Che cos’è la sindrome di Down
Si tratta di una condizione genetica caratterizzata dalla presenza di un cromosoma in più nelle cellule: invece di 46 cromosomi nel nucleo di ogni cellula ne sono presenti 47. Vi è cioè un cromosoma n. 21 in più: da qui anche il termine di trisomia 21.
Genetico, per altro, non vuol dire ereditario, dal momento che nel 98% dei casi la sindrome di Down non è ereditaria.
La conseguenza di questa alterazione cromosomica è un handicap caratterizzato da un variabile grado di ritardo nello sviluppo mentale, fisico e motorio del bambino.
Le cause
Non si conoscono affatto quali siano le cause che determinano le anomalie cromosomiche in generale. Sappiamo però che:
a) le anomalie cromosomiche – e soprattutto le trisomie – sono un evento abbastanza frequente che interessa circa il 9% di tutti i concepimenti (alla nascita però solo lo 0,6% dei nati presenta un’anomalia cromosomica a causa dell’elevatissima quota di embrioni che va incontro ad un aborto spontaneo);
b) l’incidenza delle anomalie cromosomiche in generale, e quelle della trisomia 21 in particolare, è assolutamente costante nelle diverse popolazioni, nel tempo e nello spazio;
c) tutte le possibili ipotesi eziologiche fino ad oggi formulabili (agenti chimici, radiazioni ionizzanti, infezioni virali, alterazioni metaboliche o endocrine materne) non sono state mai avvalorate dalle molte ricerche condotte.
In definitiva, si ritiene che l’insorgenza delle anomalie cromosomiche sia un fenomeno “naturale”, in qualche modo legato alla fisiologia della riproduzione umana, e anche molto frequente.
La presenza della sindrome di Down è diagnosticabile nel neonato, oltre che con un’analisi cromosomica, fatta su un prelievo di sangue, attraverso una serie di caratteristiche facilmente riscontrabili dal pediatra, di cui la più nota è il taglio a mandorla degli occhi (che ha dato origine al termine “mongolismo”).
Il nome di sindrome di Down deriva invece da Langdon Down, medico che la riconobbe per primo nel 1866 (sindrome = insieme di tratti) e ne identificò le principali caratteristiche.
La prevenzione possibile
Le cause precise che determinano l’insorgenza della sindrome di Down sono ancora sconosciute. Numerose indagini epidemiologiche hanno comunque messo in evidenza che l’incidenza aumenta con l’aumentare dell’età materna.
Anche se la possibilità cresce con l’avanzare dell’età materna, questo non esclude però che nascano bambini con sindrome di Down anche da donne giovani: una donna più anziana ha però maggiori probabilità.
L’altro fattore di rischio dimostrato è avere avuto un precedente figlio con la sindrome.
La diagnosi
La sindrome di Down può essere diagnosticata anche prima della nascita intorno alla sedicesima-diciottesima settimana di gestazione, con l’amniocentesi (prelievo con una siringa di una piccola quantità del liquido amniotico, che avvolge il feto all’interno dell’utero) o tra la dodicesima e la tredicesima settimana con la villocentesi, che viene attuata meno comunemente e che consiste in un prelievo di cellule da cui si svilupperà la placenta, i villi coriali appunto.
Queste analisi vengono proposte di solito alle donne considerate a rischio (età superiore ai 37 anni o con un precedente figlio con sindrome di Down) ed effettuate senza ricovero in alcuni centri particolarmente attrezzati.
Sono allo studio nuove tecniche di prelievo, o di cattura, delle cellule fetali nel sangue materno o nella vagina che dovrebbero essere meno invasive e più sicure delle attuali.
Il tri-test è un esame del sangue materno eseguito tra la quindicesima e la ventesima settimana di età gestazionale per dosare tre sostanze particolari (alfa-fetoproteina, estriolo non coniugato e frazione beta della gonadotropina corionica). L’elaborazione statistica dei livelli ematici di queste tre sostanze, combinata con l’eventualità di sindrome di Down legato all’età della donna, fornisce una risposta che indica la stima della probabilità che il feto abbia una trisomia 21 oppure no. Per questo il primo tri-test non ha alcun valore diagnostico.
Quante sono le persone con sindrome di Down
Attualmente in Italia un bambino su 1.200 nasce con questa condizione.
Grazie allo sviluppo della medicina e alle maggiori cure dedicate a queste persone, la durata della loro vita si è molto allungata, cosicché si può ora parlare di un’aspettativa di vita di 62 anni, destinata ulteriormente a crescere in futuro.
Si stima che oggi vivano in Italia circa 38.000 persone con sindrome di Down, di cui il 61% ha più di 25 anni.
Chi sono e come crescono i bambini con sindrome di Down?
Lo sviluppo del bambino con sindrome di Down avviene con un certo ritardo, ma secondo le stesse tappe dei coetanei. Egli, crescendo, può raggiungere, sia pure con tempi più lunghi, conquiste simili a quelle degli altri bambini: camminerà, inizierà a parlare, a correre, a giocare.
Rimane invece comune a tutti un variabile grado di ritardo mentale che si manifesta anche nella frequente difficoltà di linguaggio.
Dal punto di vista riabilitativo, non si tratta di compensare o recuperare una particolare funzione, quanto di organizzare un intervento educativo globale che favorisca la crescita e lo sviluppo del bambino in un’interazione dinamica tra le sue potenzialità e l’ambiente circostante. È importante inoltre ricordare che ogni bambino è diverso dall’altro e necessita quindi di interventi che rispettino la sua individualità e i suoi tempi.
Dal punto di vista medico, vista una maggiore frequenza in tali bambini rispetto alla popolazione normale di problemi specialistici, in particolare malformazioni cardiache (la più frequente è il cosiddetto canale atrioventricolare comune, ma si presentano anche difetti intestinali, disturbi della vista e dell’udito, disfunzioni tiroidee, problemi odontoiatrici), è opportuno prevedere col pediatra una serie di controlli di salute volti a prevenire o a correggere eventuali problemi aggiuntivi.
Per conoscere quali controlli di salute sono consigliati per i bambini e le persone con sindrome di Down ci si può collegare al sito http://www.conosciamocimeglio.it/documenti/controlli.html?id=61
Apprendimento e inserimento sociale
La maggior parte dei bambini con sindrome di Down può raggiungere un buon livello di autonomia personale, imparare a curare la propria persona, a cucinare, a uscire e fare acquisti da soli. Possono inoltre fare sport e frequentare gli amici, vanno a scuola e possono imparare a leggere e scrivere.
I giovani e gli adulti con sindrome di Down possono apprendere un mestiere e impegnarsi in un lavoro, svolgendolo in modo competente e produttivo.
È impossibile avere oggi dei dati statistici sul numero delle persone con sindrome di Down che lavorano, ma – anche se la legislazione attuale non favorisce adeguatamente l’avvio al lavoro delle persone con ritardo intellettivo – grazie all’impegno degli operatori e delle famiglie ci sono già molte esperienze positive.
Ci sono lavoratori con sindrome di Down tra i bidelli, gli operai, i giardinieri e altre mansioni semplici; stanno nascendo inoltre anche alcune prime esperienze in lavori più complessi come l’immissione di dati in computer o altri impieghi d’ufficio.
Le persone con sindrome di Down sanno fare molte cose e ne possono imparare molte altre. Perché queste possibilità diventino realtà occorre che tutti imparino a conoscerli e ad avere fiducia nelle loro capacità.
Testo tratto dal sito dell’AIPD – Associazione Italiana Persone Down.
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