Che cosa proprio non quadra e soprattutto entra in conflitto con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, in una recente Sentenza prodotta dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, riguardante l’azione legale di un cittadino islandese con disabilità nei confronti del proprio Paese?
Lo spiega bene l’ÖBI, l’Alleanza Islandese sulla Disabilità, organizzazione onmbrello cui aderiscono ben quarantuno Associazioni impegnate per i diritti delle persone con disabilità nel Paese nordico. Ma vediamo innanzitutto il tema dell’azione legale e come si è pronunciata la Corte di Strasburgo.
Il caso riguardava l’impossibilità di accedere in carrozzina a due edifici che ospitano centri artistici e culturali pubblici. Ebbene, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto che ciò potesse ledere il diritto del ricorrente allo sviluppo personale, nonché a stabilire e sviluppare relazioni con le altre persone e il mondo esterno, questione rientrante nell’àmbito della “vita privata” all’interno del significato dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. E tuttavia, pur ritenendo che il ricorrente avesse chiaramente individuato due edifici particolari che sembravano svolgere un ruolo importante nella vita locale del proprio Comune, e pur ritenendo che il mancato accesso ad essi ne avesse ostacolato la partecipazione a una parte sostanziale delle attività culturali nella propria comunità, la Corte ha concluso che non vi sia stata alcuna discriminazione nel godimento del suo diritto alla vita privata, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e in contrasto, dunque, con l’articolo 14 di essa (Divieto di discriminazione), secondo il quale «il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione». La Corte di Strasburgo, infatti, ha ritenuto che l’obbligo di accogliere il ricorrente avrebbe imposto alle parti chiamati in causa «un onere sproporzionato o indebito».
«Il ragionamento della Corte Europea – sottolineano dall’Alleanza Islandese sulla Disabilità – è in aperto contrasto con la guida fornita nei propri Commenti Generali dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, rispetto all’interpretazione della Convenzione ONU, e risulta molto difficile da conciliare con la formulazione dell’articolo 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, se è vero che questa Sentenza si è pronunciata stabilendo che l’esclusione fisica di una persona con disabilità da qualsiasi partecipazione significativa a “una parte sostanziale del patrimonio culturale attività della propria comunità» non costituisce discriminazione ai sensi dell’articolo 14 della stessa Convenzione Europea”».
Attualmente, informano dall’organizzazione islandese, è pendente un’istanza di rinvio del caso alla Grande Camera della Corte Europea, composta da diciassette giudici, che esamina appunto i casi rimessi ad essa dopo la rinuncia alla giurisdizione da parte di una Camera della Corte o in seguito all’accettazione di una richiesta di rinvio. Se tale richiesta verrà dunque accolta, e questo verrà deciso nei prossimi giorni, la causa sarà riesaminata dalla Grande Camera, che emetterà una nuova Sentenza (a questo link è disponibile un approfondimento sul funzionamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo).
«Siamo preoccupati – concludono dall’ÖBI – per il ragionamento e le conclusioni raggiunte in questo caso dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e riteniamo sia della massima importanza un nuovo esame da parte della Grande Camera della Corte».
«Per milioni di europei – concludono con amarezza dall’organizzazione islandese -, la Corte di Strasburgo è stata un fedele difensore dei diritti umani. Purtroppo, non è sempre stato così per le persone con disabilità. Il mancato riconoscimento, infatti, in questo e in altri casi precedenti, della parità dei diritti delle persone con disabilità, richiama purtroppo gli stessi atti di emarginazione e discriminazione contro i quali la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo intende fornire tutela». (S.B.)
Per ogni ulteriore informazione o approfondimento: Þuríður Harpa Sigurðardóttir (ÖBI-Alleanza Islandese sulla Disabilità), thuridur@obi.is.