È calato il sipario sui Mondiali di Calcio in Qatar. L’immagine di grandezza, ricchezza e giustizia, costata immensi forzi e investimenti stratosferici, si è ben presto sgretolata a seguito delle inquietanti vicende trapelate.
La realtà vera si è rivelata fatta di sfruttamento e negazione dei diritti più elementari. È emersa tra l’altro la condizione delle persone con disabilità che rispecchia questo gioco di mistificazione generale.
Un moto di indignazione, infatti, mi ha scosso alla notizia che era stata allestita una spettacolare “gabbia d’oro” con vista su alcuni stadi, struttura c he raccoglieva persone con autismo, con disabilità cognitive e con altre tipologie beneficiarie di un progetto “speciale”. Il tutto raccontato ai media come un innovativo esperimento di integrazione e, quel che è peggio, in questi termini raccontato al mondo dei media stessi. Poche le voci critiche, ma come è possibile?
Si tratta di un salto nel passato remoto, quando la risposta alla disabilità era la segregazione, la segregazione di ognuno dal suo contesto di vita.
Non solo, il progetto denota il misconoscimento dei reali bisogni e prospettive della persona. Ma è proprio vero, ad esempio, che per una persona con autismo vedere una partita di calcio possa avere qualche significato?
Non c’è altro da dire: un atto di omologazione forzata e di cancellazione delle autentiche realtà di ognuno.
Il Qatar ha ratificato la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità il 13 maggio 2008. Non ha invece mai ratificato il Protocollo Opzionale alla Convenzione stesso, che consente al Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, l’organismo preposto a monitorare l’attuazione della Convenzione nei vari Stati, di ricevere ed esaminare comunicazioni presentate da individui o gruppi di individui che dichiarino di essere vittime di violazioni delle disposizioni della Convenzione da parte del proprio Stato.