Il punto interrogativo del titolo sta a significare, nelle intenzioni di chi scrive, la sfiducia sul raggiungimento, in tempi non biblici, di un’equa legislazione sul cosiddetto “fine vita”, ovvero sul diritto a gestire le proprie sofferenze terminali, senza mettere a rischio l’esistenza delle persone meno tutelate ovvero chi non è in grado di autorappresentarsi.
L’infuriare delle campagna elettorale, tradizionalmente basata su promesse impossibili e su temi propagandistici di scarso interesse pratico, insieme alle successive trattative per la formazione di un nuovo Governo, allontaneranno la discussione parlamentare sul fine vita ragionevolmente di un anno, anno che però andrebbe utilizzato per raggiungere un decente compromesso sul tema.
Che una norma in materia sia necessaria lo testimonia la cronaca (i “viaggi in Svizzera”), anche per evitare che si allarghi il solco tra la legge (articolo 580 del Codice Penale: Istigazione o aiuto al suicidio) e il comune sentire dei cittadini che dalla legge stessa devono essere tutelati e non oppressi.
Secondo i sondaggi di opinione, la maggioranza degli italiani sarebbe favorevole a una normativa in materia che permettesse alle persone che soffrono particolarmente e senza speranza di accorciare i tempi della loro sofferenza, di disporre con dignità dell’ultima fase della loro vita, senza doversi scontrare con una serie interminabile di adempimenti burocratici.
Quanto sopra, tuttavia, richiede una particolare attenzione verso le persone con disabilità che devono essere tutelate nel loro diritto alla vita, diritto storicamente spesso insidiato dalle Istituzioni stesse (si pensi ad esempio al recente caso di Archie in Inghilterra), con considerazioni di carattere finanziario e legislativo (la Corte Europea ha sancito che la legislazione in materia di fine vita sia di competenza dei singoli Stati).
Oggi come ieri la nostra Federazione [Federazione Italiana ABC-Associazione Bambini Cerebrolesi, N.d.R.] crede fermamente che compito dello Stato sia tutelare adeguatamente il diritto alla vita delle persone con disabilità e che quando queste non sono in grado di autorappresentarsi, spetti alle loro famiglie ogni decisione in materia di fine vita, fornendo innanzitutto gli strumenti necessari ad assicurare la miglior vita possibile fino al termine naturale di essa.