La sindrome di Rett è un grave disturbo neurologico, una malattia genetica che colpisce prevalentemente le femmine (con un’incidenza di un individuo ogni 10-15 mila nascite) e che causa ritardo mentale.
Oggi c’è una nuova possibilità di diagnosi: è il gene CDKL5 che, se alterato, è responsabile della rara variante di Hanefeld, chiamata anche “con inizio precoce delle convulsioni”, per la comparsa più precoce di queste ultime rispetto alla forma classica della malattia.
CDKL5 si trova sul cromosoma X, come MeCP2, il gene responsabile della forma classica e di altre varianti della sindrome di Rett.
La malattia si trasmette con modalità dominante: i maschi, avendo una sola copia del gene e per di più guasta, muoiono entro il secondo anno di vita o hanno un diverso ritardo mentale, mentre le femmine si ammalano di sindrome di Rett.
I sintomi, che iniziano dopo i primi 6-18 mesi di vita, sono la progressiva perdita del linguaggio e delle capacità manuali, la mancanza di coordinazione nei movimenti, tratti autistici e un forte ritardo mentale.
Ma non basta: il prodotto del gene CDKL5 interagisce con la proteina MeCP2, aiutandola a diventare “attiva” attraverso l’aggiunta di un gruppo chimico, il fosfato.
La sindrome di Rett si presenta nel 74% dei casi con una forma cosiddetta classica e nel restante 26% dei casi con forme dette varianti.
Nella forma classica, circa l’80% dei difetti genetici risiede in MeCP2, una proteina che nel cervello regola l’accensione e lo spegnimento di alcuni geni importanti per la maturazione del sistema nervoso. Per le varianti, il gene MECP2 contiene errori solo nel 30-40% dei casi.
Questa recente scoperta proviene dal gruppo di Alessandra Renieri che opera presso il Dipartimento di Biologia Molecolare dell’Università di Siena e del gruppo di Biologia Molecolare del Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale dell’Università dell’Insubria a Busto Arsizio (Varese).
Si tratta del frutto di due progetti finanziati da Telethon sullo studio delle cause della sindrome di Rett, coordinati dalla stessa Renieri e da Nicoletta Landsberger.
Al duplice risultato, pubblicato sul «Journal of Medical Genetics»* e su «Human Molecular Genetics»**, ha contribuito anche il gruppo di ricerca Telethon guidato da Vania Broccoli presso l’Istituto Scientifico San Raffaele di Milano, che lavora su altre forme di ritardo mentale.
Il percorso della scoperta è iniziato con la consulenza genetica di Alessandra Renieri su alcune pazienti, inviate dalla Neuropsichiatria Infantile e dalla Pediatria di Siena, con sospetta sindrome di Rett, ma senza alterazioni nel gene MECP2.
L’analisi del DNA ha poi rivelato un guasto nel gene CDKL5, permettendo così la diagnosi della variante di Hanefeld.
«Le varianti sono più difficili da identificare e conoscere un secondo gene da controllare diventa cruciale. Ecco perché CDKL5 diventerà importante per l’accertamento della malattia nelle forme a oggi non diagnosticate come sindrome di Rett», ha spiegato Renieri.
Da qui è partito il trasferimento di informazioni tra i ricercatori finanziati da Telethon e sono stati coinvolti i due altri gruppi di ricerca per capire il ruolo di CDKL5 nella malattia.
Grazie a tutto lavoro in staffetta, il ruolo della proteina CDKL5 nella sindrome di Rett è stato scoperto dalla Landsberger, la quale ha commentato: «Il risultato fornisce una spiegazione molecolare al coinvolgimento di CDKL5 nella malattia. Le due proteine MeCP2 e CDKL5, i cui geni sono finora le uniche cause note della sindrome di Rett, lavorano in sequenza e appartengono allo stesso percorso molecolare: un errore in una delle due porta alla malattia».
Il testimone è poi passato nelle mani di Vania Broccoli la quale ha visto che – come MeCP2 – anche CDKL5 è “accesa” nel cervello, confermandone il ruolo nello sviluppo dei sintomi a carico del sistema nervoso.
*Scala E. et al. J Med Genet 2005 Feb; 42(2):103-7.
**Mari F. et al. Hum Molec Genet 2005, vol. 14.
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