New York è calda. Siamo in estate, direte. Certo, ma il suo calore non è legato soltanto alla temperatura, che arriva a 30 gradi, col sole a picco. Come in Italia – forse un po’ meno – perché il mare che circonda l’isola di Manhattan rallenta il termometro e la sera lo trattiene dallo scendere bruscamente. L’umidità però è fastidiosa, con le magliette che “si azzeccano” addosso e i vapori del traffico che si sedimentano sui marciapiedi. In più, il condizionatore permanentemente acceso che riempie alberghi, negozi, case ti scombussola i bioritmi: respiri un’aria viziata che ti costringe a bere per rinfrescarti la bocca, e allora sudi…
Il calore di New York è particolare. Sa di schermo cinematografico, di serie televisive, di immagini già viste che ti rimangono impresse come luoghi familiari. Difficile girare la città senza imbattersi in un grattacielo, in un taxi giallo (qui li chiamano yellow cab, come una bella canzone di Joni Mitchell), in un’ insegna luminosa che hai già visto in un film.
Così tutto sembra un fotogramma, una foto patinata, un set cinematografico. Così il baretto economico che serve colazioni a prezzi stracciati ti fa sentire in un film di Altman, l’albergo elegante con i camerieri in livrea in una scena di Colazione da Tiffany, le strade notturne illuminate di insegne in una canzone di Liza Minnelli.
Le giornate che precedono la sesta sessione del Comitato Ad Hoc (Ad Hoc Committee), che discuterà il testo della Convenzione Internazionale per la Tutela dei Diritti Umani delle Persone con Disabilità, sono fitte di riunioni.
Dagli incontri con la World Bank, finanziatore internazionale che da qualche anno si occupa di disabilità, al meeting delle donne per decidere quale posizione assumere rispetto al testo della Convenzione, alle riunioni delle singole organizzazioni: è tutto un susseguirsi di iniziative cui è veramente difficile tener testa.
In questi giorni di fine luglio ho partecipato all’incontro informale del Comitato Guida (Steering Committee) del Flagship Right to Education to Persons with Disabilities: Towards Inclusion (“Programma per il diritto all’educazione per le persone con disabilità: verso l’inclusione”), promosso dall’Unesco.
Questo Comitato, che include i funzionari responsabili dell’Unesco, un rappresentante del governo ugandese e l’Ecosoc (Economic and Social Council, il Comitato Economico e Sociale dell’ONU), è formato da delegati delle più importanti associazioni mondiali che rappresentano le persone con disabilità.
Associazioni quali Inclusion International (II), World Blind Federation (WBF – Federazione Mondiale dei Ciechi), Rehabilitation International (RI), World Deaf Association (WDA, Associazione Mondiale dei Sordi), la Lega Mondiale dei Pazienti Psichiatrici e la Federazione dei Sordo-Ciechi.
Io ero lì, insieme a Moira Jones, a rappresentare Disabled Peoples’ International (DPI, la settima delle grandi associazioni mondiali riunite – proprio per i lavori della Convenzione – nell’IDA, International Disability Alliance).
L’Unesco, dopo le iniziative per il diritto allo studio delle persone con disabilità legate alla Dichiarazione di Salamanca (1994), ha deciso appunto di rafforzare il rapporto con le organizzazioni delle stesse persone con disabilità e dei loro familiari, avviando un gruppo di contatto e di monitoraggio sulle iniziative relative al diritto all’educazione.
Nei Paesi in via di sviluppo, infatti, solo il 2% della popolazione con disabilità ha frequentato una scuola riconosciuta e si calcola che dei 140 milioni di bambini che non intraprendono un percorso educativo in questi Paesi, circa 40 milioni siano bambini con disabilità.
Lo scopo di questo comitato, quindi, è di discutere diverse proposte per rafforzare i diritti delle persone con disabilità proprio nel campo dell’educazione.
I due giorni di lavoro sono stati particolarmente intensi e proficui. Non potendo però riassumere dettagliatamente le discussioni – a volte accese e su posizioni contrapposte, come quella sull’educazione speciale richiesta dalle organizzazioni di persone cieche e sorde e quella sul testo della Convenzione (articolo 17) che si occupa di educazione (l’International Disability Alliance ha definito in merito una propria proposta) – mi limiterò a sintetizzare le iniziative che sono state definite per i prossimi anni:
1. Avviare un’attività tesa a realizzare dei rapporti di monitoraggio annuali (monitoring report), raccogliendo studi e ricerche sull’educazione per tutti, dei quali il primo sarà pronto a novembre del 2006. Dati, questi, che sono tradizionalmente scarsi e poco conosciuti.
2. Nominare un ambasciatore internazionale dell’Unesco per il diritto all’educazione delle persone con disabilità.
3. Raccogliere contributi ed esperienze positive nelle due riviste dell’Unesco «Education News» ed «Education Today».
4. Trasferire il segretariato del Programma per il Diritto all’educazione per le persone con disabilità in un nuovo Paese (probabilmente in Finlandia, che sembrerebbe disposta a pagare le spese).
5. Attivare due gruppi di lavoro che si occupino delle statistiche e dell’educazione degli insegnanti che operano con persone con disabilità.
6. Dare vita a gruppi di lavoro nazionali e internazionali (su scala continentale) che lavorino per un’educazione per tutti (un primo gruppo è già stato costituito per la zona Asia-Pacifico).
7. Promuovere in ogni Paese un piano nazionale per conoscere la condizione educativa delle persone con disabilità e monitorarne periodicamente i risultati.
8. Sollecitare un impegno nei confronti delle persone con disabilità, che rappresentano la metà dei poveri del mondo – e in particolare per l’educazione inclusiva – nell’ambito dell’iniziativa globale dell’ONU per lo sradicamento della povertà entro il 2015 (quelli che vengono chiamati i Millennium Development Goals, MDGs – gli Obiettivi del Millennio).
Un’attenzione particolare, nel corso dei lavori, è stata dedicata poi al tema delle statistiche.
Sulla disabilità, infatti, i dati sono ancora pochi e spesso poco accurati, essendo la cultura scientifica, in questo campo, ferma ancora ad una visione basata su un modello medico della disabilità.
Inoltre, poiché le statistiche sono lo strumento di promozione delle politiche specifiche volute dai governi, nel campo della disabilità si producono ricerche legate a politiche assistenziali e caritative, interessate solo a conoscere il livello di costi che lo Stato assume o il numero generico di persone che frequentano la scuola.
Mancano quindi, totalmente, indicatori di inclusione sociale o di qualità dell’educazione offerta alle persone con disabilità, così come mancano le informazioni sul perché i bambini con disabilità non frequentano l’educazione primaria, sulle carenze delle strutture scolastiche e, per finire, sulla qualificazione degli insegnanti a contatto con persone con disabilità.
Nel corso dei lavori, è emersa inoltre la necessità di avviare un confronto approfondito con chi si occupa di statistica (un primo incontro si è già tenuto a Parigi proprio la settimana scorsa e vi hanno partecipato vari tecnici provenienti da differenti Paesi che si sono misurati con il programma dell’Unesco), promuovendo una riflessione specifica, e l’International Disability Alliance ha deciso – nei prossimi mesi – di produrre sull’argomento un documento di orientamento, per far emergere la posizione delle organizzazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari.
Pensiamo, infine, a come il tema sia di stretta attualità anche in Italia: visitando infatti il sito dell’Istat (Istituto Nazionale di Statistica) sulla disabilità, ci si rende subito conto di come queste discussioni ci riguardino direttamente e che ben altre dovrebbero essere le statistiche disponibili per promuovere delle politiche di non-discriminazione e di superamento di ostacoli e barriere che violano i diritti umani delle persone con disabilità.