Storia di un movimento (di Giampiero Griffo*)
Sulla spinta dei movimenti per i diritti civili americani, alcuni studenti universitari con gravi disabilità – in condizioni di dipendenza ed esclusione sociale – diedero vita ad un gruppo il cui slogan era La disabilità è un problema di diritti piuttosto che di carità ed assistenza. Essi sostenevano da una parte che i veri esperti sulla disabilità fossero le stesse persone disabili e che costoro avessero il diritto di autodeterminarsi, dall’altra che i servizi di assistenza personale dovessero definirsi secondo criteri scelti dai beneficiari e che, in quanto cittadini, le persone con disabilità fossero titolari degli stessi diritti e delle stesse opportunità di tutti gli altri ed avessero in capo le stesse responsabilità.
Parte da qui il concetto di Vita Indipendente e dall’apertura del primo Centro per la Vita Indipendente (CIL) a Berkeley, California (1972). Oggi ci sono più di 500 CIL negli Stati Uniti e centinaia in tutto il mondo.
In Europa, nel 1989, Disabled Peoples’ International decise a Strasburgo, insieme ad altre organizzazioni, di costituire un’associazione europea ad hoc, il Network Europeo per la Vita Indipendente ENIL, esperienza che ha affinato l’impostazione americana, centrata su un approccio prevalentemente individualistico. I CIL, che all’inizio si sono sviluppati in Finlandia, Germania, Irlanda e Regno Unito, per poi espandersi in molti altri Paesi, anche del Centro ed Est Europa, hanno contribuito a riformulare la nozione di disabilità, superando il modello sociale che discrimina le persone con disabilità e sul concetto di empowerment (letteralmente “rafforzamento”, applicato qui alle capacità e abilità della persona).
Nel Manifesto di Tenerife del 2003, la filosofia di Vita Indipendente, coniugata con quella del rispetto dei diritti umani, si è allargata alle politiche nazionali ed europee: essa deve applicarsi alle politiche generali (non riabilitare solo in senso sanitario, ma abilitare in senso sociale, sviluppando politiche di mainstreaming – di attivazione di tutte le competenze legate alla cittadinanza), agli interventi riabilitativi (non più guarire da una minorazione, ma sviluppare le capacità di ognuno), ai trasporti e ai servizi (garantire l’accesso in autonomia a tutti i servizi), agli interventi sociali (non istituzionalizzazione, ma piena cittadinanza), all’uso delle risorse (maggiori sostegni agli assistenti personali ed agli ausili).
La riflessione italiana di DPI-Italia ha definito quattro obiettivi fondamentali da conseguire: l’autonomia, nel senso di liberarsi dalle dipendenze affettive e psicologiche, per sviluppare la capacità di costruire relazioni sociali e interpersonali ricche; l’autodeterminazione, da intendersi come rafforzamento della capacità di autodeterminarsi, da parte della persona, cioè di volere e saper scegliere, oltre ad assumere progressivamente la responsabilità delle conseguenze che tali scelte comportano; l’indipendenza, per compiere in autonomia le attività quotidiane e relazionali, attraverso il potenziamento delle capacità, il sostegno degli enti pubblici e l’utilizzo di ausili appropriati; ed infine l’interindipendenza, ovvero una reale interazione con la società e le persone, in forma di reciproca dipendenza, interscambio e reciprocità, sia negli ambienti sociali che in quelli privati.
*Presidente di DPI (Disabled Peoples’ International) Europa.
La sfida italiana (di John Fischetti*)
La diffusione e la promozione del concetto di Vita Indipendente in Italia prendono avvio nel 1989, con la conferenza internazionale Personal Assistant: The Key for the Independent Living. L’anno successivo, alcune persone con disabilità, fra cui Gianni Pellis, partecipano alla riunione di ENIL (European Network on Independent Living) in Olanda, dove si definiscono i principi guida e le linee di sviluppo per i movimenti per la Vita Indipendente nei singoli Paesi europei. A seguito di tale incontro, Pellis, Raffaello Belli e Pippo Curreri si fanno promotori della nascita del movimento italiano, che in seguito verrà chiamato ENIL Italia. Successivamente, nel maggio del ’91, a Roma, circa ottanta persone con disabilità raccolgono l’invito: è l’inizio di un’organizzazione, ma soprattutto di una nuova sfida. E gli obiettivi di allora sono quelli di oggi: il sostegno e la rivendicazione del diritto fondamentale delle persone disabili all’autodeterminazione e all’assistenza personale autogestita.
Una sfida, dicevo, perché queste idee, apprezzate dalla maggioranza delle persone con disabilità che riuscivamo a raggiungere, furono avversate da politici, amministratori e assistenti sociali, perché non comprese e ritenute impraticabili o addirittura pericolose in un Paese a forte cultura “familiare”, o per meglio dire “familista”, e cioè in un’Italia “mammona e paternalistica”. Inoltre, una parte delle organizzazioni “storiche” di disabili, politicamente ideologizzate, erano contrarie a rapporti di lavoro “privatistico” tra gli assistenti e chi li doveva utilizzare e ritenevano che le uniche entità legittimate ad operare in questo settore, se non in tutti, fossero la cooperazione e il no-profit. Si parlava molto – ovviamente in senso negativo – di “monetizzazione” e c’era una forte resistenza anche per meri motivi economici: chi gestisce i sistemi dell’assistenza, legati alla Chiesa o alla cooperazione e al collettivismo, temeva (e teme) di perdere “utenti” e quindi profitti. Un tempo si diceva: “Tanti nemici, tanto onore”. Per noi non è così: era, ed ancora è, soprattutto fatica.
Da quei primi anni molta acqua è passata sotto i ponti. Con alcuni siamo riusciti a spiegarci bene, a fare accettare almeno il principio della libera scelta, per cui se una persona preferisce utilizzare i servizi pubblici deve poterlo fare, cioè dev’essere chiaro che la Vita Indipendente non è un obbligo, ma “solo” un diritto. Con altri siamo riusciti a dimostrare, anche basandoci sull’esperienza di altri Paesi, che le tecniche di autogestione permettono un forte aumento della qualità della vita, anche a parità di impegno economico, rendendo sempre più indifendibili le tesi conservatrici del “si è sempre fatto così, perché cambiare?” o del “certi limiti sono oggettivi, occorre prenderne atto e rassegnarsi”.
Nel maggio del ’98, questo gran lavorio ha portato ad un importante risultato: la Legge 162, nella quale – per la prima volta in una legge dello Stato italiano – si parlava di diritto alla Vita Indipendente per le persone con gravi disabilità. Anche nel nostro Paese, finalmente!
La grande innovazione di questa norma – all’articolo l, comma ter – è il riconoscimento alla persona con disabilità del diritto fondamentale e inalienabile all’autodeterminazione della propria esistenza e del diritto a controllare in prima persona il proprio quotidiano e il proprio futuro. Come per tutti i cittadini senza disabilità.
Quantunque non sia una legge specifica per la Vita Indipendente, né sia dedicata solo all’assistenza personale autogestita, la 162 è stata ed è l’unica norma a cui ci si può riferire per richiedere – vorremmo dire esigere – e sperare di ottenere un finanziamento per progetti personalizzati di gestione diretta degli assistenti personali.
Da allora molte attività e alcuni importanti risultati si sono susseguiti in diverse regioni italiane. Ogni esempio positivo contribuisce a migliorare le possibilità che anche altri ottengano il diritto a vivere in libertà la propria vita, annullando le tesi di chi continua a dire che l’Italia è un Paese “diverso” e che certe cose qui non possono funzionare.
*Segreteria Operativa di ENIL (European Network on Independent Living) Italia.
Viaggio in Italia
Calabria
Nel gennaio del 2002 il sogno di autonomia e indipendenza, per un gruppo di persone calabresi con grave disabilità, diventava realtà grazie al progetto Abitare in autonomia, un modello di intervento integrato per le buone pratiche da adottare per l’inclusione sociale delle persone disabili, realizzato dall’Associazione Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme e finanziato come progetto sperimentale attraverso la Legge 162/98.
Eccone gli elementi fondamentali: una “rete protagonista”, cioè un raggruppamento di attori in grado di autogestire insieme un servizio integrato; miniappartamenti, assistenti personali e servizi necessari; forme di autogestione e self-help per accrescere l’autodeterminazione delle persone disabili attraverso processi di empowerment; coinvolgimento delle istituzioni e del territorio, anche attraverso la costruzione di una rete solidale.
L’esperienza maturata dall’Associazione Comunità Progetto Sud e da DPI Italia (partner dell’iniziativa) ha messo in evidenza che per perseguire percorsi di vita autonoma, autodeterminata e interindipendente bisogna partire dalla tutela dei Diritti Umani delle persone con disabilità, approccio, questo, che mette al centro la persona e che è basato sul cosiddetto processo di empowerment: se la persona disabile sarà rafforzata nelle sue capacità e abilità, conseguirà più facilmente il rispetto dei propri diritti e un inserimento sociale.
I percorsi di empowerment individuati e utilizzati con successo in Abitare in autonomia sono i gruppi di auto aiuto, la consulenza alla pari, l’advocacy (ovvero la tutela dei diritti delle fasce deboli di popolazione), il peer support (letteralmente “supporto alla pari”), la riabilitazione finalizzata all’individuazione degli ausili e delle soluzioni mirate al conseguimento dell’autonomia.
Il progetto sperimentale, durato un anno, si è concluso con successo e la validità di tale esperienza è stata riconosciuta a livello internazionale. Nonostante ciò, si è rischiato che tutto si perdesse a causa della mancanza di fondi, ma la mobilitazione del movimento delle persone con disabilità e anche di quelle coinvolte direttamente nell’esperienza, oltre che dell’Associazione Comunità Progetto Sud, di DPI Italia e delle altre organizzazioni coinvolte, ha fatto sì che la Regione Calabria si impegnasse a dar seguito al progetto con propri fondi per altri due anni.
Rita Barbuto, presidente DPI (Disabled Peoples’ International) Italia
Friuli Venezia Giulia
In Friuli Venezia Giulia, grazie alla tenace pressione “politica” di IDEA ONLUS e di altre associazioni di persone con disabilità, la Regione ha recepito la filosofia della Vita Indipendente fin dal 1999, con la Delibera di Giunta n. 655, che applicava per la prima volta la Legge 162 sul nostro territorio. Nello stesso anno, lo Stato erogò alla Regione circa 318.000 euro per la progettazione personalizzata, cifra raddoppiata già nel 2000. Il limite di quella delibera era però la sua genericità che dava luogo ad un’inevitabile dispersione di fondi.
Nel 2002, a seguito di una Conferenza di Consenso costituita dalla Regione insieme alle associazioni di disabili, è stato sottoscritto da tutti i sindaci del Friuli Venezia Giulia il Documento di Consenso Una strategia regionale di risposta alle disabilità complesse e di promozione della Vita Indipendente, contenente le linee guida per le future politiche sulla disabilità e secondo il quale le disabilità gravi non possono gravare solo sulle politiche assistenziali, ma è necessaria un’integrazione con sanità, scuola, lavoro, mobilità e residenzialità.
La successiva Delibera di Giunta n. 19105 del 2003 è caratterizzata da due elementi significativi: l’incremento dei fondi per il 2004 a 1.900.000 euro e la definizione di due sole tipologie di programmi (Progetti personalizzati per la Vita Indipendente e Progetti personalizzati per il sostegno alla famiglia), mentre la norma del ’99 ne contemplava sette. Questi importanti aspetti migliorativi comportano un notevole aumento di progetti personali per la Vita Indipendente, con grande soddisfazione degli utenti.
La ratifica è datata 11 novembre 2003, quando l’assessore regionale alla Sanità e alle Politiche Sociali conferma che la Giunta Regionale intende perseguire la Vita Indipendente quale forma di assistenza più rispondente alle esigenze delle persone disabili e in tal senso vengono stanziati 1.800.000 euro per tale capitolo di spesa.
Roby Margutti, rappresentante legale Associazione IDEA ONLUS
Lazio
L’esperienza di Vita Indipendente in Lazio parte nel 2000 con una Delibera Regionale che disciplina alcune modalità di applicazione della Legge 162, la cui impostazione deriva dalla precedente attività delle associazioni romane con il Comune capitolino e di alcune altre associazioni del Lazio.
Non è stato facile far decollare questo progetto all’avanguardia, perché esso collide con la struttura tradizionale per cui il settore pubblico offre servizi all’utente, ignorando il principio di scelta da parte di quest’ultimo, sancito dalla DPCM (Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri) del 27 gennaio 1994. E nonostante ciò oggi è garantita a trecento fruitori la possibilità di scegliere liberamente l’assistente personale, senza vincoli territoriali e con flessibilità nella definizione degli orari di lavoro.
Rimangono per altro dei punti critici. Innanzitutto, chi aderisce al progetto deve anticipare lo stipendio degli operatori assunti, per poi ottenerne rimborso dal Comune. Attualmente i tempi di attesa vanno da uno a quattro mesi, discriminando chi ha minore capacità economica e costringendolo a volte a rinunciare a tale possibilità. Un altro problema è quello della sostituzione del personale – che rimane a carico dell’utente – non essendo predisposto alcun servizio in tal senso, che dia indicazione di strumenti e modalità.
Partendo dal presupposto che un’eccessiva autogestione, priva di servizi di supporto, rischia di discriminare tra chi è più avveduto e chi lo è meno, abbiamo dato vita all’Agenzia Vita Indipendente – anche tenendo conto che la Legge Biagi consente lo sviluppo di agenzie di ricerca e selezione del personale – in modo da accompagnare l’utente nella gestione delle fasi più tecniche. Egli viene supportato ad esempio nella conoscenza dei diritti dei lavoratori, del mercato del lavoro, oltre che con un servizio di mediazione del personale, anche se qui vi sono delle difficoltà dovute alla mancanza di contributi da parte di enti, talché si può lavorare solo grazie al sostegno di alcune associazioni.
Sarebbe importante dare vita a queste nuove agenzie per la ricerca del personale di assistenza e cura della persona, le quali si prenderebbero cura di una fetta di mercato attualmente scoperta. Abbiamo infatti verificato presso i Centri d’Impiego e i Centri di Orientamento al Lavoro che non esistono elenchi di questo tipo e quei Centri si sono mostrati interessati a tale servizio.
Dino Barlaam, responsabile progetto Agenzia Vita Indipendente ONLUS, Roma
Piemonte
Sin dal 2000, il CISAP – consorzio di Grugliasco-Collegno (Torino) – ha avviato, primo e unico in Piemonte, il progetto SAVI (Servizio di Aiuto alla Vita Indipendente), nel cui ambito si sono avuti i primi quattro progetti personalizzati e di assistenza personale autogestita.
Le considerazioni, i ragionamenti di base e le ipotesi di lavoro di questo progetto, predisposti in collaborazione con le associazioni ENIL ITALIA e Consequor, pur facendo riferimento al sintetico articolo 1, comma ter della Legge 162/98, contengono tutti i più significativi principi del Movimento per la Vita Indipendente e raccolgono anche la nostra esperienza in merito.
In sostanza, la Vita Indipendente si concretizza in servizi di aiuto alla persona gestiti in forma indiretta, cioè autogestendo fondi finalizzati al pagamento di assistenti personali scelti e formati direttamente dalla persona con disabilità; inoltre, i servizi di assistenza personale sono destinati a “persone con disabilità permanente e grave limitazione dell’autonomia personale”; ed ancora, le modalità di attuazione dei programmi rispettano il principio di autodeterminazione della persona, limitabile solo dalle risorse disponibili; infine, i servizi finanziati vanno verificati sull’effettiva, tempestiva e continuativa erogazione delle prestazioni e sulla loro efficacia.
A seguito di richieste, attività e iniziative, soprattutto dell’associazione Consequor – che offre supporto e consulenza alla pari – la Regione Piemonte, con fondi aggiuntivi a quelli della Legge 162, ha deliberato nel 2002 e rinnovato nel 2003 (con la Delibera n. 91-10257 e con la definizione dei criteri per l’accesso, su cui per altro non siamo completamente d’accordo) la sperimentazione di progetti di Vita Indipendente. Un atto necessario, questo, considerata (tranne che nel caso del consorzio CISAP), la pressoché totale assenza degli enti gestori delle funzioni socio-assistenziali nell’attivazione di progetti personalizzati ai sensi dell’articolo 1-ter della Legge 162. Alla fine del 2003 i progetti attivati erano ottanta, con un limite massimo di finanziamento di 20.000 euro per ciascuno.
Una critica accentuata va al Comune di Torino, il quale ha attivato progetti individuali e personalizzati riferendoli agli assegni di cura, che solo lontanamente sono riconducibili a innovativi e corretti progetti di Vita Indipendente e che riteniamo non rispettino i diritti e le dignità delle persone disabili.
Gianni Pellis, presidente Associazione Consequor per la Vita Indipendente
Toscana
Nel 1997, ancor prima della Legge 162/98, ottenemmo in una norma della Regione Toscana che, a richiesta dell’interessato, anziché l’assistenza tradizionale fossero dati i soldi per la Vita Indipendente. A Firenze la cosa è stata abbastanza applicata, soprattutto perché è stato possibile fare molte più lotte e anche a seguito di un’importante ordinanza del tribunale.
Nel resto della Toscana, tale legge è stata applicata solo sulla carta, cioè con cifre irrisorie, lontanissime dalla Vita Indipendente. I motivi di ciò sono diversi. Il primo è dovuto senz’altro al fatto che è molto più difficile, se non impossibile, fare lotte dure in ogni piccolo comune. Poi molto spesso nei piccoli comuni c’è più isolamento e quindi più ignoranza. Inoltre, ci viene detto frequentemente che i piccoli comuni hanno meno soldi, ma questo non so se sia vero. Infine, ma forse più importante, c’è il costume largamente diffuso, anche tra gli amministratori appartenenti ai DS, di dare talora un’importanza relativa al pieno rispetto della legalità.
Per tutti questi motivi, dopo alcune lotte, siamo riusciti ad ottenere un intervento finanziario diretto della Regione Toscana, ancora da avviare. Di positivo ci sono i fatti che non è prevista l’applicazione dell’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente), che è consentito qualsiasi rapporto di lavoro legale e che la rendicontazione è nel merito e non finanziaria. Di estremamente negativo la connotazione sperimentale di tutto ciò e il fatto che sono stati lasciati portoni spalancati per far passare con estrema facilità cose che non c’entrano nulla con la Vita Indipendente.
A parer mio, i soldi sono essenziali per la Vita Indipendente, ma non bastano assolutamente. Si possono infatti avere soldi e pagare gli assistenti personali, ma essere ugualmente “schiavi”, perfino più che in un istituto.
Il discorso è ampio e chi scrive ci sta dedicando un libro. Qui si può solo accennare che è indispensabile abbandonare l’abitudine inconsapevole di “vivere da disabile”, ovvero imparando a conoscere veramente se stessi. E’ poi determinante avere la fortuna – ma anche la capacità – di scegliere ottimi assistenti personali. Da ultimo, ma pure essenziale, è gratificare gli assistenti personali con una retribuzione decente, riuscendo a comunicare loro davvero i nostri bisogni, capendo le difficoltà che incontrano e aiutandoli a superarle, valorizzando al massimo le loro capacità. In altre parole, a certe condizioni, si può essere se stessi fino in fondo, solo se non si tratta l’assistente personale da “protesi umana”.
Raffaello Belli Segreteria Avitoscana ed ENIL Europa
Veneto
Le prime esperienze di assistenza personale autogestita per la Vita Indipendente nel Veneto risalgono al 1998. Grazie all’autodeterminazione e all’impegno di alcune persone con disabilità e alla ricettività di alcuni comuni e aziende sanitarie, a partire da Venezia e da Verona, sono stati intrapresi negli anni successivi molti percorsi individuali di Vita Indipendente con i fondi della Legge 162/98. E’ nato anche un coordinamento regionale di Comitati per la Vita Indipendente attivo in varie città, che ha esposto agli organismi regionali le proprie idee e proposte.
Grazie a questo lavoro, è stato introdotto nella Legge Finanziaria Regionale del 2003 uno specifico capitolo di bilancio, incrementato nel 2004. Ne sono state poi definite linee, indirizzi e modalità di attuazione tramite le Delibere di Giunta Regionale 2824/03 e 1575/04. Citiamo dalla prima di esse: «La realizzazione di programmi di assistenza “gestiti in forma indiretta” rappresenta una modalità innovativa nel sistema dei servizi socio-assistenzali e presuppone l’esistenza di un progetto globale di vita, in cui alla persona con disabilità viene assicurata la possibilità di autodeterminare: il livello di prestazioni assistenziali di cui necessita, i tempi ed, inoltre, la scelta dell’assistente personale e la gestione del rapprto contrattuale».
Dal canto suo, la Delibera 1575 recita: «Con la DGR n. 2824/03 sono state date indicazioni alle aziende ULSS per la predisposizione dei programmi attuativi territoriali e delle graduatorie dei progetti individuali di “Vita Indipendente” ed è stata disposta la nomina di un gruppo di lavoro integrato, rappresentativo delle istituzioni regionali e del coordinamento dei comitati per la vita indipendente. Alla data del 30.11.2003 le aziende ULSS hanno trasmesso alla Direzione Regionale per i Servizi Sociali le graduatorie locali, per un numero complessivo di 654 progetti individuali».
Un grande successo, dunque, anche se non tutto fila liscio. I tempi di realizzazione degli interventi sono lunghi, i criteri per le graduatorie modificabili, l’informazione mirata migliorabile. E’ stata però compresa la necessità di garantire continuità agli interventi che, pur non essendo ancora un diritto esigibile, ci auguriamo vengano sicuramente finanziati nel 2005.
Elisabetta Gasparini – UILDM Venezia e Coordinamento Veneto Comitati per la Vita Indipendente
Un film sulla Vita Indipendente
La UILDM di Bologna, in collaborazione con il Comitato Regionale UILDM dell’Emilia Romagna, ha commissionato alla regista Antonella Restelli la realizzazione di Vita Indipendente: Assistenza personale, un documentario presentato in maggio alle Manifestazioni Nazionali UILDM di Lignano.
Interviste e momenti di vita quotidiana: questo il contenuto dei ventun minuti girati in digitale che registrano le testimonianze sulla Vita Indipendente di Elisabetta Gasparini della UILDM di Venezia, una delle persone più attive in Italia sul tema, di altre due persone disabili che hanno partecipato alla sperimentazione a Modena e dei loro assistenti personali.
Lo scopo dell’iniziativa è quello di informare non solo i pubblici amministratori, ma anche e soprattutto le stesse persone con disabilità e questo perché, analizzando le esperienze di Vita Indipendente in Emilia Romagna, è emerso che spesso manca, da parte proprio dei diretti interessati, una reale consapevolezza delle opportunità offerte dall’assistenza autogestita.
Ispirandosi così ad un analogo lavoro realizzato dalla cooperativa svedese STIL – del cui documentario è disponibile copia sottotitolata – il progetto di video italiano si propone di stimolare l’impegno diretto e il sostegno reciproco delle persone con disabilità, secondo la logica del peer support.
Le esperienze di Modena (realizzata nel 2002-2003 e in seguito consolidata e ampliata grazie ai finanziamenti della Regione) e quella di Bologna (avviata nel 2004) nascono su proposta delle UILDM locali, che si fanno portavoce delle esigenze dei soci interessati alla Vita Indipendente, coinvolgendo anche altri soggetti del territorio. Il progetto modenese ha coinvolto infatti non solo la UILDM e l’amministrazione comunale, ma anche altre associazioni, come l’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), l’UIC (Unione Italiana Ciechi) e l’ASHAM (Associazione Sportiva Handicappati Modena), grazie soprattutto all’intervento del Centro Servizi per il Volontariato. A Bologna, invece, oltre al Comune e alla UILDM, partecipano anche l’Azienda Sanitaria Locale e la stessa AISM.
La videocassetta è stata riprodotta per il momento in mille copie, che saranno inviate entro il mese di febbraio 2005 alle associazioni di persone con disabilità dell’Emilia Romagna, ai pubblici amministratori e a chiunque altro ne faccia richiesta. Più notizie sul sito della UILDM Bologna.
Luigi Zironi – Coordinatore del Progetto Vita Indipendente UILDM Emilia Romagna
Anch’io voglio vivere da solo! (di Anna Contardi*)
Un giovane di 25 anni si rivolge ai genitori esclamando: «Anch’io voglio vivere da solo!». Nulla di strano, ma Paolo è un ragazzo con la sindrome di Down e allora cominciano le domande…
Fino a non molto tempo fa il tema della Vita Indipendente sembrava essere di interesse solo per le persone con disabilità fisiche o sensoriali. Quelle con disabilità intellettiva, infatti, o non arrivavano all’età adulta oppure venivano pensate come persone per sempre e in tutto dipendenti dagli altri e per questo destinate a vivere in famiglia o, in assenza di essa, in istituto.
Le cose stanno cambiando: l’aspettativa di vita delle persone con sindrome di Down è oggi di 62 anni e si stima che in Italia su 38.000 persone con questa disabilità 25.000 siano già adulte. Questo pone nuove domande sul piano dei bisogni e dei servizi, ma oltre al cambiamento anagrafico è necessario modificare la mentalità e tener presente che un adulto anche con disabilità intellettiva non è un eterno bambino, ma un adulto “semplice”.
Molti disabili e le loro famiglie, associazioni e servizi hanno lavorato e stanno lavorando per la conquista di un’autonomia possibile anche in caso di disabilità intellettiva. Autonomia non vuol dire “saper fare tutto da soli”, ma saper integrare le proprie competenze con quelle degli altri e abbiamo visto come su questa strada i risultati siano stati spesso superiori alle nostre aspettative. Essere autonomi vuol dire sì saper fare alcune cose, ma anche saper essere persone grandi e sentirsi riconosciuti grandi dagli altri. Molte persone con la sindrome di Down che ho conosciuto hanno acquisito abilità nuove e conquistato la propria identità di adulti, un’identità che si acquisisce anche nella relazione e nel riconoscimento dell’altro.
E’ la conquista dell’autonomia possibile per ognuno che può permettere di dire con senso di realtà: «Anch’io voglio vivere da solo!».
E così, riflettendo con i genitori da una parte e con i ragazzi che diventano sempre più adulti dall’altra, sui desideri e talvolta sulle necessità dell’andare a vivere fuori casa, abbiamo fatto un ulteriore passo avanti. E’ necessario infatti pensare all’uscita dalla casa paterna verso una casa-famiglia o simile soluzione, non come un evento che scaturisce solo da una necessità – la morte o l’impossibilità di continuare a vivere con genitori o fratelli – ma come una scelta di Vita Indipendente, un passaggio verso una nuova fase della vita e che può quindi essere collocato in un momento simile a quello in cui i fratelli lasciano la casa per sposarsi o andare a vivere da soli. Tale considerazione pone ovviamente alcune questioni: come preparare le persone disabili; come preparare la famiglia; con quali mezzi e con quali risorse
Nella maggior parte dei casi queste persone manterranno per tutta la vita un bisogno di assistenza che potrà variare dalla presenza di educatori a tempo pieno in casa-famiglia al supporto di servizi nell’organizzazione della propria vita solo per alcune ore al giorno, fino al sostegno a distanza di parenti o di vicini di casa. Quel che però diventa importante è prepararsi al momento in cui si uscirà definitivamente da casa, con esperienze di graduale distacco, dalle vacanze ai weekend alle esperienze di residenzialità temporanea.
A Roma, dal 1995, ogni fine settimana tre-quattro adulti con la sindrome di Down prendono la borsa con le loro cose, assieme a un educatore e a un volontario, e si trasferiscono a Casapiù, un appartamento nel quartiere di Garbatella che è appunto qualcosa di più di una casa. E’ il luogo dove organizzano il proprio tempo tra inviti a cena e serate fuori, discoteca e cinema, visite culturali e sfide a pallone, fanno la spesa, cucinano, puliscono, chiacchierano, ridono, piangono, si confrontano e insieme diventano sempre più adulti e indipendenti. Da Casapiù alcune persone sono partite per poi uscire definitivamente dalle proprie case, altre hanno cominciato ad assaporare il gusto del farcela da soli.
*AIPD (Associazione Italiana Persone Down).