Il significato di un augurio

di Salvatore Nocera*
Una miriade di auguri natalizi, nelle scorse settimane, spesso, però, senza pensare al vero significato di essi. Le parole inquietanti e al tempo stesso rasserenanti di don Tonino Bello vengono riprese da Salvatore Nocera per introdurre un suo documento di riflessioni sulla disabilità - pubblicate in altra parte di questo sito - preparate in vista del Convegno Ecclesiale che si terrà in ottobre a Verona

Molto spesso, nelle scorse settimane, ci siamo scambiati frettolosamente gli auguri natalizi, senza pensare al significato che questo dovrebbe avere per chi è credente in Cristo nato povero e vissuto annunciando la buona novella di salvezza, ai deboli, agli ultimi, ai poveri nello spirito, di risorse e di potere e in modo anche inopportuno per i ricchi e per gli uomini di potere politico e religioso, morto abbandonato dai suoi amici, risorto per dare speranza di risurrezione ai disperati della terra.

Don Tonino BelloHo ricevuto su una lista di discussione l’augurio a suo tempo scritto da monsignor Tonino Bello, vescovo di Molfetta, prematuramente scomparso, che desidero fare mio e riproporre a tutti i lettori di Superando.it che – anche se non credenti o di altre fedi religiose – non avranno difficoltà a riconoscersi fra i destinatari di queste parole al tempo stesso inquietanti e rasserenanti:

Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo, se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo. Io, invece, vi voglio infastidire. Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario.
Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati.
Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli!
Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio.
Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.
Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.
Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.
Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.
Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonnolenta tranquillità, incapace di vedere che, poco più lontano di una spanna, con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio della fame.
I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce” dovete partire dagli ultimi.
Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili.
I pastori che vegliano nella notte, “facendo la guardia al gregge” e scrutano l’aurora, vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio. E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l’unico modo per morire ricchi.
Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza».

Alla luce di queste parole, mi permetto di sottoporre all’attenzione di tutti – e specialmente di quanti  sono persone con disabilità o hanno in famiglia o fra i loro amici tali persone – alcune mie riflessioni preparate in vista del Convegno Ecclesiale che si terrà quest’anno a Verona e che affronterà, fra l’altro, anche il tema della “fragilità” della famiglia: troverete queste riflessioni tra gli Approfondimenti della Sezione Sono autonomo.
Vorrei che i lettori si confrontassero anche con questo mio documento, per esprimere consensi o dissensi, in un clima di massima libertà di manifestazione del pensiero.
Mi rivolgo anche, da credente cristiano, ai vescovi che stanno preparando quel convegno, affinché in esso non si parli della famiglia in astratto, ma delle famiglie concrete, specie di quelle delle persone con disabilità (le cui coppie genitoriali si rompono  con frequenza) e della loro accoglienza nella comunità ecclesiale.
I vescovi italiani, che per bocca del loro presidente parlano di molte cose (invadendo talora il campo riservato ai fedeli laici), tradizionalmente oggetto dei loro interventi, come la sacralità della vita e l’indissolubilità del matrimonio, dovrebbero parlare di più anche e soprattutto della sacralità della qualità della vita di persone con disabilità che vogliono integrarsi nella società civile e nella comunità ecclesiale a pieno titolo, in modo attivo e non come oggetto di carità dei cosiddetti sani.

Nel clima di speranza delle festività, offro quindi in altra parte di questo sito il mio intervento, frutto dell’esperienza maturata vivendo da disabile e con i disabili, affinché anch’essi si esprimano liberamente con consensi e dissensi e diano indicazioni pastorali ai loro collaboratori per  una crescita della comunità ecclesiale, non solo spirituale, ma di testimonianza di Gesù risorto che salva tutto l’uomo – anima e corpo – già a partire da questa vita, come scrisse Giovanni Paolo II nell’indimenticabile discorso del 1° aprile 1984, per il Giubileo Straordinario “della comunità con le persone handicappate”.

*Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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