Furono Jean-Martin Charcot, Pierre Marie e Howard Henry Tooth i tre neurologi che diedero il nome alla malattia detta appunto di Charcot-Marie-Tooth (CMT), verso la fine dell’Ottocento. Se ne può trovare notizia anche sotto altri acronimi, quali CM (Charcot-Marie), HMSN (Hereditary Motor and Sensory Neuropathie) o PMA (Peroneal o Progressive Muscolar Atrophy). La classificazione Orphanet ha assegnato ad essa il codice 166.
Si tratta di una neuropatia, ovvero di una malattia dei nervi che, indirettamente, colpisce anche i muscoli e altre parti dell’organismo. Viene definita per comodità “malattia”, ma in realtà si tratta di “un insieme di malattie” con sintomi simili.
Forme di CMT
Si possono ripartire in alcuni grandi gruppi:
– Forme demielinizzanti, in cui la guaina che riveste il nervo, detta mielina, diviene progressivamente meno efficace nel condurre l’impulso nervoso. Infatti nell’elettromiografia (EMG) la velocità di conduzione motoria è inferiore a 38 metri/secondo.
– Forme assonali, in cui ciò che viene compromesso è il nervo stesso, nella fattispecie l’assone. Qui la velocità è uguale o maggiore a 38 metri/secondo.
– Forme intermedie, in cui la velocità di conduzione motoria è compresa tra 25 e 45 metri/secondo.
Ad oggi, più di cento mutazioni genetiche sono state associate a una delle forme di CMT.
Tra le forme demielinizzanti troviamo:
– CMT1A, che è quella più diffusa e il cui difetto genetico è sul cromosoma 17. In questo caso avviene una duplicazione del gene PMP22 (della Proteina Mielinica Periferica 22).
– HNPP, ovvero Neuropatia Ereditaria con Predisposizione alle Paralisi da Compressione (il che significa avere una predisposizione all’addormentamento degli arti in certe posizioni). Qui, nella maggioranza dei casi, invece di una duplicazione c’è una delezione (assenza) dello stesso gene PMP22.
– CMT1B, ove il difetto è dato da una mutazione del gene della P0 situato sul cromosoma 1, anch’esso addetto alla mielina.
– CMT1C (detta anche LITAF), in cui vengono escluse le prime due.
– Déjerine-Sottas, definizione tramite la quale possono essere raccolte le forme demielinizzanti più gravi ad esordio precoce (nei primi anni di vita), il cui difetto genetico può coinvolgere gli stessi geni della CMT1A e CMT1B. Un tempo venivano classificate come CMT3.
– CMT4, le quali sono tutte di tipo demienilizzante e frequenti al Sud e in Africa. Esistono di tipo A col difetto sul cromosoma 8, di tipo B con una particolare guaina mielinica piegata e con difetto sul cromosoma 11, di tipo C con difetto sul cromosoma 5.
– CMTX, con una mutazione del gene della connessina 32 GJB1 sito sul cromosoma 13 (si differenzia più che altro per il tipo di ereditarietà). Si trova anche raramente come forma assonale.
Tra le forme assonali si caratterizza la:
– CMT2, che può essere di tipo A, B, C, D ed E. Tale suddivisione è stata resa possibile dall’individuazione delle regioni dette locus, dove si troverebbero i geni colpevoli che però non sono stati ancora identificati. Proprio ultimamente è stato individuato un gene della CMT2A, ma ci vorrà ancora un po’ di tempo prima che esso possa essere utilizzato nella rilevazione diagnostica.
Trasmissione
La CMT, o Charcot-Marie-Tooth, è una patologia ereditaria/congenita. La trasmissione della Charcot-Marie-Tooth da genitore affetto a figlio può avvenire secondo tre diverse modalità, in base alla forma di cui è affetto il genitore:
° Autosomica dominante: la maggior parte delle forme è caratterizzata da una modalità di trasmissione autosomica dominante: ciò significa che esiste una probabilità del 50% di trasmetterla a ciascuno dei propri figli. Fra queste, le più diffuse in Europa sono le CMT demielinizzanti di tipo 1 e quelle assonali di tipo 2.
° Trasmissione per forme X-Linked (CMT 1X): tra le forme dominanti, vi è anche una trasmissione legata al cromosoma X, nella quale le donne sono colpite in genere in forma lieve e ciascuno dei figli maschi ha il 50% di probabilità di ereditare la malattia, che però si manifesterà in forma solitamente più grave. Essendo trasmessa attraverso il cromosoma X, non è trasmissibile da padre a figlio maschio. Sono forme demielinizzanti, anche se negli ultimi anni la ricerca ha riscontrato elementi a carattere spinale.
° Autosomica recessiva: più rare, invece, sono le forme a trasmissione autosomica recessiva, nelle quali entrambi i genitori devono essere “portatori sani” di un allele difettoso affinché la malattia venga trasmessa. In questo caso, ciascuno dei figli ha il 25% di probabilità di ereditarla. La troviamo, per esempio, nelle CMT di tipo 4 ed è più frequente in matrimoni tra consanguinei.
° Casi “De Novo”: esistono casi in cui l’alterazione genetica alla base della CMT ha luogo spontaneamente durante la formazione dell’embrione, pertanto la malattia si manifesta nonostante i genitori siano sani. Chi è affetto da un’insorgenza a carattere “de novo” è solitamente portatore di una forma ereditaria dominante verso la futura prole. Questi casi rappresentano una percentuale modesta rispetto alla totalità dei pazienti con CMT.
Sintomi
La CMT è una malattia molto più diffusa di quello che si è sempre creduto e anche la statistica nota come 1 affetto ogni 2.500 persone sembra non essere più reale. Si tratta di una sindrome (questa è la giusta definizione) progressiva, nel senso che peggiora con l’andar del tempo. La progressione, però, è molto lenta e vi possono essere lunghi periodi di stazionamento.
Nel caso in cui si dovesse presentare un’insorgenza dei sintomi a progressione veloce, potrebbe trattarsi di una neuropatia a carattere infiammatorio, ma questo solo l’esame del liquor cerebrospinale può dirlo.
LA CMT colpisce il sistema nervoso periferico e cioè compromette le terminazioni nervose che interessano i piedi, le gambe dal ginocchio in giù, le mani, le braccia dal gomito in giù. Solo raramente possono esservi problemi anche all’udito, alla vista, alle corde vocali e più frequentemente alla spina dorsale.
Non sempre sono colpite le funzioni di entrambi gli arti superiori e inferiori, o meglio, anche se il deficit neurologico viene evidenziato in tutto il sistema periferico, vi possono essere sintomi evidenti solo alla deambulazione e non alle funzioni manuali (quasi mai viceversa).
È importante ricordare che non esistono ad oggi studi scientifici approfonditi sulla sintomatologia della CMT e che quindi non sono ancora disponibili dati statistici in merito. Ciò è dovuto anche alla principale caratteristica di questa sindrome, cioè alla sua variabilità nel colpire le persone, anche all’interno della stessa famiglia, sia per quanto riguarda i sintomi che il livello di gravità.
Qui di seguito alcuni tra i sintomi che più spesso accomunano le varie forme e le persone affette da CMT:
– Degenerazione e atrofia muscolare
I muscoli interessati, come detto, sono quelli periferici (distali) degli arti inferiori e superiori. I più colpiti sono i peronei (donde il nome di atrofia muscolare del peroneo), i tibiali, e i flessori delle dita. Ne deriva un logico indebolimento della forza muscolare. Essi si atrofizzano perché non sono più innervati a causa del deficit neurologico.
– Accorciamento dei tendini
Atrofizzandosi i muscoli, di conseguenza si accorciano i tendini, tra i quali il maggiormente colpito è quello di Achille.
– Deformità degli arti e dita a martello e ad artiglio
Ciò è dovuto allo squilibrio muscolare e all’accorciamento tendineo. I piedi possono presentarsi cavi e quindi equini, con una tendenza a camminare sulle punte. Il tallone può essere varo e quindi storcersi verso l’interno, portando la persone a cadere (sbilanciarsi) all’esterno durante la deambulazione. I calli spesso sono una delle conseguenze più immediate. Le dita tendono a piegarsi e ciò nei piedi comporta una serie di problematiche dolorose e di adattamento alle scarpe, mentre nelle mani provoca una serie di limiti alla manualità. Le deformità degli arti rappresentano il problema più tangibile per chi è affetto da CMT, con conseguente instabilità, dolore e imbarazzo.
– Deficit sensitivo
I disturbi alla sensibilità sono dovuti alla compromissione dei nervi sensitivi. La sensazione è quella di una diminuzione più o meno significativa, a seconda dei casi, del senso tattile e dolorifico detta a calza e a guanto. Se tale deficit dovesse peggiorare, è opportuno porre maggiore attenzione alle fonti di calore e ai traumi (ad esempio pressioni della scarpa che potrebbero causare nel tempo ulcere cutanee), perché la persona può non sentire dolore. Tale deficit aumenta l’instabilità motoria e limita ulteriormente l’abilità manuale.
– Perdita di equilibrio
Come potrebbe esservi il giusto equilibrio con piedi deformati e mancanza di sensibilità? È tipico quindi delle persone con CMT tendere alla perdita di equilibrio, sbandare. Un fatto curioso è la mancanza del senso di posizione al buio e chiudendo gli occhi.
– Assenza di riflessi
L’assenza di riflessi osteo-tendinea l’abbiamo quasi tutti ma questo segno è utile soprattutto al neurologo per una diagnosi.
– Raffreddamenti e parestesie agli arti
Il sistema nervoso è strettamente collegato con quello circolatorio. Molti soffrono di raffreddamento degli arti che peggiora con temperature fredde e umidità. Anche le parestesie o “addormentamento” degli arti, rappresentano uno dei sintomi più diffusi, che però non è continuo. Spesso, infatti, si tratta di fasi episodiche che passano nel giro di ore o al massimo di giorni e solo in uno stadio avanzato della malattia permangono. Anche i formicolii sono normali nella CMT, soprattutto al mattino appena svegli.
– Spasmi/dolore osteo-muscolare
La postura errata, le deformazioni, l’affaticamento muscolare inducono dolori di vario genere e crampi muscolari.
Esistono poi sintomi che colpiscono solo alcune persone e certe rare forme di CMT, quali ad esempio le difficoltà respiratorie o gravi cifo-scoliosi altamente deformanti.
Sembra esistere il sospetto che possa essere a volte toccato – forse per una questione di equilibri corporei – anche il sistema nervoso centrale. Infatti, possono venire segnalati dai portatori di CMT anche deficit respiratori, uditivi, visivi, vocali, all’apparato urinario ecc.
Crediamo che la ricerca debba fare ancora molta strada prima di raggiungere un quadro completo e certo delle caratteristiche sintomatologiche della CMT, ma in ogni caso possiamo affermare con certezza che essa solo in rari casi arriva a compromettere totalmente l’autonomia della persona e solo in poche situazione presenta una disabilità grave al punto tale da costringere all’uso di una carrozzina.
Diagnosi
Nella stragrande maggioranza dei casi un bravo specialista di malattie neuromuscolari, a seguito di uno studio clinico e familiare della persona e sottoponendola ad un’accurata visita medica, riconosce la malattia di Charcot-Marie-Tooth. Nonostante questo, talora accade ancora che la malattia possa essere confuse con forme di distrofia muscolare, con la sclerosi multipla, con problemi di carattere psicosomatico o altro ancora.
A seguito di una diagnosi di sospetta CMT, in genere si procede all’esame elettrofisiologico che consente d’inquadrare la malattia quale forma demienilizzante o assonale e quindi fornire le indicazioni per le indagini genetiche.
Segue il test genetico che consiste nello studio del DNA dopo un semplice prelievo del sangue. Va ricordato che non essendo stati ancora individuati dalla ricerca scientifica molti difetti genetici di alcune delle forme di CMT, il risultato del test potrebbe solo escludere parte delle forme di CMT, ma non arrivare alla diagnosi effettiva.
L’esame del liquor cerebrospinale consiste in una puntura lombare e lo si effettua solo in casi ben selezionati, qualora ci sia una progressione improvvisa e veloce con sospetto di polineuropatia infiammatoria.
La biopsia del nervo dovrebbe essere sempre l’ultima indagine, da considerarsi solo in casi particolari dopo aver eseguito gli esami di cui sopra e se questi non hanno identificato alcuna delle forme di CMT rilevabili con i test a disposizione.
Ricerche e terapie
Purtroppo ad oggi non esistono ancora cure per la CMT e anzi molti farmaci sembrerebbero dannosi al sistema nervoso. Vi è in questo senso una lista di farmaci potenzialmente dannosi per chi soffre di CMT, pubblicata dall’associazione americana CMTA e tradotta in Italiano da ACMT-Rete. Essa, però, potrebbe non essere esaustiva.
Alcuni trial clinici attualmente in corso e promettenti ricerche in àmbito preclinico fanno sperare che presto la scienza possa trovare risposte positive. Al momento, quindi, i pazienti possono convivere meglio con questa malattia, ricorrendo a:
– Terapia riabilitativa
La persona in genere viene sottoposta a una terapia riabilitativa che spesso però si rivela dannosa poiché anche in questo campo le conoscenze della CMT sono insufficienti ad individuare percorsi mirati e utili a impedire l’eventuale progressione del male.
Ciò che è sicuro è che la fisioterapia dovrebbe tendere a prevenire le retrazioni tendinee senza mai forzare i muscoli e l’intervento riabilitativo più utile prevede l’uso di scarpe e ortesi adatte.
È molto importante evitare di cadere perché lunghi periodi di immobilizzazione possono essere deleteri per i pazienti. Anche per questo essi non devono mai sottovalutare i problemi legati all’equilibrio, cercando sempre soluzioni che possano migliorare la stabilità.
In caso di grave equinismo e quindi di una caduta del piede che porta all’inciampo, si ricorre all’utilizzo di ortesi antiequino (molla di Codevilla o dispositivi inseriti nella calzatura), da valutare solo in casi estremi, perché si tratta di presidi che di fatto impediscono al muscolo di lavorare, favorendone l’atrofia.
I plantari sono estremamente importanti se costruiti al fine di dare le spinte compensatorie giuste là dove i piedi hanno una maggiore caduta, al contrario aumentano la mancanza di equilibrio.
– Terapia chirurgica
L’intervento chirurgico viene in genere consigliato dagli ortopedici per risolvere la rotazione e la caduta del piede con tecniche di trasposizione e allungamento dei tendini e artrodesi, interventi sulle ossa.
Esso è senz’altro un buon sistema per ovviare al danno provocato e prevenire ulteriori e più gravi deformazioni, ma non sempre ottiene lo scopo desiderato. Occorre infatti valutare con estrema attenzione lo stato del singolo in rapporto all’età, al danno presente e alle capacità residue. È bene quindi ricorrervi quando la terapia fisioterapica non riesca più a compensare il deficit presente e si auspica una stretta collaborazione tra le figure specialistiche, quali il chirurgo ortopedico, il neurologo e il fisiatra, al fine di una presa in carico globale del problema.
A seguito dell’intervento si sconsigliano lunghi periodi d’ingessatura ed è opportuno avviare rapidamente un periodo di riabilitazione intensiva. Sarebbe poi sempre meglio intervenire su entrambi gli arti contemporaneamente o in rapida successione.
Per quanto riguarda infine l’anestesia, è sempre bene informare l’anestesista del problema neurologico.
Ringraziamo Filippo Genovese per la collaborazione.
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