica per conto degli Enti Territoriali, ma purtroppo, neanche le esclude, cosicché, in questa vacatio legis diventata “terra di nessuno”, è stato possibile che anche il Comune di Roma, che impiega oltre tremila operatori, passasse al sistema dell’accreditamento per i servizi di integrazione scolastica. Il tutto nonostante tre-giornate-tre di sciopero degli operatori, passate sotto silenzio da parte di qualunque media, nonostante le promesse a vuoto del Comune di Roma di interloquire con i lavoratori esasperati.
Un esempio di Comune che già utilizza questo sistema (ma sono sempre di più in tutto il territorio nazionale) è quello di Varese, dove l’operatore viene scelto dalla famiglia che gli eroga un voucher mensile, tipo quello che si usa per i lavoratori stagionali addetti all’agricoltura. Per chi, come me, pensava che il sistema dei bandi al massimo ribasso fosse il peggiore possibile per questi lavoratori, ecco che l’accreditamento rappresenta, a parere di chi scrive, il punto più basso mai raggiunto.
Credo sia così innanzitutto da un punto di vista pedagogico. Si può parlare infatti all’infinito di alleanza educativa e reciprocità, di valorizzazione delle diverse competenze e punti di vista, ma se si introduce il pericoloso principio della scelta all’interno della scuola pubblica (nel caso di Roma dell’organismo, ossia della Cooperativa, ma, di fatto, scegliendo gli operatori, ora che non ci saranno condizioni ostative), si introducono, di fatto, due principi: che gli assistenti sono personale diverso, distinto e separato dal resto dell’équipe con cui lavora e collabora ogni giorno nella scuola, trattati, pagati e selezionati diversamente; che inoltre fantasie agìte di controllo possono dilagare senza argine, perché i criteri di scelta sono completamente soggettivi e basati sulla disperata necessità di controllare ciò che accade a scuola ai propri figli, da parte dei genitori, caricati così di un peso ulteriore e francamente eccessivo.
Un collega mi raccontò, anni fa, di lavorare con un adolescente problematico che fece al suo operatore una richiesta incongrua (andare a fare ripetizioni a casa), cosicché, a cortese rifiuto, si innescò una vera e propria guerra con i genitori (di cui l’operatore era completamente all’oscuro dato che la scuola proibiva alcun contatto diretto), che portò all’allontanamento dell’operatore stesso. E potrei raccontare decine di casi simili.
Perché, molto semplicemente, ogni operatore è un professionista dell’educazione che ha una visione pedagogica la quale non può sempre, per forza di cose, coincidere con le “richieste” dei genitori. Quello che deve coincidere e concordare, nell’intero ecosistema relazionale dell’inclusione, sono gli obiettivi. E l’unico obiettivo è e resta la tutela dello studente e il favorire percorsi di crescita e autodeterminazione. Ma ciascuno, nell’“ecologia dell’inclusione”, per parafrasare Andrea Canevaro, ha diritto al posto che gli spetta, né più né meno. Ossia, ognuno deve essere libero di agire in scienza e coscienza sulla base del proprio ruolo e delle proprie competenze, in totale interdipendenza, e non subordinazione.
Come prevedibile, d’altronde, la pubblicazione del Registro Unico delle Cooperative Accreditate ha provocato un vero terremoto organizzativo. Solo per fare alcuni esempi:
° Cooperative riapparse dal nulla, che non si sa neanche se abbiano del personale oppure dei coordinatori o le capacità economiche richieste (d’altronde, non sapendo se saranno scelte, potrebbero non avere neanche personale sufficiente).
° Cooperative che dovrebbero avere tutti i requisiti richiesti, come la capacità di fare formazione e supervisione (nel Libro Bianco del 2019, i colleghi che dichiararono di fare formazione erano meno di un terzo, così come quelli che dichiaravano di fare supervisione), che non è dato sapere chi e come dovrebbe controllare.
° Colleghi i quali hanno scoperto che la propria Cooperativa non si è accreditata nella scuola dove operano, e che non sanno che fine faranno, in quale Cooperativa dovranno “migrare” e se davvero verrà applicata la clausola di salvaguardia sociale.
° Colleghi i quali si ritroveranno in Cooperative da cui si erano licenziati anni prima per ragioni di incompatibilità o peggio e che saranno costretti a tornarvi.
° Colleghi che, gioco-forza, dovranno fare “pubblicità” alle proprie Cooperative perché i genitori le scelgano, dato che, ovviamente, i genitori non hanno alcuna idea di coloro con cui hanno a che fare.
° Scuole che stanno cercando di fare in modo che le famiglie “scelgano bene”, cercando magari di tenersi “gli operatori buoni” e dare via quelli fallati.
Personalmente, ho sempre impostato i rapporti con i genitori dei miei alunni a franchezza e onestà. Ho spesso specificato che la mia visione pedagogica e i miei metodi sono tesi a “diventare superflua”; ossia lavorare sull’autonomia come tramite perché il mio aiuto divenisse, prima possibile, superfluo. «Fare da soli», come diceva Maria Montessori.
La professionalità di un assistente si gioca molto sulla capacità di contenere l’ansia per le cadute e gli errori e sull’idea che l’inclusione è tale se, entrando in una classe, non sia possibile stabilire “chi sia chi” e “chi faccia cosa”. Ovviamente una visione del genere potrebbe non essere in linea con le “richieste” di qualche genitore o di chi è ancora convinto che è giusto che l’assistente ancora sia un operatore ad personam. Perché l’alleanza educativa si costruisce giorno per giorno, sulla base di rapporti necessariamente paritari e reciproci.
Di tutta questa vicenda, però, ciò che mi amareggia di più è la totale mancanza di fiducia, l’idea malata che il controllo costituisca base e garanzia di qualità, l’idea che la scuola pubblica, malata di tanti mali, debba essere misurata come in un trattato di frenologia per valutarne la qualità.
E infine, constato tristemente come la situazione degli assistenti all’autonomia e comunicazione viaggi verso il baratro della totale privatizzazione e isolamento dalla scuola, che è e resta il luogo di lavoro dei 70.000 assistenti all’autonomia e comunicazione. Mentre conto a decine, a centinaia, i colleghi che scappano via esasperati. Con il rischio che, davvero, a settembre l’accreditamento sarà solo una scatola vuota.