Sia come sia, il lungo serpentone del Popolo della Pace di oltre 200.000 persone ha avvolto domenica 11 settembre sotto un grande aquilone Assisi, la città di Francesco, i cui fili si sono dispersi in ogni direzione toccando metaforicamente chi ancora camminava, chi si riposava e chi con grande forza si arrampicava sino alla rocca.
Ma ogni marcia è sempre diversa e riserva gradite sorprese: la prima, quest’anno, è stata l’affluenza di tantissimi giovani. Qualcuno sugli organi di stampa li ha chiamati i “nuovi pacifisti” postideologici, uniti, allegri, a volte irriverenti, ma soprattutto immuni dalla paura della guerra e del terrorismo che tanto spaventano la vita delle nostre civiltà.
L’altra sorpresa è stata la partecipazione di un nuovo soggetto politico: il mondo della disabilità. Per la prima volta a Bastia Umbra, a metà percorso, più di cento persone con disabilità hanno preso la testa del corteo con le loro coloratissime e sportive carrozzine, per dire che «mettere al bando la miseria e la povertà e riprendersi l’ONU perché è nostra» è possibile se tutti lo vogliamo.
Questi “cittadini invisibili”, come sono soliti chiamarsi con un linguaggio provocatorio verso i cosidetti “normali”, hanno rappresentato i 600 milioni di persone al mondo con problemi di disabilità (di cui il 18% sotto la soglia di povertà stabilita dall’ONU), per ribadire che sempre di più «disabilità significa povertà».
Solo nella nostra ricca Europa, oltre 2 milioni di disabili sono ancora “nascosti” in 25 grandi istituti, l’80% non ha accesso all’istruzione pubblica e ai servizi. Persone che, in quanto considerate “non produttive”, assumono lo “stigma” di cittadini che devono essere assistiti e che non sono titolari di diritti e dignità.
«Niente su di noi, senza di noi»: questo lo slogan che vuole esprimere il diritto, la voglia, la fermezza di voler partecipare alla vita civile e sociale delle nostre comunità.
Ma se la Marcia per la Pace è ancora una volta partita da Perugia verso Assisi, come da più di quarant’anni, lo dobbiamo in particolare agli oltre 150 rappresentanti dell’ONU dei Popoli invece che degli Stati o dei Governi del mondo. Sono loro, infatti, che, nella splendida cornice della Sala dei Nodari di Perugia, abbandonando per una volta i loro drammi della guerra e dei genocidi, hanno fatto capire, a noi dei Paesi ricchi del mondo, cosa significa povertà e quali sono le strade da percorrere per evitare una catastrofe epocale sui problemi della povertà nel mondo.
Se «Io voglio. Tu vuoi. Noi possiamo, forse la miseria la mettiamo fuori della Storia. Ormai non ci sono più scuse. La miseria non è un fenomeno naturale, ma la più crudele delle ingiustizie. Essa cresce in un’economia organizzata per il profitto di pochi anziché per il benessere di tutti. La miseria è la più grande ed estesa violazione dei diritti umani».
Queste le parole pronunciate a Perugia ed io non ricordo incontro, assemblea, convegno a cui ho partecipato in cui abbia provato imbarazzo ed emozioni così forti e intensi: ad ogni intervento dei rappresentanti dei popoli, in particolare dell’Africa, era come ricevere un violento pugno allo stomaco. Il mio modello di vita, il mio modo di pensare e concepire il futuro ad ogni intervento subivano dei veri e propri stravolgimenti uniti a sensi di colpa: quasi una vergogna immensa di poter disporre di risorse sconosciute a questi popoli.
Sentire che anche l’acqua tirata su dal pozzo in un povero villaggio africano o i servizi sanitari o la stessa istruzione devono essere pagati perché il Fondo Monetario Internazionale impone una spietata liberalizzazione e costringe questi popoli ad un debito sempre più grande non è cosa facile da accettare. Forse per questo ho percorso con determinazione ancora maggiore del solito questa marcia, per questo ho cercato di essere fianco a fianco a questi nostri fratelli dell’altra sponda del Mediterraneo o dell’Oceano. In quanti sono arrivati come disperati nelle nostre coste? Molti, certo, ma quanti non ce l’hanno fatta…
È questa la marcia Perugia-Assisi: alla prossima!
*Alberto Trevisan è un obiettore di coscienza “storico” che all’inizio degli anni Settanta ha fatto una scelta radicale, consapevole che solo la radicalità non violenta, seguita da un percorso lungo, tormentato, fatto di sofferenza e di testimonianza in prima persona può arrivare all’obiettivo.
Tra le numerose testate con cui Trevisan ha collaborato e collabora, segnaliamo anche «DM», il periodico della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).
Questo articolo viene pubblicato dal nostro sito per gentile concessione del periodico «La Difesa del Popolo» di Padova.
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