Se penso alla Marcia per la Pace Perugia-Assisi di domenica 11 settembre, mi pare di vedere un lungo e colorato serpentone di persone che tra ulivi, valli e colline lentamente arriva alla Rocca di Assisi e la avvolge in un enorme aquilone che sovrasta la terra di Francesco: è una semplice ma profonda metafora che ci dice che “la nonviolenza è sempre in cammino”.
È dal 24 settembre 1961 che il popolo della pace viene alla marcia perché «condivide lo spirito della nonviolenza, rifugge la guerra, crede nel dialogo, propone la solidarietà e la giustizia tra gli uomini e i popoli» e percorre questo tratto di splendida terra umbra per continuare quello che Aldo Capitini, iniziatore della nonviolenza in Italia, aveva indicato come «una pace che sia di tutti» e quindi aperta a tutti.
In un cammino che si rinnova da oltre quarant’anni, molti sono i miei ricordi al punto che, pur intensi, forti di emozioni e sentimenti, faccio fatica a metterli insieme e a collocarli nel periodo giusto. Infatti, ogni marcia aveva un obiettivo preciso, si riferiva a momenti particolari, spesso a guerre drammatiche, come le ultime, vicino a casa nostra, come quella nei territori della ex Jugoslavia o il lungo conflitto Israele e il popolo palestinese e tanti erano i protagonisti di questi percorsi di pace.
Ricordo i molti chilometri percorsi a fianco del compianto padre Ernesto Balducci che mi parlava della sua grande intuizione dell’uomo “planetario“, di Raniero La Valle, parlamentare e scrittore, di qualche sindacalista importante, della sofferenza durante il cammino del vescovo palestinese di Gerusalemme, monsignor Cappucci, da molti anni in esilio nel nostro Paese.
Ma quello che è più bello è aver camminato sempre a fianco di giovani, scout, preti, suore, genitori che spingevano a fatica le carrozzine dei loro bambini e poi tante e tante belle persone. Le ritroverò ancora e spero di rincontrare soprattutto i tanti rappresentanti provenienti dai vari Paesi del mondo che partecipano all’Assemblea dell’ONU dei Popoli, iniziativa che da dieci anni precede la Marcia in giorni di dibattiti, di programmi sui problemi più gravi della nostra martoriata società internazionale.
Ancora una volta saranno proprio loro ad aprire la Marcia dietro lo striscione che quest’anno ha l’obiettivo di vincere la povertà nel mondo.
Tutti noi abbiamo grandi responsabilità verso questo problema perché per la prima volta al mondo una generazione, per le risorse economiche di cui dispone, per il livello raggiunto nella tecnologia, ha la possibilità di vincere il flagello della povertà attraverso un’equa distribuzione del reddito e la realizzazione dei diritti umani fondamentali.
«Contro la povertà: che fare ora? Io voglio. Tu vuoi. Noi possiamo»: sono questi gli interrogativi che ci dovranno accompagnare nei pochi o molti chilometri che insieme domenica percorreremo.
Ognuno di noi avrà tempo e voglia di guardarsi dentro e confrontarsi con chi gli marcia accanto, se è davvero possibile, come ci ha lasciato scritto Aldo Capitini, «a ognuno di fare qualcosa».
Se veramente «la guerra è un’avventura senza ritorno», come ci ha ricordato Giovanni Paolo II, la pace è l’unica alternativa e non può che «essere effetto della giustizia» (Isaia).
Ma una cosa dev’essere chiara anche quest’anno in cui la Marcia Perugia- Assisi coincide con l’11 settembre, data in cui drammaticamente è entrato nella “globalizzazione” lo spietato terrorismo internazionale: nessuno, a cominciare da partiti o forze politiche, economiche e sociali potrà “usare” la marcia come “merce di scambio” in chiave politica.
I partiti, i loro simboli, i loro slogan – pur benvenuti – devono fare un passo indietro rispetto al Popolo della Pace, ai gonfaloni di migliaia di Comuni, Province e Regioni, per lasciare che le colorate bandiere della pace siano l’espressione di un linguaggio nuovo, di una creatività sempre più positiva, serena, allegra.
Questa è la voglia della “nonviolenza in cammino“ che dalla Rocca di Assisi lancerà nei cieli del nostro piccolo pianeta un gigantesco aquilone che vuole rappresentare la metafora della pace e della giustizia tra gli uomini e i popoli.
*Alberto Trevisan è un obiettore di coscienza “storico” che all’inizio degli anni Settanta ha fatto una scelta radicale, consapevole che solo la radicalità non violenta, seguita da un percorso lungo, tormentato, fatto di sofferenza e di testimonianza in prima persona può arrivare all’obiettivo.
«Ho attraversato più di mezza Italia con i ferri ai polsi», scrive Trevisan nel suo recente libro Ho spezzato il mio fucile (Bologna, Dehoniane, 2005), ove racconta la sua lunga storia.
Tra le numerose testate con cui Trevisan ha collaborato e collabora, segnaliamo anche «DM», il periodico della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).
Questo articolo viene pubblicato dal nostro sito per gentile concessione del periodico «La Difesa del Popolo» di Padova.
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