Le Linee Guida Nazionali per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza vennero approvate con il Decreto del Presidente del Consiglio del 24 novembre 2017 e poi pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 30 gennaio 2018.
Si tratta di un documento molto importante perché spesso gli accessi ai servizi sanitari sono la prima occasione per intercettare le ragazze e le donne vittime di violenza. A suo tempo avevamo analizzato il testo per verificare se e in che modo in esso fosse stata considerata la condizione delle donne con disabilità (se ne legga a questo link). Dall’esame risultò che gli aspetti della disabilità erano stati effettivamente considerati in più punti, ma emerse anche la mancanza di una visione d’insieme riguardo all’approccio da utilizzare per accogliere queste donne.
Torniamo ad occuparcene perché nel settembre scorso la Commissione Parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, istituita presso il Senato, ha pubblicato proprio nel sito di Palazzo Madama una relazione sullo stato della loro attuazione.
Il testo in questione è denominato Relazione su donne, violenza e salute e ha come relatrice la senatrice Maria Rizzotti. Sul documento appare ancora la dicitura di “bozza provvisoria”, e tuttavia la pubblicazione nel sito istituzionale conferisce allo stesso un carattere di ufficialità.
Anche in questo caso, come già fatto a suo tempo per le Linee Guida, cerchiamo di analizzare il documento per capire quale sia stata l’attenzione al tema della disabilità.
I primi elementi da porre in rilevo – sebbene contenuti in due note a piè di pagina – sono il fatto che alla stesura della relazione ha partecipato, in veste di collaboratrice della Commissione, Vittoria Doretti, coordinatrice, assieme a Silvia Cutrera, del Tavolo 9 (in tema di donne con disabilità) dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità e che la stessa Cutrera è stata audita in rappresentanza della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), come pure Linda Legname, in rappresentanza della FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità). È stata audita inoltre anche Erika Stefani, all’epoca dell’audizione ministra per le Disabilità del Governo presieduto da Mario Draghi. Una modalità operativa, questa, che lascia intravedere la disponibilità della Commissione ad utilizzare le competenze dei soggetti coinvolti.
La seconda osservazione, invece, non è positiva: infatti non è presente un riferimento alle donne con disabilità nella parte introduttiva della terza sezione, dedicata alla descrizione delle stesse Linee Guida, laddove si ricorda che «le Linee Guida prevedono inoltre che nella zona del triage deve essere presente materiale informativo (cartaceo e/o multimediale) visibile e comprensibile anche da donne straniere» (pagina 9), ma si omette di dire che tale materiale dovrebbe essere accessibile e comprensibile anche, appunto, per tutte le donne con disabilità.
Il primo riferimento esplicito alle donne con disabilità si trova nella parte dedicata al Trattamento diagnostico-terapeutico, dove sono riportati in maniera acritica alcuni passaggi delle Linee Guida circa l’atteggiamento da tenere nell’accogliere le donne: «L’operatrice/operatore che prende in carico la donna dovrà: utilizzare una corretta comunicazione con un linguaggio semplice, comprensibile e accessibile anche alle donne affette da disabilità sensoriale, cognitiva o relazionale», e anche «attivare per donne affette da disabilità, ove necessario, la presenza di figure di supporto» (pagine 10-11). L’acriticità è evidenziata dalla riproposizione dell’espressione «donne affette da disabilità» che lascia erroneamente intendere come la disabilità sia una malattia e non una condizione.
Un ulteriore riferimento è presente nella sezione in tema di Formazione professionale, nella quale è previsto che i moduli formativi forniscano un’adeguata conoscenza di base del fenomeno della violenza maschile contro le donne, anche in merito alla «tutela delle categorie vulnerabili: quali sono, specifici obblighi e possibili percorsi per donne disabili, in gravidanza, minori ecc.» (pagina 13).
Nella sezione dedicata a L’attuazione delle Linee Guida da parte delle Regioni è segnalato poi che nell’àmbito dei servizi di emergenza urgenza per l’accesso e il percorso socio-sanitario delle donne vittime di violenza di genere (Percorso Donna), posti in essere dalla Regione Toscana, «vi è anche un percorso per le vittime dei crimini di odio con una particolare specificità e attenzione per donne sottoposte a discriminazioni multiple» (pagina 15). Si tratta un riferimento implicito, essendo appunto le donne con disabilità esposte a discriminazioni multiple.
E ancora, un riferimento è presente anche nella sezione Il raccordo tra le strutture ospedaliere e il territorio: le reti interistituzionali, quando, in merito al coinvolgimento dei medici di medicina generale, si sottolinea che essi «possono svolgere un ruolo fondamentale non solo nel trattamento delle più evidenti conseguenze degli atti di violenza, ma anche nel riuscire a intercettare i segnali di allarme che possono far sospettare una violenza e identificare situazioni di rischio particolari riguardanti i soggetti più deboli, come le donne disabili e le donne anziane» (pagina 28).
Ma il riferimento più consistente e apprezzabile è contenuto nella sezione denominata Le discriminazioni multiple e la violenza di genere, che è interamente dedicata alle vittime di violenza con disabilità. In essa è citata la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/09), sottolineando come nella stessa sia specificato che le donne, le ragazze e le bambine con disabilità «corrono spesso maggiori rischi nell’ambiente domestico ed all’esterno, di violenze, lesioni e abusi, di abbandono o mancanza di cure, maltrattamento e sfruttamento» (pagina 29), e siano esposte a discriminazione multiple (dovute all’intersezione delle variabili dei genere e disabilità) che le rendono più svantaggiate sia rispetto alle altre donne, che rispetto agli uomini con disabilità. Viene ricordato inoltre come una delle finalità del Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023 del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio sia «la tutela delle donne migranti e vittime di discriminazioni multiple» (pagina 29).
Viene inoltre richiamata l’attenzione sul fatto che i dati sul fenomeno della violenza non siano disaggregati oltre che per genere, anche per la disabilità della vittima, ciò che impedisce di implementare e programmare interventi ad hoc per le vittime di violenza con disabilità.
Successivamente vengono riportati i richiami rivolti all’Italia nel 2016 dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, quando, nelle Osservazioni Conclusive al Primo Rapporto sull’applicazione della Convenzione ONU nel nostro Paese, il Comitato stesso espresse preoccupazione per la mancanza di una sistematica integrazione delle donne e delle ragazze con disabilità nelle iniziative per la parità di genere, così come in quelle riguardanti la condizione di disabilità, e chiese che la prospettiva del genere venisse integrata nelle politiche per la disabilità, nonché che la condizione della disabilità fosse integrata nelle politiche di genere, entrambe con il coinvolgimento delle donne e delle ragazze con disabilità e delle loro organizzazioni rappresentative.
Una citazione riguarda i pochi dati probabilistici disponibili (quelli dell’ISTAT relativi al 2014), che evidenziano come le donne con disabilità siano esposte a tutte le forme di violenza di genere più delle altre donne, e quelli non probabilistici raccolti dalla FISH nel 2020 con la seconda edizione dell’indagine VERA (Violence Emergence, Recognition and Awareness, in italiano Emersione, riconoscimento e consapevolezza della violenza), specificamente rivolta a donne con disabilità che hanno subìto violenza e che ha rilevato un sommerso alquanto drammatico.
Viene quindi segnalato come i Centri Antiviolenza con sedi accessibili sia fisicamente che nell’approccio alle diverse disabilità (motorie, sensoriali e intellettive) siano pochissimi, ed è esplicitata la necessità che le operatrici siano specificamente formate ad accogliere le donne con disabilità. Vengono poi sottolineati i fattori che rendono a queste donne più problematico denunciare gli abusi e le violenze da esse subite, nonché le difficoltà di accesso alla giustizia; si propongono pertanto degli interventi volti a sanare tali criticità (anche riguardo al riconoscimento della capacità di testimoniare e all’obbligo di garantire la partecipazione in giudizio di queste vittime), riportando anche i richiami del GREVIO, responsabile del monitoraggio dell’attuazione della Convenzione di Istanbul, che nel suo Rapporto di valutazione delle misure messe in atto dall’Italia per attuare la Convenzione in questione, pubblicato nel 2020, ha richiesto e dettagliato politiche e azioni concrete a livello nazionale per proteggere le donne con disabilità da ogni forma di violenza e di discriminazione multipla.
E ancora, si mette in evidenza come nella Legge 53/22 (Disposizioni in materia di statistiche in tema di violenza di genere), ove si dispone che l’ISTAT e il SISTAN (Sistema Statistico Nazionale) realizzino con cadenza triennale indagini sulla violenza contro le donne mediante raccolta di dati disaggregati, in considerazione dei fattori indicati dalla legge stessa, «il testo potrebbe essere utilmente integrato prevedendo che i dati raccolti siano disaggregati anche in considerazione della disabilità delle vittime, e che nella rilevazione relativa ai Centri Antiviolenza e alle case rifugio sia rilevata l’accessibilità degli stessi» (pagine 33-34).
Infine si segnala il fatto che nelle Linee Guida sanitarie per il soccorso alle donne vittime di violenza non è «previsto alcun codice di diagnosi relativo alle persone con disabilità» (pagina 34).
L’ultimo riferimento alla disabilità presente nel documento è posto in forma implicita, e si trova nella sezione relativa alla Prevenzione della violenza sulle operatrici e operatori: i corsi di formazione ECM, dove in merito alle attività di formazione rivolte al personale sanitario, si specifica che «la finalità generale è quella di favorire l’applicazione sistematica di corretti protocolli tecnico-scientifici e comunicativo-relazionali, anche con percorsi dedicati alla emergenza Covid-19 ed ai suoi effetti, affinché a ciascuna vittima venga fornita la medesima opportunità di essere accompagnata in percorsi di fuoriuscita dal circuito della violenza, anche nei casi di discriminazioni multiple» (pagine 41-42).
In conclusione si può dire che la sezione denominata Le discriminazioni multiple e la violenza di genere sia ben articolata, utilizzi un linguaggio appropriato, metta in evidenza le criticità più significative con cui si scontrano le donne e le ragazze con disabilità vittime di violenza, e proponga interventi volti a sanarle. A questo punto è verosimile ritenere che l’avere coinvolto le coordinatrici del Tavolo 9 dell’Osservatorio Nazionale e alcune esponenti dell’associazionismo di settore abbia fatto la differenza nel descrivere in modo appropriato le attuali conoscenze sul tema della violenza contro le donne con disabilità e nel proporre misure di contrasto alle discriminazioni multiple a cui sono soggette.
Certo, il quadro complessivo continua ad essere desolante, ma almeno in questo caso gli aspetti più rilevanti del fenomeno sono stati evidenziati. Se consideriamo che nella Relazione sulla Vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale, approvata dalla stessa Commissione Parlamentare di inchiesta sul femminicidio lo scorso aprile, le donne con disabilità sono state completamente ignorate (se ne legga ad esempio a questo link), la distanza – sia in termini procedurali che di contenuti politici – è abissale. Eppure la ricetta per porre fine alla discriminazione attuata dalle Istituzioni è molto semplice ed è sempre la stessa: coinvolgere le stesse donne con disabilità – e più in generale le persone con disabilità – nella definizione delle politiche che le riguardano. Sotto questo profilo, la Relazione presa in esame in questo scritto può essere considerata come un primo passo nella progressiva definizione di percorsi di contrasto alla violenza subita dalle donne e dalle ragazze con disabilità sempre più incisivi.
Per approfondire ulteriormente i temi trattati nel presente contributo, oltre a considerare l’elenco di contributi da noi pubblicati, disponibile nella colonnina a fianco dell’articolo Voci di donne ancora sovrastate, se non zittite, si può accedere al sito di Informare un’h, alla Sezione dedicata al tema La violenza nei confronti delle donne con disabilità e a quella dedicata al tema Donne con disabilità.