Ci sono studi di trasduzione acustica, di rigenerazione chimica, di aiuto alla mobilità per le persone cieche, trasmissione di segnali nervosi ed esoscheletri per le persone on paraplegia, terapia genica per le persone sordi, protesi robotiche per le persone amputate, riconoscimento dei movimenti oculari per persone in locked-in…
Pensate che i ricercatori si esaltano davanti a questi studi, così come i genitori di figli con disabilità davanti (si auspica al più presto) alla “presa in carico” da parte della Politica sul tema della Salute, ma anche sull’impegno a sensibilizzare rispetto alla cultura della solidarietà e dell’inclusione sociale.
Sono oltre 10 milioni, nel nostro Paese, le persone che direttamente o indirettamente vivono il dramma della disabilità, che non faranno mai rumore, che non alzeranno mai la voce. Sono quelle che soffrono di più, gli esclusi, i sofferenti, i bambini e le bambine con una Malattia Rara, le persone non autosufficienti. Persone che non alzeranno mai la voce perché manca loro la forza. Sono ancora gli “invisibili”, un popolo di umanità che rischia di sprofondare nell’abisso, l’abisso della solitudine e della marginalità da cui non li tirerà fuori né un bonus né un trasferimento monetario.
Il 3 dicembre, la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, che le Nazioni Unite hanno dedicato quest’anno al tema Transformative solutions for inclusive development: the role of innovation in fuelling an accessible and equitable world (“Soluzioni trasformative per uno sviluppo inclusivo: il ruolo dell’innovazione nell’alimentare un mondo accessibile ed equo”), si avvicina: né in tale occasione, dunque, né in qualunque altro momento bisogna dimenticare che la persona fragile, molto spesso un bambino o una bambina, non va ridotta a utente di servizi. È una persona con diritti da garantire.